Oblň cubano
Reazioni alla morte di Orlando Zapata Tamayo 
Parlano Elizardo Sánchez e Juan Juan Almeida
24 Febbraio 2010
   

Il prigioniero politico cubano Orlando Zapata Tamayo è morto ieri in un ospedale dell’Avana, dopo 85 giorni di sciopero della fame per chiedere di essere trattato come “prigioniero di coscienza”. Zapata Tamayo è morto tra le 15:30 e 16:00 ora locale nell’ospedale Amejeiras, dove era stato portato ieri notte da un centro medico per carcerati della capitale cubana, visto il progressivo aggravarsi del suo stato di salute.

Elizardo Sánchez, della Commissione Cubana per i Diritti Umani e per la Riconciliazione Nazionale, ha dichiarato: «La morte di Zapata Tamayo non è soltanto una tragedia familiare, ma è una notizia molto grave per tutto il movimento cubano dei diritti umani e anche per il Governo, perché questa morte si poteva evitare. La scomparsa di questo dissidente comporterà gravi conseguenze, perché si trattava di un prigioniero di coscienza adottato da Amnesty International». 

Zapata Tamayo faceva parete del gruppo dei 75 dissidenti condannati nella primavera del 2003 a pene detentive che superavano i vent’anni di carcere. Il dissidente era stato trasferito dal carcere di Camagüey, situato 533 chilometri a est dalla capitale, a un ospedale di reclusi dell’Avana il 16 febbraio scorso per la gravità del suo stato di salute. La madre del prigioniero politico vorrebbe riportare il corpo di suo figlio nella provincia orientale di Holguín parché fosse sepolto nella città di Banes.

Juan Juan Almeida García, figlio del rivoluzionario Juan Almeida e da tempo in contrasto con il governo cubano, ha scritto una lettera a Raúl Castro nella quale dice: «Oggi è morto un essere umano. Il suo nome era Orlando Zapata Tamayo. No so se era bianco, nero, gay, eterosessuale, alto, basso… Non lo so. So solo che è morto dopo un lungo sciopero della fame, reclamando per i diritti fondamentali di ogni uomo. E allora le chiedo: Presidente, non prova un po’ di vergogna? Dobbiamo arrivare a questi eccessi? Non crede che sia meglio mettere da parte la superbia e ascoltare le ragioni degli altri? Oggi non le chiedo di lasciarmi uscire dal paese, oggi le chiedo molto di più. La prego, signore, le supplico di rinunciare al potere. Se ne vada da questo paese. Lei non merita rispetto».

 

Gordiano Lupi


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