Notizie e commenti
Alberto Figliolia. La 33esima squadra di Bruno Barba
14 Dicembre 2010
 

Alzi la mano chi non ha mai vagheggiato una propria squadra di calcio costruendosela pezzo per pezzo, ruolo per ruolo, giocatore per giocatore. Trentadue sono le squadre di calcio che partecipano ai Mondiali di football. Bruno Barba ha schierato ai campionati del mondo la trentatreesima squadra: la “sua” squadra.

Intanto diciamo che Bruno Barba non è solo un appassionato e un intenditore di calcio, ma anche un antropologo. L'Antropologia è una scienza (o disciplina) affascinante ed egli la esercita e pratica in qualità di ricercatore (ministri del MIUR permettendo) all'Università di Genova. Da una sua biografia... «Si occupa da vent'anni di meticciato culturale e di sincretismi religiosi in Sudamerica. Oltre che di Brasile è malato di calcio». Tra le sue pubblicazioni si annoverano Il gioco dei Buzios, Brasil meticcio, Bahia, la Roma negra di Jorge Amado, B.I. di Exu e Pombagira, Un antropologo nel pallone (un testo, questo, di grandissimo interesse sul quale varrà la pena di tornare con un altro articolo), Rio de Janeiro, la poesia di Ipanema, Tutto è relativo, la prospettiva in Antropologia, La voce degli dei. Come potete constatare, una bibliografia ben ricca e di più che stimolanti argomenti.

Torniamo a La 33esima squadra - Il sogno del mondiale con 23 giocatori da sogno (2010, effequ-Saggi Pop, pp. 112, euro 7), prezioso libriccino, di dimensioni non colossali, ma colmo di passione e di acute osservazioni critiche, romantico ed evocativo. Innanzi tutto, i convocati della trentatreesima squadra:

 

Portieri:
Jongbloed
Zoff
Higuita

 

Difensori:
Mussi
Bergomi
Cuciuffo
Breitner
Varela
Facchetti
Grosso

 

Centrocampisti:
Dunga
Tardelli
Stiles
Ardiles
Falcão
Capello
Antognoni

 

Attaccanti:
Garrincha
Rivera
Luque
Tostão
Eusebio
Anastasi

 

Allenatore:
Arrigo Sacchi

 

Squadra titolare:
Jongbloed, Mussi, Facchetti; Falcão, Cuciuffo, Varela; Garrincha, Ardiles, Tostão, Rivera, Luque.

 

Ampiamente opinabile, per alcuni elementi, sul piano tecnico. Fa niente, è divertente, piacevole, curioso. Ma Facchetti, Falcão, Varela, Garrincha, Tostão e Rivera sono, a nostro avviso, veramente fra i grandissimi di tutti i tempi.

Chissà, questa squadra potrebbe davvero giocarsela contro, per esempio... Buffon, Djalma Santos, Cabrini; Neeskens, Cannavaro, Beckenbauer; Cristiano Ronaldo (Messi), Di Stefano (Platini), Cruijff, Pelé, Maradona. Allenatore Enzo Bearzot.

Jan Joengbloed, il portiere-non portiere dell'Arancia meccanica olandese, la squadra del calcio totale, anno Domini 1974 e anche 1978, l'équipe dal genio hippy e dall'atletismo feroce, tecnica sopraffina e modulo perfetto, difensori come attaccanti e... un portiere che giocava altissimo, quasi meglio con i piedi che con le mani. Il sapore delle giovinezza, della fantasia e di tutte le loro immense potenzialità quando il presente conta meno del futuro e il futuro è una lunga e suadente promessa.

René Higuita, colombiano, 175 cm di n° 1 (praticamente un nano, almeno per i parametri del ruolo), quello della parata dello scorpione, ossia una sorta di capriola in avanti e rovesciata all'indietro con i tacchi (quasi uno sberleffo, da impazzire), il portiere matto che voleva dribblare gli attaccanti e qualche volta segnava pure.

José Luis Cuciuffo, un cognome che faceva sorridere, un ragazzo della Boca di Buenos Aires, 8 sole partite in Nazionale e il Mondiale '86 in tasca, morto tragicamente a 43 anni per una fucilata durante una battuta di caccia.

Paul Breitner, il terzino intellettuale di Germania Ovest '74, detto il maoista, capellone ribelle.

Obdulio Varela, il capitano dell'Uruguay che fece piangere il Brasile nel 1950, rimontando dallo 0-1 al 2-1 e strappando ai non ancora verde-oro un mondiale che stavano già, ahiloro!, festeggiando. Molti suicidi, dopo quella partita, si verificarono in Brasile. Ha scritto Soriano: “Obdulio, un ragazzone tagliato con l'accetta, raggiunse la sua porta già violata, prese il pallone in silenzio e lo strinse tra il braccio destro e il corpo. (…) piantò gli occhi grigi, neri, bianchi rilucenti, contro tutta quella luce, gonfiò il petto massiccio e si avviò muovendo appena i piedi, provocatore... e la gente dovette aspettare tre minuti prima che arrivasse in mezzo al campo e rivolgesse all'arbitro dieci parole in uno spagnolo incomprensibile”. Schiaffino e Ghiggia punirono poi la superbia/superficialità dei talentuosissimi brasiliani. La celeste, espressione di un Paese minuscolo quanto a popolazione, sconfisse il colosso e vinse il suo secondo Mundial. Varela, dopo, pianse solidarizzando con coloro cui aveva rovinato la festa. Così racconta la storia o la leggenda (si confondono gli elementi, in un calcio ancora di epos).

Fabio Grosso e il suo mancino fatato a girare alla Germania nella semifinale 2006, ma anche il rigore decisivo, il quinto, alla Francia in finale o quello procurato, con la sua squadra in dieci, contro l'Australia nel corso degli ottavi, e realizzato da Totti. Quando la normalità si trasforma in eccezionalità. Giochi di classe per il terzino lanciato dal Perugia di Serse Cosmi.

Nobby Stiles, brutto, cattivo e senza denti, l'antitesi del gioco del calcio moderno inventato dai suoi connazionali, ma campione del mondo 1966 e pure Baronetto.

Osvaldo Ardiles, brillantina e tango, campione del mondo 1978 che poi avrebbe dichiarato: “Mi dispiace che siamo stati un elemento di distrazione per il popolo, mentre venivano commesse terribili atrocità, siamo stati utilizzati come propaganda da parte del regime militare, però siamo stati utili come balsamo per molta gente oppressa, che ha potuto di nuovo uscire dalle strade avvolta da una bandiera argentina”. Lo sport trionfante e lo spaventoso dramma di una dittatura sanguinaria. Gol e desaparecidos. Ardiles era, a ogni modo, un giocatore di stile meraviglioso.

Manoel dos Santos Garrincha, bimondiale ('58 e '62), giocava con il nome di un passero amazzonico, volava lieve e imprendibile con la sua finta sempre dalla stessa parte e sempre scombussolante e vincente, indio e nero, un bambino con una gamba tanto più corta dell'altra, un miracolo che riuscisse a camminare poi a giocare a pallone poi a diventare la più grande ala destra di tutti i tempi, un numero quasi incalcolabile di figli, morto povero e alcolizzato a soli 49 anni, un poeta, un sognatore. Scrive di lui Bruno Barba: “Era un lampo estroso, un cavallo imbizzarrito, un uomo dionisiaco e vero, e crudo, e nudo”.

Leopoldo Luque,baffoni da gaucho, una figurina d'altri tempi, la spalla dell'immenso Mario Alberto Kempes in quella contraddittoria Argentina '78 pre-Maradona. “Gli argentini sono italiani che parlano lo spagnolo e sono tanto boriosi da credersi francesi” o “L'Argentina è una promessa che non sarà mai mantenuta”. El Matador, uno dei più grandi di tutti i tempi.

Eduardo Gonçalves de Andrade Tostao, uno dei cinque numeri 10 del Brasile 1970 (gli altri erano Jairzinho, Gerson, Pelé e Rivelino: mitici, ed è dir poco), con l'Ungheria sfigatissima del 1954, la squadra più forte di tutti i tempi, un'ode al football, medico, ritiratosi a soli 27 anni per un gravissimo problema a un occhio (distacco di una retina per una pallonata al volto).

Eusebio, il mozambicano, la pantera nera, con buona pace di Cristiano Ronaldo il più grande giocatore di sempre del Portugal, portato da lui al terzo posto iridato 1966.

Arrigo Sacchi: de gustibus...

Abbiamo tralasciato altri (altrettanto meritevoli o anche di più), avendo scelto di citare solo alcuni. Ma non tralasciamo di raccomandarvi la lettura di questo delizioso, breve ma intenso e profumato di feconda nostalgia, volume.

Studio e sentimento: il segreto del calcio e di un antropologo (e ricercatore universitario, riforme consentendo), Bruno Barba. Assolutamente originale.

 

Alberto Figliolia


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