Diario di bordo
Michele Minorita. L’associazione “Zone del silenzio” per conoscere la verità, per ottenere giustizia
29 Aprile 2010
 

La nota di oggi comincia con la notizia della costituzione di un’associazione che riunisce i familiari delle tante persone che sono entrate vive in un carcere, in un commissariato, in una stazione dei carabinieri e ne sono usciti morti, e non si sa come e perché siano morti. Si sono incontrati a Pisa: la madre di Niki Gatti, trovato morto il 28 giugno di due anni fa, nella cella del carcere di Sollicciano, quattro giorni dopo il suo arresto; i familiari di Francesco Mastrogiovanni, il maestro ucciso a luglio in un ospedale di Sala Consilina: c‘è un video che mostra Francesco calmo ma legato, che crolla dopo la quarta iniezione e viene legato mentre dorme, 82 ore senza un gesto di umanità da parte di un infermiere, senza la visita di un medico; e alla fine la morte. E ancora: Francesk Vukaj, che non crede al suicidio di suo figlio Bledar, promessa del football americano trovato morto nel cremonese: un caso è stato archiviato ma da mesi nessuno gli dice perché. C’era Federica Barbieri: fa parte di una delle 36 famiglie di lavoratori del cantiere navale Nca morti per amianto. Suo padre c’è stato dal 1966 al 1992. Dieci anni dopo s’è preso l’asbestosi che l’ha ucciso nel 2007. L’Inail nega che sia una malattia professionale e, in appello, la sua famiglia è stata condannata a restituire indennizzo con gli interessi. Eppure l’ultimo morto tra gli ex della Nca c’è stato qualche giorno fa: Bruno Moscatelli, 63 anni. Con loro c’erano la mamma di Marcello Lonzi; la madre di Manuel Eliantonio; i familiari di Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Stefano Frapporti, Aldo Bianzino. Le persone che hanno dato vita alle Zone del silenzio metteranno in rete il dossier: “Verità una, giustizia nessuna”.

 

E a proposito di morti strane. Sabato scorso abbiamo parlato del suicidio in carcere di Giuseppe Palumbo, mandante ed esecutore con altri complici, del raid in una sala giochi di Giugliano, vicino Napoli; e successivamente in una sala bowling a Pozzuoli il 14 marzo scorso; spedizioni punitive immortalate dalle telecamere di un circuito interno, quelle immagini sono state trasmesse un po’ da tutte le televisioni. Sulla morte di Palumbo, sta indagando la magistratura. Si cerca di capire che cosa può averlo indotto a togliersi la vita. C’è un mistero, costituito da due telegrammi. L’avvocato della famiglia Palumbo dice di non saper nulla di questi telegrammi; e che comunque non è stata òa famiglia a spedirli. Chissà chi li ha scritti, e che cosa è stato scritto… È una vicenda su cui converrà prestare un po’ di attenzione; soprattutto perché sembra non interessare nessuno.

 

Nuovo suicidio nel carcere di Teramo

Dal Redattore sociale, l’agenzia realizzata dalla comunità di Capodarco:

«Una media di un morto al mese. Questo il triste conteggio nelle carceri abruzzesi dove dal gennaio ad aprile tre persone si sono tolte la vita e un’altra è morta per overdose. L’ultimo episodio ieri nel carcere di Teramo, dove un detenuto si è impiccato con le stringhe delle scarpe. Si chiamava Gianluca Protino, recluso dall’ottobre scorso nel reparto di alta sicurezza.

Prima di lui altri due casi di suicidio, entrambi nel carcere di Sulmona, struttura che ospita il 41 bis, una casa lavoro con un numero di reclusi all’incirca il doppio di quelli che può accogliere e con una elevata percentuale malati psichici. La mattina di venerdì santo Romano Iaria era uscito di prigione per trascorrere le feste pasquali con la famiglia; lo stesso giorno però era stato costretto, non si sa ancora perché, a tornare in cella, dove si è tolto la vita impiccandosi alle sbarre. Lo stesso è accaduto a Amato Tammaro di Villa Literno, che il giorno della befana si è impiccato con le lenzuola alla grata del bagno.

A questa conta dei poi aggiunto il decesso di Domenico Cardarelli, detenuto nella casa lavoro del carcere di Sulmona, trovato morto nella sua cella, la notte di giovedì 8 aprile, a causa, secondo l’autopsia, di un edema polmonare provocato dall’assunzione di droga. Infine un’attenzione particolare merita la vicenda di Uzoma Emeka, nigeriano rinchiuso nel carcere di Teramo, deceduto nel dicembre scorso a causa di un tumore al cervello mai diagnosticato.

L’uomo era il testimone chiave della vicenda dei pestaggi all’interno del carcere. La storia era venuta alla luce grazie ad una registrazione del novembre scorso in cui si sentiva la voce di alcuni agenti, tra i quali anche quella del comandante, che parlavano di pestaggi a danni di detenuti da farsi in luoghi precisi e lontani da occhi indiscreti. Dopo cinque mesi d’indagine, è stata chiesta l’archiviazione, il magistrato ha denunciato un’omertà carceraria che avrebbe impedito di raccogliere prove indispensabili per arrivare al processo.

 

Padova

Le carceri ovunque sono sovraffollate. Padova però sembra un caso tra i più gravi. I reclusi sono più di 250, la capienza è di 90. In alcune celle costruite per ospitare quattro detenuti, ne sono stipati addirittura 11, molti dei quali costretti a dormire coi materassi per terra. Basta questo per capire in quali condizioni igienico sanitarie si trovino i reclusi del Circondariale.

 

Cuba

Per la terza domenica consecutiva le dame in bianco, le donne madri, mogli, sorelle, compagne di dissidenti perseguitati dal regime di Fidel e Raoul Castro, non hanno potuto marciare per le strade di L’Avana. All’uscita dalla chiesa di Santa Rita, le donne sono state circondate da scherani del regime, insultate e minacciate. Da quando il regime, nel 2003, ha arrestato 75 dissidenti, le dame in bianco manifestano ogni domenica; ma nelle ultime tre settimane viene loro impedito.

 

Cina

La repressione contro il dissenso e gli attivisti per i diritti umani nel 2009 è aumentata: è quanto sostiene Difensori dei diritti umani in Cina, un’organizzazione che opera soprattutto sul web che, ogni anno, fa punto sulla situazione. Nel rapporto vengono citati diversi dissidenti incarcerati nel corso del 2009, come lo scrittore Liu Xiaobao, condannato a 11 anni per avere partecipato alla compilazione di un ‘manifestò in cui si sollecitano riforme politiche. Secondo l’organizzazione, non sono solo gli individui ad essere presi di mira ma anche gruppi organizzati, ONG e studi legali che assistono i dissidenti in carcere.

Il caso di un uomo detenuto illegalmente in un manicomio per sei anni sta scuotendo l’opinione pubblica cinese dopo le rivelazioni della stampa locale. Non solo i giornali indipendenti di Hong Kong ma anche alcuni autorevoli giornali della Repubblica Popolare Cinese, come il Quotidiano della Gioventù di Pechino, hanno dedicato ampio spazio alla vicenda di Xu Lindong, 50 anni, internato dalle autorità della sua città natale, Daliu, nella provincia dell’Henan, per impedirgli di presentare una petizione al governo centrale con la quale intendeva denunciare i maltrattamenti subiti da un suo vicino paraplegico.

Xu è stato chiuso in manicomio nel 2003 ma solo quattro anni dopo la sua famiglia ne è stata informata. L’uomo ha affermato di essere stato sottoposto ed elettroshock e di essere stato spesso legato al suo letto. Secondo Human Rights Watch non si tratta di un caso isolato. In Cina, denuncia l’organizzazione, si stiano moltiplicando i casi di istituzioni psichiatriche per detenere illegalmente e mettere a tacere dissidenti o semplicemente cittadini che hanno avuto dei problemi con le autorità locali.

 

Michele Minorita

(da Notizie radicali, 28 aprile 2010)


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