In tutta libertà
Alberto Figliolia. Shutter Island di Martin Scorsese
23 Marzo 2010
   

Un thriller? Un noir? Una storia gotica? Horror? Forse un... horror psichico. Forse. Invero non è facile andare a catalogare un film come Shutter Island di Martin Scorsese.

I fantasmi della mente. La paura. I baratri dell'inconscio. La realtà che non si può volere. La follia come scudo per un'anima irrimediabilmente distrutta; la schizofrenia come salvezza dall'inaccettabile, dall'inenarrabile dramma della vita.

Shutter Island è “l'evoluzione” di Cape Fear-Il promontorio della paura, pellicola girata dal grandissimo Martin nel 1991 con attori in stato di grazia quali Robert De Niro, Juliette Lewis, Nick Nolte e Jessica Lange, che già indagava fra i meccanismi dell'irrazionale, nelle terre del male, nelle zone di confine fra lecito e proibito, desolate lande dove ogni uomo può essere qualsiasi cosa: dalla banalità del male, vissuto scientemente, a un terrifico stato di insipienza sul proprio essere la cui scoperta può scagliare nell'... altrove.

Shutter Island è un capolavoro, come lo fu Il gabinetto del Dottor Caligari (Das Kabinet des Dr. Caligari). Un film a più livelli, di continui disvelamenti, di letture e sottoletture, ramificazioni impreviste, un viaggio negli inferi interiori. Un'isola-manicomio, detenuti.malati di mente o viceversa, una coppia di detective FBI che deve indagare (l'anno è il 1954) sulla scomparsa di una pluriomicida che sarebbe fuggita da una cella blindata della prigione-ospedale sull'isola-fortezza. Un mistero. Il mistero, i misteri – sempre -, della mente. Le ferite inferte dalla vita, infine.

Teddy Daniels (uno straordinario Leonard Di Caprio, con un principio di abbozzo di doppio mento ma un fascino attoriale sempre più marcato) e il suo partner Chuck Aule sono i poliziotti federali che si occupano dell'inchiesta cui paiono frapporsi ostacoli d'ogni genere: da una sorta di ambiguità degli scienziati allo scatenamento incontrollato degli elementi naturali: una tempesta violentissima, quasi un archetipo, carica di simboli (così si concludeva anche Cape Fear), come l'erta scogliera, il solitario faro, i topi che invadono le rocce, scale e corridoi nelle tenebre.

Sogni angoscianti, flashback ossessivi (le incursioni della memoria verso gli orrori di Dachau), cicli psichici come cilici, visioni e illusioni, segreti e ricordi che prendono il sopravvento sulla ragione. Eppure la ricerca della verità non può fermarsi, per quanto dolorosa essa sia.

Un cast stellare per questo film tratto da un romanzo di Dennis Lehane: Ben Kingsley, Premio Oscar per Gandhi, e Max von Sydow, attore bergmaniano per eccellenza. Due giganti, nei ruoli di due psichiatri geniali ed “equivoci”. Eccellente anche la prova di Michelle Williams.

Inquietante. Straziante e spiazzante. Commovente.

Un capolavoro.

 

Alberto Figliolia


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