Diario di bordo
IRAN: finirà così?
Mahmoud Ahmadinejad
Mahmoud Ahmadinejad 
11 Maggio 2006
 

«Ci sono diverse inquietudini che la comunità internazionale ha verso il regime iraniano, la lettera non sembra fare niente per affrontare queste preoccupazioni», commenta il portavoce di George Bush; la lettera che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha inviato al “Grande Satana” americano sembra lasciare freddi gli inquilini della Casa Bianca. Condoleezza Rice osserva che «in quel messaggio non ci sono segnali di apertura diplomatica». Il supercapo dell’intelligence USA John Negroponte sostiene che «è soltanto un tentativo di influenzare l’ONU»; per John Bolton, ambasciatore americano alle Nazioni Unite, è una manovra diversiva: «Appena viene sottoposto a pressioni l’Iran si mostra interessato al dialogo, ma quando le pressioni si allentano riprende la sua strada». Partita chiusa, dunque?

Chissà. Proprio l’altro giorno sul Wall Street Journal Sandy Berger, ex consigliere per la sicurezza nazionale dell’ex presidente Bill Clinton, è intervenuto per denunciare i gravissimi rischi di un conflitto militare, e suggerisce contatti diretti tra la Casa Bianca e il regime di Teheran. Anche dall’Europa giungono segnali in questo senso. Secondo fonti ufficiose tedesche, il cancelliere Angela Merkel starebbe spinge perché Washington apra dei canali diretti con l’Iran.

L’Iran appare determinato. Ha respinto con alterigia l’offerta-compromesso avanzata da Vladimir Putin, che si è offerto di affidare alla Russia il trattamento finale dell’uranio di Teheran per garantire in questo modo l’esclusivo uso pacifico. Secondo molti osservatori l’Iran già possiede almeno 85 tonnellate di uranio gassoso, che se venisse arricchito senza controlli, sarebbe sufficiente per costruire una decina di bombe atomiche. Del resto, un paese come l’Iran, che estrae quattro milioni di barili di petrolio al giorno, perché mai dovrebbe aver necessità di energia nucleare a fini economici e non militari? Teheran inoltre non vuole solo arricchire uranio, vuole anche avere “acqua pesante”. Il primo può servire a fare le barre per centrali nucleari; l’ “acqua pesante” serve soltanto a fare la bomba H. Ognuno ne tragga le deduzioni che crede.

Non sembra dunque in discussione la volontà dell’Iran di disporre di ordigni atomici. La domanda, piuttosto, è che cosa se ne farà. Le ipotesi a questo punto sono tre: strumento di dissuasione e deterrenza; un utilizzo per ulteriormente affermare la propria politica di potenza nella regione: attaccando per esempio Israele (appena insediato, nel suo discorso del 26 ottobre 2005 Ahmadinejad disse che «Israele va cancellata dalla carta geografica»), o nei vicini pozzi petroliferi. Ipotesi quest’ultima estremamente rischiosa: Teheran sa che cinque minuti dopo, l’intero paese verrebbe raso al suolo dalla reazione congiunta di Israele e Stati Uniti. Resta la terza ipotesi, anch’essa da brivido: costruire la Bomba per cederla a gruppi terroristici. Ma è cosa che potrebbe ritorcersi contro gli stessi ayatollah; e comunque Teheran si esporrebbe a una pesante ritorsione di Washington. Saranno fanatici, gli ayatollah, ma hanno anche dimostrato di non essere stupidi. La prima ipotesi, dunque, è quella più plausibile: compensare la Bomba israeliana e raggiungere così una posizione di “parità”, che consentirebbe di negoziare da posizioni di forza.

Quale scenario possibile? Alla fine il pragmatismo americano potrebbe portare ad accordi bilaterali. L’atomica verrebbe “tollerata” e in cambio gli Stati Uniti potrebbero ottenere l’utilizzo dello stretto di Ormuz oppure l’assenso iraniano al non riarmo dell’Irak; un Iran dotato di ordigni atomici inoltre sarebbe la migliore “giustificazione” perché truppe americane possano restare nel Golfo per un tempo indefinito. Una presenza che sarebbe legittimata agli occhi dei paesi arabi cosiddetti “moderati” e della Turchia. E non tutto il male verrebbe per nuocere.

 

Gualtiero Vecellio

(da Notizie radicali, 10/05/2006)


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