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La regista Marina Spada parla del suo film su Antonia Pozzi: Poesia che mi guardi
La locandina del film
La locandina del film 
26 Marzo 2010
 

Canto della mia nudità

 

Guardami: sono nuda. Dall’inquieto

languore della mia capigliatura

alla tensione snella del mio piede,

io sono tutta una magrezza acerba

inguainata in un color d’avorio.

Guarda: pallida è la carne mia.

Si direbbe che il sangue non vi scorra.

Rosso non ne traspare. Solo un languido

palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.

Vedi come incavato ho il ventre. Incerta

è la curva dei fianchi, ma i ginocchi

e le caviglie e tutte le giunture,

ho scarne e salde come un puro sangue.

Oggi, m’inarco nuda, nel nitore

del bagno bianco e m’inarcherò nuda

domani sopra un letto, se qualcuno

mi prenderà. E un giorno nuda, sola,

stesa supina sotto troppa terra,

starò, quando la morte avrà chiamato.

 

A. Pozzi - Palermo, 20 luglio 1929

 

 

È stato l’incontro con la poesia di Antonia Pozzi (e per primo coi versi sopra riportati, che lei scrisse a diciassette anni) a lasciare sbalordita e ammirata Marina Spada, la regista del film Poesia che mi guardi. E a dare il via al progetto di raccontare la vita di questa poetessa milanese e le tematiche che l’hanno abitata. A Morbegno, lunedì 22 marzo, è stato trasmesso il film alla presenza della regista che è stata generosa negli interventi e ha risposto alle numerose domande degli spettatori. “La trovo fantastica e assolutamente moderna. Mi sono detta oggi sarebbe stata una punk… Ho voluto con questo film renderle giustizia; giustizia per le incomprensioni del suo tempo e anche per quelle successive. Solo in epoca recente le è stato infatti riconosciuto il suo alto valore di poeta”.

Il film è incentrato sulla lettura delle poesie della Pozzi, grazie alla voce fuori campo di una giovane che rappresenta la regista, Maria. Sarà lei ad entrare in contatto con un gruppo di studenti universitari denominatosi H5N1, estimatori di poesia, i quali a partire dalla città di Pavia per poi dilagare a Milano e altrove hanno deciso di diffondere il virus della poesia e lo fanno appendendo sui muri volantini e manifesti letterari, versi liberi che celebrano il mondo poetico. Maria riuscirà ad incuriosirli e a coinvolgerli nella storia e nella poetica della Pozzi, e loro ne rimarranno colpiti positivamente, tanto da farne un naturale terreno di studio. A completare questo sguardo contemporaneo su Milano e sulla poesia, si integrano nel film, in maniera discreta e rispettosa, i versi della poetessa in un accostamento che ne arricchisce la memoria e il piacere dell’ascolto. Il tutto con numerose riprese dei filmati familiari della Pozzi - scovati in modo casuale fra i tanti documenti che compongono il lascito della poetessa, custodito gelosamente da Suor Onorina Dino - e le numerose e bellissime foto eseguite da Antonia Pozzi, nell’esercizio di quell’altra sua grande passione che fu appunto la fotografia.

«Grazie a questo film ho capito alcune cose di me; ci ho messo l’anima, francamente. Tre anni e due esaurimenti nervosi!» continua la regista scherzosamente. «Di lei mi ha colpito la capacità estrema di mettere il suo vissuto in poesia e rielaborarlo, tant’è che spesso ritroviamo tracce di avvenimenti salienti della sua biografia dentro una poesia, ma anche in una sua lettera e ancora in una foto da lei realizzata… Antonia era davvero una jeune fille della borghesia milanese del suo tempo, una ragazza che ha dovuto recitare un ruolo. Nelle sue poesie usciva vera, ma ecco che allora veniva ricondotta entro certi paletti. Le si diceva non scrivere troppo, sei disordinata, la si riconosceva come intellettuale ma non come poeta e questo a partire dalla sua stessa cerchia di amici universitari. Fino al punto che lei cominciò a non far più leggere i suoi versi a nessuno. Per questo ho introdotto nel film il punto di vista dei tre giovani di H5N1, per far sì che oggi invece le sue poesie abitino la città, in giro, sui muri, sui tram che attraversano Milano…»

La regista continua spiegando quali sono stati i temi principali sui quali ha voluto mettere l’accento, identificandoli in cinque filoni: l’amore, i cosiddetti abiti di scena ossia il ruolo che le si è voluto imporre, il bambino mai nato (ricorrente in tante sue poesie), il binomio arte/vita e come intendesse lei la letteratura. Partendo da questa ricerca, la scelta delle poesie all’interno del film.

«Di lei Montale disse, in occasione del Nobel conferitogli, che era l’unica grande poeta donna che potesse citare. E che la sua anima era troppo fragile per reggere il peso della vita… Leggendola la prima volta mi ero raffigurata un personaggio del tutto diverso da quello un po’ goffo, molto timido e esteriormente conforme al suo tempo che appare nelle riprese amatoriali arrivate a noi. Quasi fosse un cuore in un altro corpo».

Quel cuore che ha saputo parlare in maniera sublime e sincera attraverso le sue poesie.

 

Annagloria Del Piano


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