Il nostro giardino
Angelika Kauffmann. Il lascito di una Mostra del 2007 in un importante Catalogo bilingue
Catalogo della mostra, in lingua inglese (tradotto dall
Catalogo della mostra, in lingua inglese (tradotto dall'originale in tedesco) 
20 Ottobre 2010
 

Tobias G. Natter [a cura di], Angelika Kauffmann: ein Weib von ungeheurem Talent, catalogo della mostra (Bregenz, Vorarlberger Landesmuseum e Schwarzenberg, Angelika Kauffmann Museum, 14 giugno-5 novembre 2007), Ostfildern, Hatje Cantz, 2007, pp. 286, con numerose illustrazioni a colori e in b/n

 

 

Dal 14 giugno al 5 novembre del 2007, due località austriache prossime al lago di Costanza - Bregenz (nel Vorarlberger Landesmuseum) e Schwarzenberg (nell’Angelika Kauffmann Museum) hanno ospitato una mostra per ricordare Angelika Kauffmann, la grande pittrice del Settecento. L’occasione è scaturita dalla ricorrenza dei 200 anni dalla morte di questa artista d’eccezione. Ne è nato un poderoso catalogo – un’ampia monografia di 286 pagine vademecum per la mostra e nello stesso tempo strumento indispensabile per la conoscenza approfondita della vita, dell’opera e del tempo di Angelika Kauffmann. La Kauffmann è davvero un gran nome nella storia della pittura: membro fondatore della Royal Academy di Londra, amica di artisti come Joshua Reynolds e di personalità di primo piano della cultura europea come Goethe o l’archeologo e storico dell’arte Johann Joachim Winckelmann. Chiunque desiderasse rendere immortale la propria immagine, fosse una testa coronata, un famoso scrittore oppure un intellettuale, si faceva ritrarre da lei. «Sie hat ein unglaublisches, und als Weib wirklich ungeheures Talent» (“Lei [Angelika] ha un talento incredibile e per una donna veramente straordinario”). Questo è il giudizio di Goethe (Viaggio in Italia, Roma, 18 agosto 1787). Tuttavia, lo stesso Goethe, pur definendola una “donna di talento straordinario” ammetteva che il “genio” era un dono riservato soltanto agli uomini. E la Kauffmann si trovò a combattere contro questa mentalità nel corso di tutta la sua vita. Ma, nonostante questo, riuscì ad affermarsi, con orgoglio e con successo, proprio in un mondo al maschile, lasciandovi un’impronta profonda. Intanto, nel catalogo della mostra, un gruppo di studiosi di valore internazionale, coordinato da Tobias G. Natter, direttore del Vorarlberger Landesmuseum (l’istituzione che ospita la raccolta più vasta al mondo di opere di Angelika Kauffmann: 24 quadri a olio, più di 350 opere di grafica oltre a numerosi documenti che la riguardano), si è assunto il compito di delineare l’evoluzione artistica della grande pittrice. I contributi di Michael Krapf, Waltraud Maierhofer, Tobias G. Natter, Angela Rosenthal, Wendy Wassyng Roworth, Oscar Sandner e Helmut Swozilek – completati dagli interventi rigorosi di Magdalena Häusle e Ute Pfanner, che accompagnano le riproduzioni delle singole opere – rispondono in modo esauriente all’interrogativo sull’attualità e il valore di questa artista eccezionale, indagandone la vita e l’opera sia dal punto di vista artistico e che da quello della storia della cultura. Perfino gli autori di romanzi hanno trovato nella biografia di questa donna artista una fonte generosa per le loro trame. Questa è stata, comunque, l’occasione preziosa di presentare per la prima volta al grande pubblico e agli studiosi alcuni documenti significativi sulla vita di Angelika Kauffmann. Ma l’importanza della mostra è segnata anche dalla quantità e dalla qualità delle opere esposte, in gran parte arrivate in prestito da collezioni pubbliche e private: da Londra, Roma, Firenze, Vienna, Monaco di Baviera, Cracovia, Weimar, Edimburgo, Coira, Zurigo e Vaduz. Per quanto concerne il catalogo, ecco qui di seguito una sintesi dei contributi degli esperti che hanno scandagliato la vita e l’opera di Angelika Kauffmann, illuminandone la figura e l’evoluzione artistica.

L’incipit è offerto dalla prefazione di Tobias G. Natter, direttore del Vorarlberger Landesmuseum di Bregenz. Nato nel 1961, è uno storico dell’arte, ha lavorato al Belvedere di Vienna e ha già curato mostre internazionali di successo: in Germania, in Giappone e a New York. Secondo Natter, il fascino di Angelika Kauffmann è giunto intatto fino ai nostri giorni, soprattutto perché è riuscita, come pochi altri artisti, ad incarnare lo spirito del suo tempo. A lei si sono avvicinati non solo gli appassionati della pittura, ma perfino i letterati l’hanno “assalita”. A questi ultimi la vita stessa della pittrice ha fornito materiale in gran quantità: una bambina prodigio di fama leggendaria, lo scandalo del suo matrimonio con un imbroglione, l’amicizia con Goethe, il suo salotto per vent’anni al centro della società romana, un funerale di eccezionale grandiosità. E, anche se di solito i due filoni, quello della storia dell’arte e quello dell’approccio letterario, seguono un decorso separato, Tobias Natter ha scelto di adottare metodi e stimoli provenienti da entrambe le fonti, riuscendo, alla fine, con questa mostra, a dare una forma esaustiva all’attuale stato delle conoscenze intorno ad Angelika Kauffmann, donna e artista eccezionale. Come riferiscono testimoni dell’epoca, in un certo momento sembravano tutti “angelicamad”, andavano tutti pazzi per Angelika. E Natter nota che, sorprendentemente, una parte di questo entusiasmo si è mantenuto fino ai giorni nostri, malgrado tutte le banalizzazioni subite dall’artista, soprattutto quando, nell’Ottocento, corse il rischio di ridursi a una “chocolate box painter” (pittrice per scatole di cioccolatini) a causa delle innumerevoli riproduzioni su porcellane e recipienti dozzinali. Al di là di questo, stupisce ancor oggi il modo in cui Angelika Kauffmann affrontò, superandole egregiamente, le barriere geografiche, culturali e linguistiche. Fu, in verità, un’europea ante litteram. Ebbe, tra l’altro, contatti con molti regnanti di tutta Europa e fu la regina di un salotto romano, dove si accalcava l’élite intellettuale. Uno dei suoi ospiti fu Goethe, il quale, amico di Angelika, si inchinava davanti a lei come a una “donna di un talento veramente straordinario”.

Il contributo di Angela Rosenthaldocente e studiosa di storia dell’arte, autrice di due monografie su Angelika Kauffmann – presenta un titolo all’apparenza criptico: Un’immagine su una vela lontana… : gli autoritratti di Angelika Kauffmann. In realtà si scopre che si tratta di una similitudine catturata dalla Storia dell’arte nell’antichità (1764) del Winckelmann, il quale descrive chi osserva l’opera d’arte come un’innamorata che, ferma su una spiaggia, guarda al suo amato che scompare in lontananza «e crede di vedere l’immagine dell’amato su una vela lontana». La Rosenthal indaga a fondo la psicologia della Kauffmann, con un’analisi brillante e convincente dei suoi autoritratti. In questi, di solito, la pittrice, ispirandosi a modelli della classicità, appare come un personaggio idealizzato oppure in ruoli allegorici. Per dimostrare, poi, la fama che la Kauffmann aveva conseguito in Inghilterra, Angela Rosenthal riporta un brano dalla lettera, spedita da Londra il 19 ottobre del 1781, nella quale Gottlob Friedrich Ernst Schönborn, un diplomatico che amava la letteratura, comunica a Friedrich Gottlieb Klopstock, il poeta della Messiade, che in Inghilterra «the whole world is angelicamad» (tutti vanno pazzi per Angelica). E – come spesso accade – proprio da questo successo le derivarono meschini pettegolezzi e classiche malvagità. La Kauffmann, comunque, rimase nell’intimo sempre una donna semplice. Nonostante i suoi viaggi e i suoi lunghi soggiorni a Londra (15 anni, dal giugno del 1766 al luglio del 1781) e a Roma (26 anni, dal maggio del 1782 fino alla morte avvenuta il 5 novembre 1807), lei, nata a Coira nell’attuale cantone svizzero dei Grigioni, considerava come sua vera “patria del cuore” il piccolo villaggio alpino di Schwarzenberg, luogo di nascita di suo padre, nel Bregenzerwald. Non era importante se vi aveva soggiornato soltanto tre volte e per brevi periodi. Una chiara prova dell’amore verso la sua patria del cuore, al di là delle testimonianze nei suoi scritti, viene anche da tre suoi autoritratti, nei quali volle dipingersi con il costume tradizionale indossato dalle donne del Bregenzerwald.

Arte, fama, sentimento ed ego: testi e immagini per la costruzione di un’identità. È questo il titolo del saggio avvincente di Waltraud Maierhofer, docente di letteratura tedesca all’Università dell’Iowa (USA). A lei siamo debitori, tra l’altro, della pubblicazione della raccolta più completa di lettere della Kauffmann (Angelica Kauffmann, Mir träumte vor ein paar Nächten, ich hätte Briefe von Ihnen empfangen: gesammelte Briefe in den Originalsprachen, a cura di Waltraud Maierhofer, Lengwil am Bodensee (CH): Libelle Verlag, 2001, 546 pagine). Angelika Kauffmann scrisse numerose lettere in varie lingue e fu in corrispondenza con personaggi importanti del mondo intellettuale dell’epoca. È un peccato che le sue lettere, se si fa eccezione di alcune molto brevi del 1763, siano conservate solo a partire dal 1766, quando ha già compiuto i 25 anni. Mancano, quindi, testimonianze epistolari che potrebbero far luce sulle sue prime importanti decisioni, quelle che le fecero scegliere la pittura invece che la musica. A chiunque scrivesse – fosse Klopstock, il poeta tedesco più celebrato tra il 1750 e il 1780, fosse Goethe, fossero membri del clero, studiosi, aristocratici – manteneva sempre lo stesso stile “sentimentale”, quello che caratterizzava anche la sua pittura e che la rese così popolare. La Maierhofer sceglie qui di presentare alcune lettere, ponendole in relazione con la sua pittura, in particolare con i suoi autoritratti. Per noi riveste un certo interesse – in quanto vi è un preciso riferimento a Morbegno – una lettera, spedita da Londra il 10 ottobre 1766, nella quale scopriamo che il padre Johann Joseph, il quale voleva raggiungere Angelika a Londra nel corso di quell’autunno, aveva però allungato il viaggio per poter far visita a dei parenti a Morbegno e nel Bregenzerwald. Il padre, inoltre, voleva portare con sé a Londra una parente, Rosa Fiorini, come governante e donna di fiducia. «…ewer schreiben von … 13. September … in euwren ledsten vernamme ich dass ihr folgenden tag sambt der lieben Rosa Morbegnio [sic!] verlassen werden» (…nel vostro scritto del … 13 settembre … nel vostro ultimo scritto son venuta a sapere che il giorno seguente avreste lasciato Morbegno insieme alla cara Rosa). Invece, la terza lettera è particolarmente significativa per scoprire la consapevolezza che Angelika aveva del suo talento artistico. Questa volta è stata spedita da Roma, il 5 agosto 1788, e indirizzata a Goethe. Qui Angelika, abbandonando la sua naturale modestia, mostra di essere orgogliosa di quello che lei ritiene, a buon diritto, il suo autoritratto più riuscito, oggi agli Uffizi di Firenze. Non dimentichiamo che, quando dipingeva questo autoritratto, la Kauffmann era all’apice della sua fama e che, soprattutto dopo la morte di Pompeo Batoni avvenuta nel 1787, era considerata il maggior pittore di successo in tutta Roma.

Il contributo di Oscar Sandner nato a Bregenz nel 1927, ha studiato archeologia, storia dell’arte e germanistica, oggi scrittore – affronta Le opere giovanili, 1762-1775. Sandner, prendendo le mosse da un’affermazione di Goethe, secondo il quale «il talento si sviluppa nella tranquillità», afferma che il talento della Kauffmann si sarebbe sviluppato soprattutto nella tranquillità della periferia rurale, nei villaggi e nella campagna tra il Lago di Como e il Lago di Costanza. E qui si può includere a buon diritto anche Morbegno, dove trascorse gli anni dell’infanzia. Detto questo, è probabile che il suo destino di artista, di pittrice, sia stato deciso a Firenze, dove, ventunenne, era giunta il 9 giugno del 1762. Qui Angelika aveva ottenuto il privilegio, eccezionale allora per una donna, di lavorare in una sala speciale della galleria ducale, nella quale poteva copiare indisturbata. L’autore esamina alcuni suoi ritratti – come quello di Benjamin West e dell’attore David Garrick – per evidenziarne le caratteristiche fondamentali («Lei sapeva leggere le fisionomie, in particolare quelle degli uomini»). Sandner, inoltre, segnala dapprima l’influenza di Rubens, le cui grandi tele Angelika aveva potuto ammirare al Luxembourg a Parigi nel suo viaggio verso Londra. In secondo luogo fornisce un netto giudizio, asserendo che «i quadri di soggetto storico tratti dal mondo di Omero e di Virgilio – dipinti attorno al 1768 – rappresentano il livello più alto di classicismo raggiunto dalla Kauffmann». Infine, come conclusione, lo studioso ci segnala una curiosità, in merito alle due tele che la Kauffmann aveva dipinto per Giuseppe II nel 1786, quando questi era andato a trovarla nel suo studio a Roma, in via Sistina 72: Hermann e Tusnelda, e Pallante, figlio di Evandro, ucciso da Turno. Due quadri che Adolf Hitler – sì, proprio lui strapperà alle collezioni del Kunsthistorisches Museum di Vienna per farli collocare nella nuova cancelleria del Reich a Berlino. E qui furono entrambi distrutti da un incendio, mentre crollava nell’orrore quello che sarebbe dovuto diventare il Reich millenario.

Wendy Wassyng Roworth professoressa di storia dell’arte all’università di Rhode Island, USA con “Angelica in love”: pettegolezzo, dicerie, amore e scandali non lascia adito a dubbi. Affronta e smonta, infatti, senza pietà, da studiosa, quindi con documenti alla mano, malignità e dicerie universalmente diffuse uno dei prezzi più amari del successo che hanno accompagnato la pittrice per tutta la vita e per i due secoli successivi. L’esito della ricerca di Wendy Wassyng Roworth permette alla fine di conoscere meglio Angelika Kauffmann come “donna in carne e ossa”. Il capitolo più interessante è rappresentato dai nuovi documenti intorno al matrimonio di Angelika con il sedicente conte von Horn. Da questi si ha la definitiva rivelazione che costui, al di là di tutte le leggende, non fosse altro che uno squallido figuro che, con la minaccia di creare scandali pubblici, cercherà perfino di spillare quattrini alla buona Angelika.

Nel suo intervento Angelika Kauffmann dipinge Johann Wolfgang von Goethe: “È pur sempre un bel giovanotto, ma in lui non vi è alcuna traccia di me”, Michael Krapf, docente all’università di Salisburgo, inizia affermando che durante la seconda metà del Settecento, per la pittura di ritratto esisteva un problema cruciale, almeno in linea di principio. Si trattava di trovare un equilibrio tra il ritrarre in modo fedele oppure in un modo più o meno adulatore. Krapf ricorda, inoltre, come una donna “creativa” veniva considerata sullo scorcio del secolo dei lumi e come la stessa dovesse far uso di mille attenzioni e non bastavano mai per mantenere una buona reputazione. Si pensi, per quanto concerne la Kauffmann, al pesantissimo e scorretto attacco (con allusioni sessuali) montato dal pittore irlandese Nathaniel Hone e ai mille pettegolezzi maligni (per esempio sui rapporti tra lei e Reynolds o sull’accusa falsa – e sul moralismo ipocrita sotteso a questa di utilizzare per le sue tele modelli in carne e ossa nudi, ecc.). Ma, restando fedele al titolo del saggio, Krapf parla soprattutto del ritratto che Angelika aveva fatto a Goethe, il quale nei mesi del suo soggiorno romano la frequentava stimandola e dimostrandole amicizia. Però... Il grandissimo Goethe, quando poté vedere il proprio ritratto, non riuscì a nascondere la sua profonda delusione. E la registrò, piuttosto piccato, nel suo Viaggio in Italia: «È pur sempre un bel giovanotto, ma in lui non vi è alcuna traccia di me». Come mai questa avversione? Secondo Michael Krapf il motivo è molto semplice. Probabilmente il lavoro di Angelika non aveva tutta quella riverenza che lei avrebbe dovuto mostrare nei confronti del principe dei poeti; essendo un’opera realistica gli somigliava troppo e in questo modo era troppo diversa dalla concezione che Goethe aveva di se stesso. È probabile che lui ambisse a quel tipo di glorificazione che, più tardi, gli verrà offerta dal Tischbein con il famoso Goethe nella Campagna Romana.

L’ultimo dei saggi è Le “Memorie istoriche” di Angelika Kauffmann, redatte da Giuseppe Carlo Zucchi. Helmut Swozilek, già direttore del Vorarlberger Landesmuseum, presenta e analizza un manoscritto di 72 pagine, oggi di proprietà del museo, definendolo come «il padre delle altre biografie, manoscritte e a stampa» riguardanti Angelika. Queste memorie vennero redatte nel 1788, quasi vent’anni prima della morte della pittrice. L’autore era fratello di Antonio Zucchi, secondo marito di Angelika, quindi un parente stretto. Questo potrebbe spiegare alcune dimenticanze (il primo sfortunato matrimonio, la storia meschina del Mago di Hone, l’esclusione dal gruppo di artisti incaricati della decorazione della cattedrale londinese di St. Paul) e altrettante presenze (tutti i parenti Zucchi). Già nel 1999, Helmut Swozilek aveva pubblicato uno studio approfondito – con la trascrizione, la versione in lingua tedesca e un commento esaustivo – sulle Memorie [Memorie istoriche di Maria Angelica Kauffmann Zucchi riguardanti l'arte della pittura da lei professata, Venezia 1788 / scritte da G. C. Z. (Giuseppe Carlo Zucchi); herausgegeben, transkribiert, übertragen und kommentiert von Helmut Swozilek. - Bregenz : Vorarlberger Landesmuseum, 1999. - 355 p. : ill.; 30 cm). Inoltre lo studioso, nativo del Vorarlberg, aveva condotto una serie di ricerche sui soggiorni di Angelika e del padre Johann Joseph in Valtellina. Per questo aveva soggiornato anche a Morbegno.

Segue poi un capitolo dedicato ad alcuni documenti, mentre la conclusione è riservata a un intervento del curatore Tobias G. Natter, il quale ci presenta, sotto il titolo di Cronologia, quella che in realtà risulta essere una vera e propria biografia, breve ma completa, indispensabile per chiunque voglia seguire anno dopo anno il percorso della vita di Angelika Kauffmann. Vanno, infine, segnalate la dovizia di note e la bibliografia, oltre al ricco apparato iconografico. Tutte caratteristiche che contribuiscono a rendere il volume uno strumento prezioso e indispensabile per chiunque voglia conoscere e approfondire la Kauffmann.

 

Accanto all’originale in lingua tedesca, la casa editrice Hatje Cantz ha pubblicato il catalogo in lingua inglese. Un’edizione che rispecchia l’originale in ogni sua parte: dal numero delle pagine alle illustrazioni. Solo il titolo presenta il nome e il cognome di Angelika così come sono stati conservati nel mondo anglosassone (con la “c” al posto della “k” nel nome e con una “n” finale in meno nel cognome): Angelica Kauffman: a woman of immense talent. Ma questo non deve stupire. Anche Heinrich Füssli, il famoso pittore di Zurigo – pure lui nato nel 1741 come Angelika – adottò la grafia Fuseli per facilitare la pronuncia del suo cognome agli inglesi tra cui visse.

Voglio subito far presente che le annotazioni che seguono, oltre a valere soltanto per l’edizione in lingua inglese, vanno considerate delle piccole note a margine e non possono incidere in alcun modo sul valore generale della monografia, la quale resta in ogni caso “uno strumento prezioso e indispensabile”. Nell’edizione in lingua inglese, purtroppo, a un primo riscontro, vi è almeno un’incongruenza, in cui è caduto uno dei valorosi traduttori. Oltre a un banale refuso, col quale Sigmund Freud diventa “Freund”, a pagina 278 viene riportato un episodio triste della vita di Angelika, trascrivendo anche un brano da una sua lettera. «Alcuni mesi più tardi, l’11 gennaio 1782, muore il padre. Tre settimane più tardi muore la sorella del padre, che Angelika Kauffmann – è lei che ce ne informa amava come una madre. Il dolore è così profondo, che la pittrice se ne lamenta ancora dopo mesi: “…la tristezza nel mio animo per la perdita di mio padre tanto amato e dell’amata zia non è diminuita né poco né punto... è una ferita nel mio cuore che non guarirà mai per tutto il tempo della mia vita.” (lettera del 23 luglio 1782)». Questa è la traduzione corretta dall’originale in tedesco. La versione inglese ha trasformato, invece, la sorella del padre in una sorella di Angelika (ma la stessa Angelika scrive “base”, nella lettera. E “Base” nel tedesco della Svizzera vale ancor oggi come “zia”; al più la si trova in uso nella Germania meridionale con il significato di “cugina”). Forse la colpa è stata del poco tempo a disposizione, ma è un vero peccato, perché manterrà ancora delle imprecisioni intorno alla conoscenza minuta della vicenda biografica della grande artista. Tra l’altro, proprio nella versione inglese, quella che – anche per sole ragioni linguistiche avrà la massima diffusione nel mondo degli studiosi, spiace scoprire che, nei pochi riferimenti alla nostra Valtellina (sappiamo che Angelika trascorse i primi anni dell’infanzia a Morbegno), vi sia un ulteriore refuso. Alla pagina 66, nel commento dell’«autoritratto come cantante», si trova un fantomatico Morbergo invece di Morbegno, che al contrario è scritto con esattezza nella versione tedesca e inoltre si legge chiaramente sul margine inferiore della tela riprodotta a p. 67.

 

Renzo Fallati


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