Diario di bordo
Enrico Peyretti. Va cacciato
11 Aprile 2010
 

Al momento di votare si fa quel che si può, che può essere il meno peggio, cioè il meglio relativamente possibile. Ma dopo si ricomincia a ragionare in modo ampio, e a parlare liberamente, guardando anche lontano, e non solo vicino.

Ebbene, questo governo va cacciato. Senza violenza, col metodo democratico, ma con la massima decisione politica. È il “governo degli affari propri”, degli affari privati del suo piccolissimo capo, aiutato dai suoi manutengoli e compari. Ora che il suo potere si è consolidato con le regionali, si deve consolidare il progetto per cacciarlo.

Questo va detto e ridetto, e dimostrato, e martellato, proprio nel tempo fuori-elezioni. È in questo tempo che si forma e si riforma l'opinione pubblica. Nel momento delle elezioni ci si adatta realisticamente. Nel tempo del dibattito si cerca la verità più avanti della realtà. La verità di fatto è che questo governo, modellato su un piccolissimo uomo, immiserisce l'Italia.

La parola è una forza grande. Conta più dei fatti perché spiega e orienta i fatti. I fatti sono sempre ambigui, oscuri. È la parola che gli dà significato e li orienta. Gli operai della parola, gli intellettuali, informatori, educatori, devono esporsi alla luce, senza calcoli, e dire la verità brutta dell'Italia di oggi. Devono frustare il malcostume di cui il Piccolissimo è effetto e causa nel contempo. Forse non cambieranno le cose. Ma forse invece sì.

Questo governo del Piccolissimo piace a egoisti e ignoranti e ingannati: agli egoisti, che farebbero lo stesso se fossero al suo posto, perciò lo ammirano e lo approvano; piace agli ignoranti, appositamente mantenuti nell’ignoranza, che non sanno cosa sia la civiltà giuridica, la quale è la limitazione della forza fattuale, e non la sua traduzione in legge che obbliga tutti; piace agli sprovveduti, ingannati e intossicati per decenni dall’arma mediatica che quel tale si è procurato da gran tempo, con l’aiuto di complici, e dall'imperativo consumistico, che Pasolini aveva segnalato.

Ora il Piccolissimo stravolgerà la Costituzione. Non solo guida male, ma guasta la macchina, che è proprietà di tutti. Non farà riparazioni e ritocchi, ma guasti gravi, perché il suo pensiero e il suo piano sono semplicemente l’autocrazia. Nulla di meno. Non ci deve essere mediazione sul progetto anticostituzionale. Lui e i suoi devono restare soli con le loro malefatte.

La macchina e la casa della Repubblica (res publica, cioè la “cosa di tutti”) non appartiene a chi comanda, neppure se fosse designato nel modo più corretto. Appartiene a tutti, e solamente tutti, o la grandissima parte, possono modificarla, ma non possono lecitamente rovinarla.

Il Piccolissimo (“uomo la cui statura supera l’altezza morale”, come Sturzo disse di Giolitti, che era molto alto), il cui piano è notoriamente attuare il piano eversivo della P2, è l’avversario del bene comune. Va cacciato. Semplicemente cacciato. Certo, soltanto con la democrazia. Ma la democrazia non esiste senza chiarezza di visione e di volontà. Va cacciato anche per il suo bene personale, perché è a rischio fisico e psicologico per l’ossessione del potere che lo possiede e lo costringe a mosse quantitativamente vincenti, ma umanamente disperate. Come persona fa pena. È il più ingannato di tutti, avvolto nelle spirali del proprio gioco degli inganni. Che possa vivere i suoi ultimi anni libero dalla propria malattia. Ma che paghi i conti con la legge, vincolante anche per lui.

L’opposizione, se vuole esistere, deve proporre agli italiani la cacciata del Piccolissimo dal governo, dicendone chiarissimamente i motivi stringenti. La sua proposta positiva deve consistere nel perfetto contrario dei piani della P2. Si tratta, dunque, della difesa positiva della Costituzione nei suoi valori indisponibili, e della sua evoluzione coerente con i suoi valori fondanti, con la forma democratica e non autoritaria e personalistica dello Stato. Si tratta del primato indiscutibile dei bisogni e diritti di tutti sulle pretese di pochi o di uno solo: perciò giustizia sociale, lotta ai privilegi, equità e proporzionalità fiscale, quindi attuazione del super-articolo 3 della Costituzione. Si tratta di salvaguardia del futuro per le nuove generazioni, perciò restaurazione e tutela del territorio, “economia verde”, e non grandiose e pericolose speculazioni. Si tratta di dare qualità alla vita della popolazione, perciò istruzione, informazione, comunicazione, come beni primari della libertà giusta, della società aperta, della ricchezza umana, al di sopra di tutti i profitti materiali particolari. Si tratta di restituire sicurezza ad una società artificiosamente spaventata, ridotta nella gabbia degli egoismi tristi, mentre cadono gli steccati fra i popoli, e di farlo non con le politiche ingiuste securitarie e discriminanti, ma con la fiducia nelle legge fatta rispettare anzitutto a chi è più fortunato, a tutela dei più sfortunati, nativi o immigrati.

Se l’opposizione dicesse chiaramente queste cose – cioè se le pensasse e le volesse davvero (io temo di no) – il popolo capirebbe: l’egoismo umano è distribuito tra tutti; anche l’inganno colpisce tutti; ma alla fine la gente non è stupida. Puoi ingannare molti molte volte, ma non tutti per sempre. Le difficoltà economiche si affrontano meglio con la solidarietà per il bene generale e per i diritti deboli, mentre si aggravano sotto la tempesta della rivalità scatenata tra gli interessi particolari e sotto il dominio incontrollato degli interessi forti. La politica può ancora essere ispirata da moralità, giustizia, verità: diciamo pure da fraternità. Se ci crediamo.

La debolezza dell’opposizione è nelle idee assai più che nei numeri. È debolezza morale più che politica. Ci sono riserve morali nel paese, ma la politica come mestiere non ha occhi per vederle e non sa accoglierle quando si presentano. 

Il Piccolissimo va scacciato dal potere. Non esiste opposizione senza questo programma risanatore dell’Italia. È possibile se si capisce, se si vuole, se non si è implicati nel disastro civile attuale. La gente potrà capire, a un certo punto, se le si dicono subito chiaramente le ragioni della giustizia, della vera libertà, del vero interesse comune.

Se trovate un po’ giuste queste ovvie considerazioni diffondetele, che diventino volontà.

 

Enrico Peyretti

(da ilfoglio.info, 9 aprile 2010)


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