Il nostro giardino
I magnifici quindici... 7. Passeggiate a Morbegno: una guida, di Evangelina Laini
Evangelina Laini
Evangelina Laini 
27 Novembre 2009
 

Quando avevo progettato – e sono ormai trascorsi tre anni – uno scaffale che avrebbe dovuto ospitare i libri di cultura locale indispensabili, quelli da tenere sempre a portata di mano, da sfogliare costantemente e da sottolineare con passione per fissarne le parti più significative, non potevo ancora immaginare che vi avrei collocato anche una guida turistica. Invece, una felice operazione editoriale mi ha costretto a cambiare idea. Un volume di piccolo formato – ricco però di 150 pagine – si è guadagnato di diritto un posto tra i “magnifici” quindici. Si tratta di Passeggiate a Morbegno: una guida (2009). Testi di Evangelina Laini, fotografie di Vincenzo Martegani, editore il Comune di Morbegno insieme alla giovane e dinamica associazione culturale Ad Fontes. Dopo averlo sfogliato, letto e utilizzato più volte non ho avuto un attimo di esitazione. Infatti, mi son detto: “Avessi trovato una guida come questa a Sestri Levante o a Finale Ligure, ma anche a Ferrara o in altre città titolate, il godimento del viaggio sarebbe stato di certo più completo”. Godere un viaggio… Un proverbio cinese afferma Non metterti mai in viaggio con le scarpe nuove. Cioè Non metterti mai in viaggio senza esserti prima preparato. Infatti, come le scarpe nuove possono rivelarsi strette e fastidiose, un viaggio al buio si trasforma quasi sempre in una fatica, un peso, una spesa impari al risultato, un girovagare senza requie. Ma, come intraprendere un viaggio? E, soprattutto, come far sì che la sua preparazione divenga un piacere, un gioco? Non ho personalmente ricette adatte a tutti gli usi e per tutte le persone, però l’esperienza di viaggiatore – ma soprattutto di accompagnatore di persone in un viaggio – mi permette di esporre alcuni semplici suggerimenti.

Caelum non animum mutant qui trans mare currunt. Già duemila anni fa, il sommo poeta Orazio, in uno dei versi eleganti delle sue Epistole, è riuscito a condensare interi trattati sulla psicologia di coloro che viaggiano. Una traduzione libera potrebbe suonare così: Quelli che intraprendono un viaggio devono ricordarsi che incontreranno luoghi nuovi, ma che porteranno con sé la propria visione della vita. In poche parole: se uno si annoia regolarmente, se uno è privo di curiosità e di entusiasmo, trascinerà queste catene indistruttibili anche quando viaggia. Andare in giro insieme può cementare amori amicizie affetti, ma può anche crudelmente distruggerli. Esistono persone che non dovrebbero mai spostarsi dall’appartamento dove abitano: sono un peso insopportabile per i compagni di viaggio e danneggiano se stesse. Sempre scontente di ogni cosa, non riescono a osservare la meravigliosa varietà dei luoghi e dei popoli, dei modi di vivere con quel po’ di interesse che rende bella la vita. Largheggiano di giudizi sprezzanti, invece di investire in emozioni, in esperienze e in ricordi. Che il viaggio le porti a Parigi, a Monaco di Baviera, a Milano… tutto è banale, tutto è scontato, non vi trovano niente di quello che si aspettavano. E non le sfiora il sospetto che la ragione della loro – continua – delusione non sta nel viaggio, ma si trova – con radici profonde – nel proprio animus. Sì, proprio come cantava Orazio vent’anni prima della nascita di Cristo. Perché anche il viaggiare è un sapere, e se uno vuole gustare un viaggio, deve mettersi di buzzo buono e imparare tante cose. Viaggiatori non si nasce, si diventa. E, facendo un notevole salto temporale – venti secoli, tutti d’un colpo – scopriamo che un romanziere contemporaneo di successo, il francese Daniel Pennac, ha iniziato un suo scritto (Come un romanzo, 1993) in questo modo: Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare”… il verbo “sognare”. A questi tre ne aggiungerei un altro: viaggiare. Anche questo non ammette l’imperativo. Viaggiare deve essere un desiderio, non un ordine. Intanto, uno strumento essenziale per apprezzare un viaggio – anche quando ci si sposta per pochi chilometri da casa – è senza ombra di dubbio una guida, intendendo un libro. Ma, come tutti gli strumenti, va usato con intelligenza. Ad esempio: va portato in viaggio, ma va assolutamente letto prima di partire, sottolineandone le pagine che ci colpiscono, evidenziandone in particolare tutto quello che ci dispiacerebbe lasciar da parte. Ma come selezionare una guida adatta alle nostre esigenze? La visita a una biblioteca ci offre una possibilità notevole per operare la nostra scelta, escludendo subito il tipo di guida che non ci ispira. Dalle paludate guide rosse del Touring alle spensierate Routard, dalle famose Lonely Planet alle simpatiche e verdi Michelin… Il ventaglio di proposte, nel campo delle guide, è oggi sovrabbondante. Individuata la guida che fa per noi, bisogna entrare in una libreria per acquistarla (sennò come facciamo a sottolinearne le parti che ci interessano?). A questo punto è di grande saggezza farsi consigliare da qualcuno che, viaggiando, ha già sperimentato l’utilità di questi manualetti. Non è detto che tutte le guide di una collana abbiano le stesse qualità. Talvolta sono indispensabili per andare in Patagonia e mediocri compagne di viaggio se uno va a Roma. Intanto, un consiglio pratico. Incredibile, ma vero, proprio a Sondrio esiste un’ottima libreria specializzata in libri di viaggio: La libreria del viaggiatore (ha, tra l’altro, un notevole sito internet, con un catalogo aggiornato). Ecco, prima di partire, val la pena di farci una visitina e sentire un consiglio da un professionista appassionato come Ennio Vanzo.

Ma, come diceva Mastro Pathelin – in quella esilarante farsa, capolavoro della letteratura francese medievale – «revenons à nos moutons», torniamo al nucleo centrale di questa recensione, riprendendo in mano la guida di Morbegno uscita dalla penna di Evangelina Laini. Un’insegnante di storia dell’arte nelle scuole superiori – oggi si gode un meritato riposo –, donna di grande sapere e di vasta erudizione, uniti a una profonda umanità. Possiamo prender le mosse da un’affermazione lapalissiana: non tutte le guide sono uguali. Solo alcune sono in grado di farti cogliere l’intima natura di un luogo. Posso dire con certezza di aver cominciato a scoprire Milano e a guardarla con occhi nuovi soltanto una ventina di anni fa. E questo grazie a un libro che, letteralmente, mi ha preso per mano guidandomi in un modo prodigioso alla scoperta di questa straordinaria città. Milano, una straordinaria città? Certo, e una buona guida lo dimostra senza ombra di dubbio. Noi dobbiamo semplicemente aggiungervi le nostre qualità di viaggiatori: la voglia della scoperta e la curiosità. Ma vorrei presentare degli esempi concreti per dimostrare come una guida, degna di questo nome, rappresenti lo strumento principe per scoprire, conoscere e ammirare un luogo. Per Milano non vi sono dubbi. La guida insuperabile, la più originale, è Milano in mano di Guido Lopez e Silvestro Severgnini. I casi della vita mi hanno offerto la fortuna di conoscere uno dei due autori, Silvestro Severgnini, un amico prezioso e indimenticabile. Una figura straordinaria di intellettuale, vivace ancora negli ultimi mesi della sua lunghissima vita (se n’è andato da questa valle di lacrime a 100 anni nel 2006). Dei suoi scritti parlava sempre con understatement, alieno com’era da qualsiasi ostentazione. Eppure la mia scoperta di Milano è legata indissolubilmente a lui e alla sua guida. Ancora oggi la consulto attentamente, prima di affrontare un angolo affascinante di questa città rumorosa e frenetica. E Milano in mano non mi delude mai. L’opera più bella di Silvestro Severgnini è rappresentata dai tre volumi Alla Scala con…, nei quali vengono proposti, in modo sintetico ma con uno stile indimenticabile, una serie di personaggi legati al mondo della grande musica. Tornando a Milano in mano, ecco tre brevi esempi che possono dare almeno una pallida idea di questo libro. Il primo permette di spalancare una finestra sulla Milano Liberty: Ora, prima di lasciare il Parco [Sempione] e il quartiere che gli è attiguo, sarà il caso – per chi si interessa alle manifestazioni dell’Art Nouveau, altrimenti detto Liberty – di camminare per queste strade, con l’occhio agli edifici, ai balconi, ai portoni, ai cancelli. A Milano l’Art Nouveau – questo primo autonomo segno stilistico della borghesia emergente dopo i bric-à-brac dell’eclettismo – si espresse con particolare signorilità per l’appunto nei nuovi quartieri fra le Grazie e il Sempione… In questo modo – guardando balconi portoni e cancelli – il curioso di Milano è pronto ad ammirare la Casa Stacchini, la Casa Bosisio e la Casa Laugier. E, nello stesso tempo, anche la scrittura si fa apprezzare per un evidente impegno nell’esprimere concetti profondi e complessi in modo chiaro (primo autonomo segno stilistico della borghesia emergente). Un altro segno della raffinatezza, della padronanza della lingua e della profonda saggezza, unito ad un pizzico di leggera ironia, lo scopriamo quasi per caso nella definizione della Torre Velasca, un grattacielo che ti salta agli occhi nel centro di Milano e che può lasciare perplessi. Ecco cosa troviamo a p. 271 di Milano in mano: la mole modernissima, ispirata ai torrioni d’epoca viscontea e sforzesca, domina sul paesaggio dei tetti milanesi con la sua sagoma inconfondibile: variamente accolta, comunque uno dei pochi “segni” dell’architettura milanese del dopoguerra. Un rilievo arguto quel variamente accolta.

Una prodigiosa e sintetica espressione che calza proprio a pennello per qualche monumento spuntato a Morbegno in questi ultimi decenni: dall’Arengario alla Fontana a forma di cucchiaio, dal massiccio condominio Stelvio alla cupa stazione delle corriere… Non tutto quello che è moderno è brutto, ci mancherebbe! Morbegno ospita monumenti dell’arte contemporanea che possiedono una loro solenne dignità, come la Biblioteca Vanoni e la chiesa nuova di San Giuseppe. A quest’ultima Evangelina Laini dedica ben tre pagine, arrivando ad affermare che con questa chiesa Luigi Caccia Dominioni consegna Morbegno alla storia dell’arte. Infine, sempre sfogliando Milano in mano, ecco il terzo esempio. È la presentazione della Cappella Portinari. Anche questa volta vi è la conferma della ricercatezza sia nei dati offerti che nello stile: [Dopo aver percorso e visitato l’interno della basilica di S. Eustorgio «lasciata infine alle nostre spalle la nuda solennità un poco rozza dell’architettura romanica delle navate, ci troveremo come per incanto in un clima estremamente raffinato, tutto grazia e auree proporzioni: il clima e il gusto del committente quattrocentesco dell’ultima, quasi autonoma cappella, Pigello Portinari… In questo modo Milano … si arricchì della più pura espressione del Rinascimento fiorentino, sposata ad elementi decorativi lombardi (in particolare, le grandi finestre a candelabro) e all’arte tosco-lombarda del bresciano Vincenzo Foppa, che vi affrescò gli angeli, gli Apostoli, i Dottori della Chiesa, un’Annunciazione, un’Assunzione e quattro episodi della vita (e martirio, sullo sfondo delle brughiere del Comasco) di San Pietro da Verona».




Renzo Fallati

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