Diario di bordo
Maria G. Di Rienzo. Donne creatrici di pace
29 Gennaio 2010
   

«La cornice internazionale dei diritti umani è stata troppo lenta nell'occuparsi dei diritti umani delle donne. Il pregiudizio verso le violazioni dei diritti umani nella sfera pubblica tende a privilegiare le vittime di sesso maschile e la loro autorità nella sfera privata. Come risultato, le donne sono state escluse dai risarcimenti garantiti dal diritto internazionale ed il principio di non discriminazione nella protezione, prevenzione e godimento dei diritti umani non è stato rispettato. Inoltre, in combinazione con il pregiudizio di genere che sottende la dicotomia pubblico-privato, le violazioni dei diritti umani delle donne sono state spesso soggette a discorsi essenzialisti o di relativismo culturale che evitano di riconoscere i sistemi gerarchici ed escludenti come tali, e considerano negoziabili i diritti umani delle donne» (Yakin Erturk, Rappresentante speciale delle Nazioni Unite, Rapporto 2009 sulla violenza contro le donne, le sue cause e le sue conseguenze).

Nel frattempo, le donne si occupano dei diritti umani di tutti. Nonostante siano oltre il 70% dei poveri del mondo. Nonostante svolgano i due terzi del lavoro mondiale e guadagnino il 10% dei profitti relativi. Nonostante siano i tre quarti degli analfabeti sul pianeta. Nonostante producano l'80% del cibo in tutto il mondo ma posseggano solo l'1% della terra.

* * *

Gertrude Hambira (foto) è segretaria generale del sindacato degli agricoltori nello Zimbabwe.

«Sono stata minacciata e mi è stato detto di smetterla con questo lavoro moltissime volte. Persino i miei figli mi dicono: Mamma, il tuo lavoro è troppo pericoloso. Ma quando accadono le invasioni, quando arrivano queste persone con i machete e le asce nelle fattorie, per cacciare chi ci lavora, la gente ci chiama e noi dobbiamo essere là. Per poter poi testimoniare legalmente su cosa stanno facendo agli agricoltori devi essere presente. Le donne stanno giocando un grosso ruolo nel difendere i diritti umani e nello specifico i diritti dei lavoratori, usando un approccio nonviolento. Noi del sindacato abbiamo fatto un mucchio di campagne, abbiamo fornito conoscenza e destato consapevolezza, cosi' che le donne potessero parlare per se stesse delle cose che vivono ogni giorno. Se hanno un lavoro le incoraggiamo a prendere in esso ruoli di leadership, ad essere elette nei comitati sindacali, a dar voce alle problematiche che incontrano.

Gli uomini, be', loro si arrendono troppo facilmente! Mi dicono: Madre, dobbiamo vendicarci. E io gli rispondo di darsi una calmata. È più facile che pensino subito alla vendetta, piuttosto che avvicinarsi ai problemi da un'angolatura differente. Io sono cresciuta credendo nell'approccio nonviolento e mi sono istruita parecchio al proposito: nella mia organizzazione ha funzionato benissimo. Se l'avessimo pensata in un'altra maniera credo che molto sangue sarebbe stato versato.

Certo, mi preoccupo per la mia sicurezza e per quella della mia famiglia. Sono madre di cinque figli. E tutti loro mi dicono: Mamma, perché non lasci lo Zimbabwe? E io rispondo: No, non possiamo andarcene tutti, chi continuerebbe a lottare se lo facciamo?».

* * *

Zebo Sharifova guida la Lega delle avvocate in Tajikistan.

«Le donne, specialmente se non conoscono i loro diritti, si rivolgono ai centri, inclusi il nostro, per essere difese nei tribunali. Fino a poco tempo fa non sapevano dove andare se volevano scoprire di che diritti legali sono titolari, oggi sono già più consapevoli. Un gran numero di donne che non trova modo di uscire dalla violenza domestica commette suicidio. Nel nostro centro abbiamo una psicologa con cui le donne possono parlare.

Ci sono circa venti centri per le donne in Tajikistan. Ma queste unità' di crisi funzionano solo se organizzazioni estere le finanziano. Come finiscono le donazioni finisce anche il loro lavoro. Lo stato non finanzia i rifugi ma la nostra organizzazione deve comunque fare qualcosa per queste donne. Conosciamo troppe storie di donne che sono state forzate a ritornare nelle case in cui subiscono incredibili violenze. Così abbiamo redatto una proposta di legge d'iniziativa popolare, 'Protezione dalla violenza domestica', e stiamo raccogliendo firme a sostegno di essa in tutta la repubblica.

Il lavoro è duro, ma se hai aiutato una sola donna, se una sola viene da noi e dice: 'Grazie! Adesso ho una casa che chiamo mia, adesso prendo gli alimenti', allora ne è valsa la pena. Quando vedi gli occhi di una donna che brillano di gioia, vale davvero la pena aver lavorato per quel momento».

* * *

Filomena Dos Reis è poeta, femminista, attivista per i diritti umani a Timor Est.

«Ci ho messo cinque anni a gestire i sentimenti che provavo dopo la scomparsa di mio marito durante il conflitto nel mio paese. Dopo di che, ho cominciato a lavorare per una 'giustizia riparatrice'. Se lasci che il tuo odio e la tua rabbia vivano al posto tuo blocchi qualsiasi relazione con gli altri. Ho detto alle mie figlie: Dobbiamo guardare al passato come ad un insegnante, e imparare cose per costruire il futuro. Ho incontrato le donne 'dell'altra parte', le ho abbracciate, ho pianto con loro. Indonesiane e timoresi, oggi lavoriamo insieme come creatrici dei circoli di pace».

 

Maria G. Di Rienzo

(da Telegrammi della nonviolenza in cammino, 27 gennaio 2010)


TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276