Diario di bordo
La vicenda D’Elia e il chisse-ne-frega di Pansa. Ma č proprio Sergio che si vuol colpire?
13 Giugno 2006
 

«Non sia così arrogante da prenderci per fessi», così Gianpaolo Pansa conclude il suo ultimo “Bestiario” sull’Espresso. Chi sarebbe arrogante cercando di prendere per fesso lui e tutti noi è Sergio D’Elia; di lui, scrive Pansa, «non mi frega nulla», ma questo suo non fregarsene non gli impedisce di confezionare un fritto misto dove si mettono insieme Moretti, Gallinari, Seghetti, Micaletto, Savasta sghignazzanti, Brigate Rosse e altre forme di terrorismo, considerazioni sghembe su come vanno le cose in Italia, dove si premiano «i compagni che hanno sbagliato» e si mortificano le loro vittime. Pansa, non ha mai incontrato D’Elia: «Di lui so appena quello che ne hanno scritto i giornali. Leggo che si è fatto anni di galera, anche se meno di quel che stabilivano le sentenze. Che si è redento. Che oggi è una persona del tutto diversa da quando era fra i capi di quella banda selvaggia, capace di macellerie messicane persino più delle Brigate Rosse…». Prosa alla Pansa, per concludere appunto: «Di questo D’Elia non mi frega nulla».

A noi, al contrario, di Sergio frega moltissimo. E abbiamo un rammarico: quello di non riuscire a trovare il modo, le parole per riuscire a dimostrarlo a sufficienza. Sergio è un amico, oltre che un caro e prezioso compagno. È forse proprio per questa amicizia che accade di dare per scontate parole e gesti che in altre occasioni, e di avere pudori dei sentimenti che con altre persone meno “amiche” non avremmo avuto e non ci avrebbero visto esitare. I sentimenti, le emozioni, i turbamenti delle famiglie delle vittime del terrorismo, vanno compresi, capiti, rispettati. Però, sommessamente, merita di essere segnalato l’intervento a Radio Radicale di Potito Perruggini, nipote del brigadiere Giuseppe Ciotta, ucciso da Prima Linea a Torino nel marzo del 1977: «Sono in atto dei tentativi di strumentalizzazione». Ha detto cose molto ragionevoli e pacate, Perruggini; se Pansa decidesse di spendere un’oncia del suo tempo per ascoltare quell’intervento certamente ne ricaverebbe un qualche profitto.

In una vita precedente Sergio D’Elia certamente si è reso responsabile di gravi errori, irreparabili. Per quegli errori ha pagato il conto che la giustizia italiana gli ha chiesto di pagare. In tutti questi anni Sergio non si è mai atteggiato a “maestro”, non ha mai cercato giustificazioni, non ha mai cercato di sminuire responsabilità e colpe; convive con il suo passato macerandosi, permanente tormento. La sua militanza radicale è a dir poco esemplare. Sicuri che non sia questa a risultare insopportabile, intollerabile? I Giovanardi e i Bondi, che con tanta violenza si sono scagliati contro D’Elia confermano quanto da tempo immaginavamo: molto cattolici, pochissimo cristiani. A loro vorremmo consigliare di leggere quel grande libro che sono I Promessi sposi: le pagine dove Manzoni parla di frate Cristoforo.

A tutti noi invece giova ricordare che i radicali sono il partito di tanta gente le cui storie sono le più diverse e spesso controverse. Fece scandalo anni fa le iscrizioni di tanti ex fascisti (fascisti, non missini). Molti anni fa, sul Manifesto (che mostrava ben altra e diversa disponibilità di quella mostrata in queste ore), Marco Pannella pubblicò una lettera aperta al PR, “rimproverando” un eccessivo timore, di avidità, per non aver reso noto subito che uno dei capi della ‘ndrangheta Giuseppe Piromalli e il killer delle carceri Vincenzo Andraous si erano iscritti; è uno dei dieci testi più belli che Pannella abbia scritto. Una “lettera” che possiamo tranquillamente accostare ad altre pagine, quelle di Elio Vittorini sul Politecnico, e di Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera.

A farla corta: si riconosce o no che si possa cambiare? E vale per tutti o solo per alcuni e di questi alcuni c’è un catalogo che specifica chi sono i reprobi irrecuperabili e coloro i quali invece sono reinseribili? Premesso che il passato non si cancella ed è giusto ricordare, a questo passato si deve essere sempre e comunque inchiodati? E infine: come non vedere che c’è un gioco torbido attorno a questa vicenda? Si vuole colpire D’Elia, ma sono altri gli obiettivi: l’amnistia, l’indulto, la grazia ad Adriano Sofri… A Pansa di tutto ciò non frega nulla? E a noi, compagni? Non dovrebbe invece fregarcene moltissimo?


Gualtiero Vecellio

(da Notizie radicali, 12/06/2006)


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