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Riccardo Cardellicchio: Miniature da Natale a Befana. “Natale”, “Una donna”, “Un uomo”...
Fucecchio
Fucecchio 
01 Gennaio 2010
 

Inizio anno con le Miniature di Cardellicchio, nella “Bottega letteraria”, a ragion veduta. Primo perché le poesie-narrative di questo amico di Tellusfolio si sposano, per brevità, incisione, e messaggio con la dinamica della pagina elettronica; secondo perché riattivano una tradizione, quella del bozzetto toscano ma unendovi la cronaca e i vissuti nella contemporaneità; terzo perché Cardellicchio, insieme ad altre firme come Cipollini e Il Santo (in altro ambito linguistico) propongono inedite scritture cresciute su Tellusfolio e Tellus. Cardellicchio, dopo una vita passata a scrivere sul Tirreno, adesso nella sua Fucecchio (Patria di Montanelli) si dedica al romanzo (è stato pubblicato interamente, su Tf-Telluserra, “Fermate La Pira. Romanzoweb a puntate”) e alla prosa breve, con risultati lusinghieri, ed è per questo che nel nuovo annuario TELLUS, il 31, in uscita nel giugno 2010, sarà presente insieme ad altri autori nella “Tastiera celeste”, che dopo quella “Rosa pallido” nell’annuario 30, avrà il compito di riportare su carta quanto qui leggete. Per offrire altri itinerari di lettura e di cura antologica illustrata. Claudio Di Scalzo discalzo@alice.it

  

 

 

Natale

Forse amerei di più il Natale se non fosse lustrini,

facciata indecente del nostro bluff,

spettacolo indecoroso

su un palcoscenico che sa d’inganno,

buonismo a buon mercato,

sorrisi che mascherano pianti,

mani tese che sono trappole

per cuori indeboliti dall’indifferenza.

 

 

Una donna

Ci s’imbatté un turnista, di ritorno dal lavoro, poco dopo l’alba. Quasi c’inciampò.

Spaventato, chiamò gente. Poi arrivarono i carabinieri. E cominciò il rito degli accertamenti.

Donna giovane, massimo trent’anni. Carnagione olivastra. Morta ammazzata. Coltellata al cuore.

Una e precisa.

Il corpo lasciato in strada, completamente nudo.

Intorno niente. Neanche le scarpe.

Poi fu portato all’Istituto di medicina legale per l’autopsia.

Poi fu trasferito all’obitorio, in una cella frigorifera.

È lì da chissà quanti anni, in attesa d’identificazione.

 

Un uomo

Ha vagato per ore in centro. Ogni tanto ha portato la mano destra in avanti. Come a chiedere l’elemosina. Ma non è l’elemosina che vuole. E’ un gesto che gli viene spontaneo nel colloquio che ha con se stesso. Un colloquio a voce alta, qualche volta. Lo impegna da mesi, ormai. Anche di notte, quando cerca di prendere sonno all’ingresso della stazione ferroviaria.

Parla con se stesso e non con gli altri. Gli altri, non riesce a raggiungerli più. Quando ci prova, balbetta. Sbaglia le parole. Non riesce a mettere insieme un discorso decente.

Ora è davanti alla vetrina e la sua figura si mischia, nel riflesso, ai manichini vestiti con indumenti colorati, per giovani.

Scaglia una grossa pietra, all’improvviso, contro la vetrina.

Il vetro di schianta, ma non cede. Allora vi si lancia contro e lo tempesta di pugni .

Riesce ad aprirsi un varco.

Si taglia e sanguina.

Butta giù i manichini. Poi rimane lì, immobile.

La gente si ferma curiosa.

Accorrono due commessi. Uno lo prende per un braccio e lo scuote. Lui lo guarda.

Ma che cavolo hai fatto?”, gli urla il commesso.

E lui, piano, intimorito: “Mi sentivo solo”.

 

 

Randagi

Attratti dai rifiuti dell’ospedale, avevano fatto branco. Erano bastardi. Non volevano essere avvicinati. Diventavano cattivi.

Si spostavano da un giardinetto all’altro. Intasavano i vialetti.

Qualcuno disse: “Sono diventati pericolosi”.

Nessuno valutò l’avvertimento.

Il pensionato e sua moglie, gente che amava i cani, li videro appena usciti da una visita di controllo.

La donna disse: “Nessuno li guarda. Nessuno li cura. Poveretti”.

Il marito scosse la testa: “Presi e abbandonati. Un gioco crudele”.

S’avvicinarono con buone intenzioni. Lei, una mano avanti per accarezzare una testa, la prima che le capitasse.

La canèa durò cinque minuti, forse meno. Ma fu cruenta.

Due infermieri accorsero sconvolti.

Urlarono, lanciando sassi.

I cani, tra ringhi, abbaiare furioso, s’allontanarono di malavoglia.

A terra, uno accanto all’altro, marito e moglie erano maschere di sangue. I vestiti a brandelli.

E neanche un piccolo segno di vita.

Uno degli infermieri usò il cellulare per dare l’allarme.

 

 

L’addio

Era l’addio al celibato. Grande festa al ristorante. Il futuro sposo al centro di scherzi..

Tanti brindisi, con auguri, avvertimenti e ammonimenti su gioie e dolori della vita a due.

Poi, la festa volgeva al termine, lo sposo fu preso per spalle e gambe e lanciato in aria.

Gridavano tutti olè, traballando.

Lo buttarono in aria una volta, e una seconda. Alla terza, alcuni mancarono la presa, e lo sposo batté la testa violentemente sull’impiantito. Un rivolo di sangue gli uscì dall’orecchio sinistro.

Non si mosse. Non si lamentò.

Il più sobrio disse: “Chiamate qualcuno, un dottore. Un’ambulanza”.

Ci pensò il ristoratore ad attaccarsi al cellulare, dopo aver gridato: “Non muovetelo. Lasciatelo stare lì”.

  

Riccardo Cardellicchio


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