Pianeta jazz e satelliti
Paranoie e magie: Keith Jarrett Trio a Bergamo
18 Luglio 2010
 

All'ingresso del Lazzaretto, lo splendido spazio dove si è esibito il trio, campeggiano ovunque cartelli di divieto: no video, no audio, no foto, no smoking (all'aperto?...). Il palco poi è avvolto da tendaggi, srotolati solo poco prima dell'inizio, che avrebbero lo scopo di mantenere la temperatura a 21 gradi. Impossibile, vista la canicola, ma comunque precisa richiesta del sommo antipatico, il quale, detto per inciso, è arrivato nel pomeriggio con aereo da Nizza dove fa ritorno immediatamente dopo il concerto. Un travet di lusso verrebbe da pensare, egocentrico e maniacale come pochi, ma genio immenso quando siede alla tastiera. Ogni tanto le sue paranoie fanno scoppiare polemiche, ma in genere l'appassionato è disposto a sopportare, cosa che il pubblico bergamasco ha fatto disciplinatamente, anche quando Jarrett ha rifiutato il secondo bis per ignoti motivi, con Peacock che già aveva imbracciato il contrabbasso.

Ho ascoltato il trio molte volte, l'ultima in ordine di tempo è stata la fatidica serata di Perugia, quella che è poi costata il bando da Umbria Jazz a Jarrett. La sensazione immediata che ho avuto fin dai primi brani della serata è di un progressivo lavoro di prosciugamento, rarefazione, limatura del superfluo. Nel corso del tempo il trio è divenuto una macchina sempre più perfetta, eliminando orpelli e contenendo esuberanze. Basta vedere il ruolo di De Johnette, mai così basilare e fondamentale nel suono complessivo, e sempre assolutamente controllato e minimale. Esattamente il contrario di quello che accade invece nella maggior parte dei progetti personali del batterista. Anche l'apporto di Peacock mi è parso particolarmente concentrato ed in evoluzione; mai solo supporto ritmico ma sopratutto melodico, liricamente alternativo al leader, con un suono di inconfondibile bellezza. Il repertorio è ovviamente il solito: la grande canzone americana più qualche brano preso direttamente dalla penna di grandi jazzisti (Thelonious Monk, John Lewis,...). Due set, il primo di circa 50 minuti con la musica che sale progressivamente di intensità, raggiungendo il culmine nella coda improvvisata dell'ultimo pezzo. Sono momenti di magia pura, con Jarrett che inventa una melodia costruita su poche note ripetute. Tensione e rilascio, bellezza e rapimento. I piatti che scandiscono meravigliosamente il tema, poi la musica si acquieta e purtroppo giunge la pausa che spezza l'incantesimo. La seconda parte è piuttosto corta, circa una mezz'ora, la magia non si ripete ma classe, buon gusto e interplay sono profusi a piene mani. Jarrett è concentrato e inventivo, controllato sia nelle esposizioni dei temi sia nelle successive improvvisazioni. Mai una parola al pubblico, nemmeno la presentazione dei due partners, solo inchini e ringraziamenti alla fine, prima dell'abbandono del palco.

Ascoltare questi tre maestri è sempre una esperienza gratificante, anche conoscendone repertorio e idiosincrasie e nonostante prezzi tutt'altro che popolari.

 

Roberto Dell'Ava


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