Diario di bordo
E se i cattivi o mancati risultati fossero dovuti a carenze dei metodi didattici?
Sue Parry
Sue Parry 
08 Maggio 2006
 

Ha destato giustamente scalpore la vicenda del ragazzino 12enne di Milano che, etichettato iperattivo e aggressivo, era stato allontanato dalla scuola media perché i genitori si erano rifiutati di sottoporlo a terapie farmacologiche pesanti alla stregua di un malato psichiatrico.

Che un dirigente scolastico e degli insegnanti pongano come conditio sine qua non per accettarlo nell'Istituto, che l'alunno arrivi in classe sedato, non solo è scandaloso, ma è prova di quanto la cultura psichiatrica sia entrata nella nostra scuola.

Da qualche anno a questa parte è diventato normale per gli insegnanti leggere nelle circolari scolastiche, che verrà lo psicologo/a in classe per presentare, ad esempio, il "progetto grasso/magro"; che l'Ufficio scolastico ha organizzato delle giornate di formazione per docenti referenti di Istituto sulla Dislessia; che la Provincia o il Comune hanno istituito il servizio di aiuto psicologico per alunni, genitori ed insegnanti; che verrà tenuto nella scuola il corso di formazione sull' ADHD (disturbo da deficit di attenzione ed iperattività) ecc.

Come non ci stupisce che nei collegi docenti con sempre più frequenza ci venga richiesto di approvare il progetto presentato dalla psicologa/o tal dei tali, per tenere corsi di informazione o per interventi di supporto psicologico piuttosto che il progetto affettività nelle classi, ecc.

Così per gli insegnanti e i dirigenti scolastici che hanno seguito questi corsi di formazione tenuti da psicologi e neuropsichiatri infantili, diventa logico segnalare ed accettare le etichette di disturbi mentali e imporre le terapie prescritte dagli psichiatri, perché è quanto è stato loro insegnato dagli stessi "esperti" che li hanno indottrinati sul soggetto.

Da più parti a livello internazionale sono stati lanciati allarmi in merito alla fondatezza scientifica delle diagnosi dei disturbi di apprendimento nei bambini e delle conseguenti terapie psicofarmacologiche.

Uno dei tanti esempi è stato l’intervento della signora Sue Parry, che ha lavorato come terapista scolastica con studenti, in gran parte ragazzi, supposti ad avere l’ADHD, al meeting tenuto dal Comitato di Controllo Sicurezza dei Farmaci e Gestione dei Rischi dell’FDA, nel febbraio 2006, negli Stati Uniti. Parry ha evidenziato che ai genitori non è stato detto che alla Conferenza per lo sviluppo del Consenso all’ADHD del 1998 i relatori hanno precisato: «…Però non abbiamo un test oggettivo e valido per l’ADHD e non ci sono dati che indicano che l’ADHD sia dovuta a malfunzionamento del cervello».

Ha avvertito inoltre: «I nostri bambini non hanno bisogno di ulteriori studi e indagini, hanno solo bisogno di una commissione garante che investighi quello che potrebbe essere la più grande frode sulla salute mai vista sulla faccia della terra».

Siamo ben lontani dalle sperimentazioni didattiche, dalla ricerca di metodologie funzionali di insegnamento, dai metodi Montessori, Steiner, dall'esperienza delle scuole di strada di Napoli, dalla scuola di Don Milani, e dal chiedersi veramente come mai quell’alunno stia avendo tali difficoltà e dove gli insegnanti abbiano fallito!

Oggi più che mai gli insegnanti e gli operatori della scuola hanno la responsabilità di informarsi accuratamente sulla fondatezza di queste etichette psichiatriche e di chiedersi onestamente, data l’importanza del loro ruolo per la formazione delle generazioni future, se i cattivi o mancati risultati non siano dovuti a carenze nei loro metodi didattici o a negligenze nello svolgere il proprio lavoro, invece di avvallare soluzioni sbagliate e pericolose.

 

Prof.ssa Margherita Pellegrino


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