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Riccardo Fagioli. Il problema dei precari della scuola
29 Dicembre 2010
 

Molto probabilmente fino al prossimo ottobre le cronache non se ne occuperanno, ma un problema che la politica non si decide ad affrontare è quello della “scuola italiana”.

In una nazione seria il problema dei precari della scuola sarebbe già stato risolto; un problema che, a prescindere dalle idee politiche, non può essere definito “una piaga sociale da 200mila precari” per una serie di motivi. Il primo dovrebbe essere chiaro e limpido. 200mila laureati non sono una piaga sociale, sono una risorsa che farebbe la felicità e la ricchezza di moltissimi Paesi, ma che in Italia i nostri governanti non riescono a far fruttare. Il secondo è dato dalla spesa per Istruzione, Ricerca e Università. I nostri governanti si lamentano del fatto che oltre l'80% del bilancio del Ministero preposto se ne vada negli stipendi del personale contro un 45% della media Europea del settore. Questi governanti, tuttavia, si dimenticano colpevolmente di dire che noi investiamo in questo settore lo 0,5% del Pil contro un 1,6% della Spagna (quella in grande crisi!), il 3% della Germania, il 2,6% della Francia e così via dimodoché, conseguentemente a ciò, se anche in Italia si investissero le stesse risorse della Spagna il nostro rapporto bilancio/stipendi sarebbe esattamente nella media Europea.

Ma veniamo all'altro problema concreto e serio che riguarda la scuola. Da uno studio dell'Associazione Psicologi Pedagogisti Italiani è risultato che uno studente nell'arco degli studi dell'obbligo cambia oltre il 70% degli insegnanti e che la cosa non sia affatto positiva, ma anzi costituisca una delle concause del deficit formativo che i nostri alunni accusano rispetto alle medie europee.

Cosa dovrebbe fare, quindi un Governo, per risolvere questa situazione? Cosa dovrebbe fare per garantire la presenza di insegnanti di ruolo in ogni scuola e la continuità didattica che ne consegue? La risposta è così semplice che appare paradossale che non vi si sia ancora pensato.

La risposta si chiama Concorso Nazionale per Cattedre. Una risposta semplice, netta ed economica che metterebbe fine a ogni polemica in quanto a fronte delle 60mila cattedre vacanti, dei previsti 40mila pensionamenti nel prossimo scaglione e di quelli da mettere nel novero nei successivi, un Concorso Nazionale che tenesse conto del punteggio pregresso e dei risultati delle prove, andrebbe a colmare i due deficit esistenti. In prima istanza risolverebbe il problema delle classi che subiscono il girovagare e l'alternarsi selvaggio dei supplenti, e in seconda darebbe, tramite una graduatoria, darebbe certezza a chi è in una certa posizione di entrare in ruolo in un certo numero di anni e la stessa certezza a chi è troppo distante dalla possibilità di immissione in ruolo di doversi cercare una nuova occupazione.

La domanda che sorge spontanea, dunque, è questa: perché non si sente assolutamente parlare da Governo e Opposizione di una Concorso Nazionale per cattedre che ponga mano a tutto questo? Forse non se ne parla perché si è smarrita la consapevolezza del fatto che ogni Nazione vive della sua istruzione e cultura.

 

Riccardo Fagioli

Presidente Associazione Culturidea Pistoia


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