Lo scaffale di Tellus
Iran, tra violenza e resistenza
24 Maggio 2006
 

«Quello che appare scioccante e allarmante è il fatto che il pericolo del fondamentalismo islamico non è un caso unico o limitato solo al Medio Oriente o ad i paesi islamici. Il suo spettro sta avanzando attraverso l’Europa». Non sono parole di un incallito neo-con, e neppure le ricaviamo da un testo pubblicato sul Foglio di Giuliano Ferrara. È, piuttosto, quello che si può leggere su Liberazione, in un lungo intervento di Sarvi Chitsaz, dell’Iranian Women Against Fundamentalism. Sgomberato il sospetto che si possa trattare di un Michael Ledeen, di un David Frum, di Charles Krauthammer, o di qualche loro emulo, conviene proseguire nella lettura.

«Nei paesi occidentali», sostiene Chitsaz, «si tenta di far passare la questione come un problema del rapporto tra due culture diverse. La questione più seria in questo scontro è quello delle donne. Le relazioni esistenti in merito alla condizione delle donne musulmane in alcuni di questi paesi sono veramente scioccanti. Sarebbe stato impensabile pochi anni fa che alcune di loro in Francia sarebbero state disposte a mettere a repentaglio la propria vita piuttosto che farsi visitare da un medico maschio. Ma oggi ci troviamo sempre più spesso di fronte a queste scelte, nonostante siano del tutto contrarie agli insegnamenti islamici».

Si cerca poi di dare una risposta a quella che è a tutti gli effetti la madre di tutte le domande: come riuscire a affrontare il fondamentalismo islamico ed opporvisi senza ignorare l’oltre miliardo e mezzo di musulmani nel mondo? «Pensiamo che la risposta sia in una parola: Islam democratico. Che cos’è? Ritengo che la linea di distinzione fra l’Islam democratico e il fondamentalismo è data dalla libertà femminile. L’Islam democratico enfatizza la pari dignità umana e l’eguaglianza fra donne e uomini e gli esseri umani coscienti, liberi e responsabili».

A questo punto può essere utile la lettura di un libro da poco pubblicato e di cui pochissimo si è parlato (e sarà un caso?). Il libro si chiama Chi ha paura dell’Iran? (Sperling & Kupfer, pagg. 166, 15 euro). Lo ha curato una donna, Lila Azam Zanganeh, una giovane intellettuale iraniana che vive esule negli Stati Uniti; scrive per Le Monde e il New York Times, e ha raccolto storie, opinioni, riflessioni di alcuni tra i più importanti intellettuali e artisti iraniani. Molti di loro, non avendo accettato di assoggettarsi ai diktat del regime di Teheran sono esuli: per esempio l’attrice Shoghreh Aghdashloo, una nomination agli Oscar per La casa di sabbia e nebbia; o Shirin Neshat, o ancora Azar Nafisi, autrice del best-seller leggere Lolita a Teheran.

Utile lettura: si fa piazza pulita di una quantità di luoghi comuni e di stereotipi, ed emerge un’immagine complessa e variegata di un paese che oppone come può una resistenza al regime di fanatici ayatollah.

E qui si può tornare a Sarvi Chitsaz: per vincere la “legge” dei fanatici integralisti, dice, un ruolo decisivo lo possono giocare le donne; e non a caso in paesi come l’Iran si sono scatenati proibizione, morte, divieti. Ma è da loro che può venire il vero cambiamento.

È notizia di queste ore che si progetta di installare in Europa lo “scudo” che gli americani intendono schierare per contrastare la minaccia di missili provenienti dall’Iran, e con ogni probabilità i paesi prescelti saranno la Polonia o la repubblica ceca. La decisione sarà formalizzata questa estate, ma il Pentagono ha già chiesto al Congresso l’autorizzazione di spesa per 56 milioni di dollari per i primi lavori alla base che sarà operativa, secondo i piani entro il 2011, costo complessivo per lo sviluppo del sito europeo, 1,6 miliardi di dollari. Vi saranno dislocati dieci missili intercettori in grado – si dice – di colpire in volo testate di missili lanciati dal territorio iraniano e dirette contro paesi europei o obiettivi negli Stati Uniti (anche se Teheran ancora non ha sviluppato missili intercontinentali).

La logica che anima il progetto sembra essere quella del vecchio “si vis pacem, para bellum”; però, con quel 1,6 miliardi di dollari, o anche semplicemente con i primi 56 milioni per cominciare i lavori, quante “armi di attrazione di massa” si possono assicurare? Emma Bonino da tempo di ricorda – forte della sua indubbia esperienza “araba” – che la democrazia più che esportarla, va alimentata e nutrita in primo luogo aiutando e sostenendo i democratici che vivono e lottano in quei paesi arabi e musulmani dove la democrazia è solo un’aspirazione. «C’è una realtà», dice il regista iraniano Abbas Kiarostami, «che dista un’intera galassia da ciò che dicono i media e dalla brutta immagine che il governo iraniano proietta all’esterno». E Sarvi Chitsaz: «Le donne in Iran non hanno mai accettato l’interpretazione integralista ed hanno sempre sfidato la legge dei mullah. Ecco perché delle 120mila esecuzioni politiche avvenute dal 1979 a oggi, un terzo sono state esecuzioni di donne. Molte di queste, musulmane praticanti, sono state torturate e violentate nelle prigioni e nelle celle sotterranee».


Gualtiero Vecellio

(da Notizie radicali, 23/05/2006)


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