Pianeta jazz e satelliti
Officium Novum: l'incanto dell'Hilliard Ensemble e di Garbarek
23 Settembre 2010
 

Nel 1993 Manfred Eicher, patron della E.C.M. era alla ricerca di una idea per festeggiare adeguatamente i 25 anni di attività della sua etichetta, che ricorrevano l'anno successivo. Gli balenò l'intuizione di accostare il quartetto vocale inglese Hilliard Ensemble, votato alla musica sacra ed ad un repertorio del cinque-seicento, con il suono inconfondibile dei sassofoni del norvegese Jan Garbarek. Il connubio, vinte le iniziali perplessità, vide un summit tra i musicisti: l'ensemble scelse un brano del 500', "Parce Mihi Domine" di Cristobal De Morales. Il quartetto iniziò a cantare e Garbarek cercò di inserire il suo soprano improvvisando alcune frasi. Eicher rimase incredulo ed esterrefatto e propose ai musicisti di entrare quanto prima in sala di registrazione: nacque Officium, un album uscito nel 1994 e che divenne subito un caso. Da allora Garbarek e l'Hilliard periodicamente vanno in tournée, con concerti in tutto il mondo quasi sempre ubicati all'interno di chiese o monasteri.

Da due settimane in contemporanea mondiale è nei negozi Officium Novum, terzo capitolo dell'avventura musicale, e l'appuntamento presso la Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo costituiva l'unica data italiana. Consueto l'inizio spiazzante ed emozionante, con il solo Garbarek sul pulpito mentre i quattro cantori si avvicinano all'altare dai quattro diversi angoli della chiesa. Poi per oltre un'ora le voci creano una magia spazio-temporale, accompagnando l'ascoltatore in un viaggio nei diversi secoli della storia europea, unendo questa volta l'occidente all'oriente grazie alle bellissime composizioni dell'armeno Komitas Vardapet. Il nuovo album viene eseguito per intero, con nel mezzo la ripresa di qualche brano storico (“Tres Morillas M'enamoran”), lo struggente “Most Holy Mother of God”, brano appositamente scritto da Arvo Part per l'Hilliard ed un paio di composizioni di Garbarek (ho riconosciuto “We are the stars”) che testimoniano lo sforzo di reciprocità e di incontro tra i musicisti. Non solo musica sacra con un sassofono a intercedere e intersecarne le linee vocali, ma ricerca di un terreno nuovo, di rinnovata collaborazione e di sperimentazione. Spesso Garbarek spariva letteralmente tra le navate o dietro l'altare, dando al suono del soprano una spazialità imprevedibile, a volte imitato dai quattro che camminando tra il pubblico e gli spazi vuoti caricavano ancor più il già forte impatto emotivo, destrutturando l'immagine dei concertisti separati dal pubblico e producendo vibrazioni di fortissima carica spirituale, bellezza sospesa, incantamento. La magia del quintetto si è ripetuta, portando arie nuove e maggiore varietà. A gran voce richiamati dal pubblico eseguono come bis lo struggente “Remeber me My Dear”, tratto dal secondo album Mnemosyne del 1998.

Un concerto strepitoso, lontano da qualsiasi possibile classificazione, vicino a chi ricerca una forte valenza spirituale nella musica.

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Roberto Dell'Ava


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