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Antonia Pozzi. "Sventatezza", "Periferia in aprile"
Antonia Pozzi (1912-1938)
Antonia Pozzi (1912-1938) 
11 Marzo 2010
 

 

Nata in una famiglia dell'alta borghesia milanese nel 1912 e morta suicida a ventisei anni, Antonia Pozzi è la poetessa di cui proponiamo oggi due componimenti.

Appartenente alla prima generazione di donne frequentanti l'Università in Italia, Antonia era forte di un'ottima educazione: pianoforte, pittura, scultura, tre lingue parlate correntemente, amore per la fotografia, frequentazioni con il gruppo di filosofi allievi dell'insegnamento di Estetica di Banfi, alla Statale. Un clima culturale interessante e propositivo, anche se molto maschile e forte, quasi crudele di cui lei stessa disse: «Mi hanno fatto molto bene perché non hanno avuto pietà».

Le sue poesie, uscite postume nella raccolta Parole, ebbero un immediato consenso, anche se - come spesso accade - parte della critica ne fece una lettura riduttiva di poesia al femminile e di identificazione vita-arte. Montale, a partire da uno scritto del 1945 sul Mondo, rivendicherà per questa poetessa la definizione di «una voce leggera, pochissimo bisognosa di appoggi. Veramente significativa nel nostro tempo». (adp)

 

 

 

SVENTATEZZA

 

Ricordo un pomeriggio di settembre,

sul Montello. Io, ancora una bambina,

col trecciolino smilzo ed un prurito

di pazze corse su per le ginocchia.

Mio padre, rannicchiato dentro un andito

scavato in un rialzo del terreno,

mi additava attraverso una fessura

il Piave e le colline; mi parlava

della guerra, di sé, dei suoi soldati.

Nell'ombra, l'erba gelida e affilata

mi sfiorava i polpacci: sotto terra,

le radici succhiavan forse ancora

qualche goccia di sangue. Ma io ardevo

dal desiderio di scattare fuori,

nell'invadente sole, per raccogliere

un pugnetto di more da una siepe.

 

(22 maggio 1929)

 

 

 

PERIFERIA IN APRILE

 

Intorno aiole

dove ragazzo t'affannavi al calcio:

ed or fra cocci

s'apron fiori terrosi al secco fiato

dei muri a primavera.

Ma nella voce e nello sguardo

hai acqua,

tu profonda frescura, radicata

oltre le zolle e le stagioni, in quella

che ancor resta alle cime

umida neve:

così correndo in ogni vena

e dici

ancora quella strada remotissima

ed il vento

leggero sopra enormi

baratri azzurri.

 

(24 aprile 1937)


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