News di TellusFolio http://www.tellusfolio.it Giornale web della vatellina it Copyright: RETESI I problemi dei produttori di qualità in provincia di Sondrio|E alcune belle idee dei 7 Gruppi di Acquisto Solidale Sabato 17 maggio si è tenuto presso la sede della Società Democratica Operaia di Chiavenna, il terzo ed ultimo appuntamento dedicato al cibo ed organizzato dal Gruppo d’Acquisto Solidale della Valchiavenna. Ai tre incontri hanno partecipato complessivamente più di 40 interessate/i. Nel primo incontro, ospite lo scrittore e saggista Wolf Bukowski, è stata approfondita la natura economica del cibo che il mercato liberistico-capitalistico considera unicamente una merce e come tutte le altre merci disponibili ad essere vendute e comperate. In quello successivo, la naturopata Sara Tosi ha inteso sottolineare l’importanza di un’alimentazione corretta, bilanciata, vitale, sulla base di varie teorie, fra cui una cinese di origini antiche. Infine l’appuntamento di sabato 17 maggio è stato organizzato a mo’ di tavola rotonda con la presenza dei produttori Stefano Barelli (azienda casearia), Alberto Bellomi (azienda di coltivazione e di confezionamento di piccoli frutti, produzione miele, coltivazione verdure e vendita sottoli), Nicola De Petri (azienda di coltivazione e confezionamento di piccoli frutti, coltivazione verdure e vendita sottoli, produzione di mele, vendita di piantine) e Maurizio Herman (azienda vitivinicola). De Petri ed Herman hanno scelto la strada della certificazione biologica, mentre Barelli e Bellomi perseguono nella loro attività una filosofia rispettosa dell’eco sistema e del benessere animale pur senza fregiarsi del logo della foglia di stelline. Anche grazie agli interventi dei pàrtecipi partecipanti e alla sincerità degli interpellati, dalla discussione sono venuti alla luce un significativo spaccato di vita vissuta dei piccoli produttori locali e diverse problematiche del settore agricolo-produttivo che rendono ogni giorno più precaria e traballante la loro esistenza: - l’irrefrenabile espansione della grande distribuzione che, non solo, è la principale responsabile della desertificazione dei negozi di comunità/ di paese, ma con la politica dei prezzi diseduca i consumatori, convincendoli che si possa disporre di prodotti alimentari salutari, puliti, sani a costi improponibili per un piccolo produttore; - le normative vigenti che permettono ai cosiddetti hobbisti di poter vendere i loro prodotti a prezzi più bassi, potendo avvalersi di agevolazioni varie in campo fiscale e burocratico; - la mancanza di una adeguata educazione alimentare che dovrebbe avere inizio nei primi anni della scuola dell’obbligo; - la difficoltà di rapportarsi con gli enti e le amministrazioni locali che difficilmente sono disponibili ad un confronto serio; - la sostanziale solitudine di ogni soggetto economico che è costretto a impegnare gran parte della propria giornata per “mandare avanti” l’azienda e per crearsi una rete distributiva in proprio. Un impegno totalizzante che assorbe il tempo e le energia e inibisce il contatto e la collaborazione con gli altri produttori. Dalla fantasiosa immaginazione delle persone presenti sono sbocciate alcune proposte che andrebbero ben pesate e approfondite, quali l’organizzazione di SPACCI sociali/popolari, di MERCATI della Buona Terra, la creazione di un LOGO che contraddistingua i produttori di “Qualità” sulla base ad una Carta del Buon Cibo condivisa da chi vuole partecipare… Insomma, alcune belle idee che richiedono una pre-condizione, quella che i produttori di qualità uniscano le forze e pensino un attimo a cosa vogliono fare da grandi. Da anni sono in crescita l’interesse e l’attenzione di numerosi cittadini per un cibo sano, sicuro, pulito e in grado di fornire il giusto reddito ai produttori… Non a caso in provincia sette Gruppi di Acquisto Solidale riscuotono l’interesse, il sostegno, la partecipazione di più di 400 famiglie. Anche questo è un settore che i piccoli produttori dovrebbero “coltivare” con attenzione… GAS Valchiavenna http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=25083 GAS Valchiavenna. Progetto Cibo: si fa presto a dire…|Incontro con produttori locali Sono sette i GAS distribuiti in tutta la provincia di Sondrio ai quali aderiscono poco meno di 400 socie e soci, ma cosa sono questi GAS? I Gruppi d’Acquisto Solidale (GAS) operano in modo autogestito e sostengono con i loro acquisti fatti per conto dei soci i produttori Bio, ma non solo, cercano contatti e collaborazioni con i produttori del territorio e, cosa fondamentale, consentono loro di ottenere un giusto reddito per l’attività svolta. Il Gas Valchiavenna, con il “Progetto Cibo”, per il terzo anno prova ad “Uscire dal Guscio”, ad evadere temporaneamente dalla normale routine: apertura ordine, raccolta richieste dei soci, contatti col fornitore… consegna prodotti ai soci. Il meccanismo degli acquisti di gruppo ha funzionato per 138 volte in questi 3 anni e mezzo e per un po’ dovrebbe continuare a funzionare; si poggia su un team di esperti soci- responsabili ordini che hanno fatto la gavetta e che hanno appreso il mestiere in questi anni, attraverso la pratica e anche un po’ di teoria, infatti la data di fondazione del GAS è il 30 settembre 2021. Dopo un certo numero di ordini, alcuni soci hanno pensato di intensificare il messaggio solidale, ecologico, salutistico del Gas proponendo alle persone interessate alcune tematiche comunque legate al mondo dell’alimentazione. Quindi ha proposto ai propri aderenti, ma anche per tutte le persone interessate, un ciclo di tre con­fe­ren­ze/in­con­tri conviviali sul tema cibo. Durante il primo incontro il saggista Wolf Bukowski di Bologna ha tenuto un approccio teorico sulla “merce” cibo a cui è seguita una visita a un’azienda produttrice della Valchiavenna. Durante la seconda conferenza la bionaturopata Sara Tosi di Vicopisano ha tenuto una lezione su come deve essere il cibo sano alla quale è seguito un laboratorio esperienziale sui sapori e una degustazione con cibi preparati al momento con prodotti dei fornitori del GAS. Il terzo e ultimo incontro che si terrà sabato 17 maggio 2025 dalle ore 10:00 alle 12:30 presso la sala nuova della Società Democratica Operaia di Chiavenna in via Chiarelli 7, prevede la presenza di alcuni produttori locali (vedi lista sotto). Si tratta di una piccola, ma significativa rappresentanza della realtà provinciale. Le aziende presenteranno e spiegheranno la loro attività, la loro filosofia aziendale e metteranno in evidenza le loro difficoltà e i loro desiderata. Seguirà una semplice degustazione dei loro prodotti. William Vaninetti Aziende presenti: - Ditta Barelli, Samolaco: Maria Chiaravalli e Stefano Barelli – Prodotti caseari - Ditta La Muracca, Piuro: Alberto Bellomi – Piccoli frutti, miele, succhi, verdure sott’olio, erbe officinali - Ditta Hermau, Pianazzola – Chiavenna: Herman Maurizio – Prodotti viticoltura - Ditta La Frutteria, Forcola: Nicola De Petri – Piccoli frutti, succhi, verdure sottolio, mele, vendita piantine http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=25076 GAS Valchiavenna. Si fa presto a dire CIBO|Il nuovo Corso sull’alimentazione Se… nel 2023 e nel 2024 il Consiglio Direttivo del Gas Valchiavenna ha proposto, prima di tutto a socie e soci, ma poi a tutte le persone interessate, un breve corso di 4 lezioni sulla preparazione, la messa in opera e la gestione dell’orto casalingo- ecologico, in questo anno sociale l’iniziativa elaborata è nettamente diversa. Il kit “Cibo: si fa presto a dire…” è un progetto pensato su tre incontri inerenti il tema dell’alimentazione visto, però, da differenti punti di vista e da più angolazioni. Dall’introduzione del pieghevole: GAS Valchiavenna propone tre incontri per approfondire il tema del cibo. Argomento che ci riguarda tutte e tutti, giorno dopo giorno perché il cibo è il combustibile per vivere. Ma chi lo produce, con quali finalità? E come possiamo preparare il cibo in modo semplice e consapevole? E infine... ci sono produttori sul territorio che percorrono vie diverse rispetto a quelle della grande distribuzione? L’incontro di sabato 29 marzo avrà il suo focus nell’intervento di Wolf Bukowski che ci accompagnerà in un viaggio al centro dell’universo cibo. Lo farà attingendo anche ai contenuti del suo ultimo libro sull’argomento: La Merce che ci mangia. Seguirà un breve pausa ristoratrice e quindi la giornata si concluderà con la visita all’azienda agricola BARELLI di Samolaco. Il secondo incontro di sabato 12 aprile vedrà come protagonista la bio- naturopata Sara Tosi che introdurrà i presenti al tema “Il potere dell’alimentazione vitale”; per non limitare l’incontro alla sola teoria, seguirà una semplice degustazione preparata al momento, come esempio di quanto sostenuto. Nel terzo incontro di sabato 17 maggio, alcuni produttori locali delle aziende: Barelli, Hermau, La Muracca, La Frutteria ci parleranno della loro filosofia aziendale, di cosa e come producono, rispondendo poi alle eventuali domande dei presenti. In conclusione si potranno assaggiare alcuni loro prodotti, anche in questa occasione per dare sostanza all’incontro e non limitarlo alla sola fase teorica. Gli incontri si terranno il sabato mattina: 29 marzo, 12 aprile, 17 maggio, a cominciare dalle 10:00, presso la Società Dem. Operaja di Chiavenna. Agli interessati verrà inviato un apposito pieghevole per spiegare ed approfondire le modalità organizzative e per l’iscrizione attraverso la prenotazione, dal momento che i posti disponibili sono limitati. Il progetto è stato predisposto grazie all’importante contributo di: Circolino ARCI Valchiavenna, Nonsolomerce, Usciamo dal Guscio. I riferimenti a cui rivolgersi per la prenotazione sono i consiglieri del Gas Valchiavenna, in particolare: Daniela Fanetti - 347 5306519 e Toni Galli - 329 4556730 che hanno seguito più da vicino l’organizzazione del Progetto-Cibo. Gas Valchiavenna http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=25046 Val Codera. 14° “Spirito di patata”|Prelibatezze dal sottosuolo Sabato 8 e domenica 9 ottobre a Codera, caratteristico borgo di granito raggiungibile da Novate Mezzola (SO) con un percorso panoramico di circa 2 ore di cammino, presso l’Osteria Alpina – partner dell’Associazione Amici della Val Codera odv, sita al centro del paese – cucinato con sapienza e nel rispetto della tradizione locale, questo splendido prodotto tipico della valle sarà presentato al vostro gusto in svariate ricette, così da farne meglio comprendere il sapore e la versatilità culinaria. A cena ed a pranzo degustazione di menù, tradizionali e non, dall’aperitivo al dolce, a base di patate di valle, appena raccolte nei campi di Codera: come aperitivo le bucce fritte di patata non deludono mai da anni! “Spirito di Patata” è nato infatti nel 2008 come diretta conseguenza dell’istituzione dell’Anno Internazionale della Patata da parte della FAO, teso ad evidenziare l’importanza di questo tubero nell’alimentazione umana mondiale. L’Associazione Amici della Val Codera, in quell’anno, le ha dedicato un importante convegno a Codera, convegno che ha raccolto una vasta partecipazione di relatori e uditori: il suo successo ci ha spronati a riproporre ogni anno una festa particolare dedicata ai preziosi tuberi, chiamati in dialetto Tartìfui. La “Due giorni della patata”, oltre alla degustazione dei menù, prevede una piccola esposizione di patate locali e non, visite ai magazzeni di conservazione ed una dimostrazione sul campo di raccolta. In occasione del 40° anno di attività dell’Associazione, chi salirà a Codera per la festa non potrà che apprezzare anche i momenti di canto corale del coro La Brughiera di Casorate Sempione (VA), il cui C.A.I. è legato da anni alla nostra valle, a seguito dell’installazione del bellissimo bivacco in Val Ladrogno, sottoposto in agosto ad importanti lavori di manutenzione che l’hanno reso ancora più accogliente! Cosa aspettate? Siete tutti invitati a partecipare! Associazione Amici della Val Codera odv www.valcodera.com Indispensabile la prenotazione per i menù degustazione Osteria Alpina 0343 62037 – 3381865169 Associazione Amici della Val Codera 3398158328 – info@valcodera.com http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=24335 Renato Ciaponi. La forza dei cachi Non so quando le prime piante siano arrivate in Valtellina. Ma ho ricordi precisi di quando ero bambino (anni cinquanta) e osservavo sempre con interesse quelle piante adornate da belle palle color arancio, quei rami esili, privi di foglie, che le tenevano ancorate senza farle cadere. Sembravano alberi di Natale. La mia famiglia non aveva piante da frutta. Il nostro spazio fuori casa era molto ridotto. Ricordo un terrazzo, sotto una pergola di uva americana, un piccolo orto e uno spazio per giocare. Ma c’era sempre un vicino, un parente, che ogni tanto portava qualche piccola cesta di frutta colta da quelle piante che tutti i contadini tenevano in fondo alla vigna, a lato dei prati. Piante spesso selvatiche che non richiedevano cure particolari, producevano frutta sana, senza necessità di prodotti chimici. Oggi la definirebbero biologica. Erano ciliegie, prugne, pere, fichi. Poi ai morti arrivava anche la mia cesta preferita, quella dei cachi. Ricordo la dolcezza, le labbra e le dita sporche di arancione. Ricordo i semi che noi bambini cercavamo e aprivamo sempre come se all’interno ci fosse la sorpresa Kinder. Già, perché all’interno del seme che aprivamo delicatamente con un coltellino, si presentava un germoglio che poteva avere forme diverse: un cucchiaio, una forchetta, un coltello. Mio padre raccontava che le credenze popolari dicevano che ogni forma aveva un significato particolare: il cucchiaio prevedeva tanta neve da spalare, la forchetta indicava un inverno mite e il coltello avrebbe portato un freddo tagliente. Noi bambini mettevamo poi il nostro frutto in una tazza della colazione, e con un cucchiaio mangiavamo prima la gustosissima polpa poi la buccia e alla fine il cucchiaio o il dito cercavano gli ultimi rimasugli fino a lasciare la tazza perfettamente pulita. Alcune volte la mamma ci dava anche delle castagne cotte e allora la dolce succosità del caco e la morbidezza della castagna si fondevano in una piacevolezza particolare. Ancora oggi in Valtellina i cachi colorano di arancione le umide giornate autunnali, ma a differenza di tanti anni fa, spesso i frutti rimangono per tutto l’inverno alla mercé degli uccelli, senza essere colti. Forse per la scomodità di frutti troppo in alto, per la fragilità dei rami che non permettono di salire sulla pianta, per la necessità di utilizzare lunghe scale. O forse anche perché non più apprezzati con gioia dai bambini ormai abituati ad altri sapori. Ma è giusto ricordare che si possono cogliere i cachi, anche nelle parti alte degli alberi utilizzando strumenti appropriati come il “coglifrutta”. Un lungo manico, comandato alla base, che termina con due “mani” che staccano i frutti dalla pianta senza schiacciarli. Va anche ricordato che gli anziani consigliano di coglierli presto, quando sono ancori duri, conservandoli e facendoli maturare poi in cassette senza sovrapporli, in luoghi asciutti e freschi, per averli più belli, senza appassimenti della buccia. Il caco è un frutto speciale. Energizzante, diuretico, lassativo, ricco di vitamine A, C e B, sali minerali, soprattutto potassio, calcio, fosforo, rame. Protegge anche il cuore e aiuta ad abbassare il rischio di malattie cardiovascolari. Ricco di antiossidanti, fibre e minerali, previene infatti l’aterosclerosi coronarica. Dimostrate pure le virtù depurative, epatoprotettive e quelle di abbassare il colesterolo. Ultimamente è stata segnalata anche, grazie alla presenza di tannini, la grande utilità nella difesa immunitarie riducendo l’infettività del Coronavirus. Secondo “i risultati dei test condotti da un gruppo di ricerca della Nara Medical University della città di Kashinara, in Giappone, i tannini dei cachi sarebbero efficaci per indebolire l’infettività dei campioni di coronavirus presenti nella saliva”. Nei loro test, i ricercatori “hanno aggiunto un’alta concentrazione di tannini di cachi a un campione di saliva umana contenente virus CoVid-19, rinvenendo, dopo appena 10 minuti, che l’infettività del virus si era ridotta a un decimillesimo del grado iniziale”. Pur ovviamente prendendo l’informazione con cautela, rimane il fatto che la presenza di vitamina C e di betacarotene è sicuramente efficace per migliorare le difese immunitarie. Ultima cosa. I cachi possono essere anche utilizzati in cucina, nella preparazione soprattutto di dolci, torte, budini, confetture. Ottimi in abbinamento con il cioccolato. Ma non solo dolci, anche altri piatti. Vi suggerisco una ricetta originale e gustosa: risotto, cachi, gorgonzola e noci. Preparate il solito risotto, con il trito di cipolla, la tostatura del riso, la spruzzata di vino bianco e la cottura lenta nel brodo aggiunto piano piano. Terminata la cottura, a fuoco spento aggiungete la polpa frullata di 2 cachi, mantecate bene con il gorgonzola e alla fine, nel piatto, aggiungete alcuni gherigli di noci e alcuni ciuffetti di caco frullato. Vi assicuro un ottimo risultato. Buon appetito. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 22 dicembre 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23566 Renato Ciaponi. Noi cerchiamo le emozioni|Alla 113ª edizione della Mostra del Bitto... Diversi visitatori della mostra di Morbegno mi hanno chiesto come ha lavorato la commissione di valutazione del concorso caseario della 113ª Mostra di Morbegno in un periodo così delicato a causa della pandemia Covid19. Mi sembra allora corretto informare produttori e visitatori su una organizzazione particolare, diversa dall’abituale procedimento di valutazione, ma che ha permesso di arrivare a risultati sicuramente validi, coerenti con i principi che hanno sempre ispirato tutti i componenti della commissione. La commissione composta da 25 giurati, tutti formati attraverso i corsi dell’ONAF (Organizzazione nazionali assaggiatori di formaggi) provenienti anche da altre provincie, ha lavorato in un modo inedito ma comunque proficuo e sicuramente raggiungendo un risultato preciso e veritiero sulla qualità dei nostri formaggi. Il concorso, come sempre, era dedicato a diverse tipologie di formaggio: Bitto DOP (produzione dell’anno e produzione 2019), Valtellina Casera DOP (in tre diverse stagionature), Scimudin e Latteria. Nelle passate edizioni il lavoro della giuria iniziava esaminando la partita presentata, composta da due forme, una delle quali scelta dal produttore per il taglio successivo. La valutazione teneva presente la cura prestata al formaggio durante la stagionatura. In particolare si valutava lo scalzo, che deve essere concavo con spigoli vivi, la crosta che deve essere liscia, omogenea, non presentare screpolature, macchie, muffe. I giurati potevano toccare la forma, girarla, capovolgerla, per poter esprimere un giudizio completo. La forma veniva poi tagliata lungo la diagonale e veniva presentata al tavolo della giuria per una valutazione delle caratteristiche della pasta: colore, occhiatura, consistenza. Ad ogni commissario veniva poi data una barretta di formaggio, tagliata verticalmente in modo di lasciare sia la crosta superiore che inferiore ed iniziava l’assaggio con una discussione per ogni singolo campione. I giurati, seduti intorno ad un tavolo, ricevuto il campione di formaggio e dopo attenta valutazione esprimevano il proprio giudizio per le sette caratteristiche precisate di seguito. Seguiva una breve discussione. Alla fine il presidente, facendo sintesi delle varie osservazioni proponeva un punteggio che poteva essere condiviso o meno. In caso di presenza di pareri diversi, succedeva raramente, veniva assegnato il punteggio espresso dalla maggioranza. Quest’anno, vista la situazione sanitaria, il concorso ha avuto una metodica differente. Ogni giurato ha compilato la scheda di valutazione singolarmente senza condividere con gli altri giurati impressioni, criticità e pregi. Ogni giurato ha valutato la forma già tagliata, senza possibilità di toccarla, dando un punteggio da 1 a 10 per l’aspetto, da 1 a 10 per il colore della pasta e da 1 a 10 per l’occhiatura. Come sempre per il Bitto la pasta deve essere di un colore omogeneo dal bianco al giallo paglierino, senza sfoglie, strappi, lacrime. L’occhiatura deve essere non eccessiva, piccola e rada. Ogni giurato ha poi ricevuto un vassoio con 25 campioni di formaggio posizionati in contenitori di plastica. La prima valutazione riguardava la consistenza al tatto, rilevata con una leggera pressione delle dita. Per il bitto giovane la barretta di formaggio, deve mostrarsi al tatto morbida e leggermente elastica. Elasticità e morbidezza che si deve ancora leggermente trovare anche nel bitto di un anno (da 1 a 10 punti). A seguire la valutazione olfattiva/gustativa. Ogni giurato ha espresso un giudizio sull’odore percepito con il naso e l’aroma percepito in bocca, utilizzando anche la retroolfazione dopo una lenta masticazione (da 1 a 20 punti). Come sempre i giurati hanno cercato di definire gli odori che non devono creare sensazioni sgradevoli, odore eccessivo di stalla, di animale. La valutazione ha poi preso in esame il sapore (dolce, salato, acido e amaro) muovendo i pezzettini rotti con la masticazione su tutta la lingua che percepisce le sensazioni di sapidità in punti diversi (da 1 a 20 punti). Infine le caratteristiche strutturali che il formaggio ha presentato durante la masticazione: durezza, plasticità, friabilità, solubilità, adesività, granulosità (da 1 a 20 punti). Gli odori devono essere piacevoli, tipici, creando sensazioni armoniche. Così anche il sapore deve dare piacevolezza in bocca. Le sensazioni di sapidità devono essere in equilibrio. L’amaro, l’eccesso di salinità o di acidità penalizzano notevolmente il punteggio. La struttura deve essere morbida, solubile, non adesiva e granulosa. Ogni formaggio è stato valutato da 10 commissari per il bitto giovane e stagionato e da 7 commissari per le altre categorie. Le 620 schede sono poi state inserite nel computer per trovare la media matematica. Per un più preciso e sicuro giudizio è stata calcolata anche la media ponderata (escludendo la votazione più bassa e più alta di ogni singola categoria.) Il confronto fra le due medie ha portato ad un giudizio identico: nessuna differenza tra le due medie per i primi classificati. È importante sottolineare che fino a pochi anni fa i formaggi presentati al concorso avevano quasi tutti lievi o eclatanti difetti: il salato, l’acido, l’amaro, ma anche la mancanza di pulizia della crosta e dello scalzo. I commissari alla fine non potevano che premiare quei pochi che presentavano un equilibrio delle sensazioni di sapidità. Quest’anno, e così succede da alcuni anni, i formaggi presentati avevano quasi tutti una buona qualità. I commissari difficilmente hanno trovato anomalie: odori sgradevoli, acido, salato, amaro, poca solubilità, occhiature grosse. L’impegno dei giurati è stato quindi finalizzato a cercare e premiare i formaggi che maggiormente sono riusciti a creare al naso e in bocca sensazioni piacevoli, magari richiamando la tipicità del prodotto. Quei formaggi con intensità aromatiche armoniche, tipiche, che hanno creato sensazioni retroattive piacevoli. Per il bitto i sentori di pascolo, di burro, di fumo. Quei formaggi con una propria personalità, che dopo la degustazione, quando la bocca è rimasta pulita hanno lasciato un ricordo piacevole... un’emozione che vorresti riprovare. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 20 ottobre 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23496 Renato Ciaponi. Cineturismo: un’opportunità anche per la Valtellina Chi non ha mai pensato, dopo aver passato i lunedì sera comodamente in poltrona a gustarsi Il commissario Montalbano, di passare qualche giorno di vacanza sulle spiagge del Ragusano? O chi, seguendo le avventure di Terence Hill, non ha sognato una vacanza sulle Dolomiti davanti alle acque cristalline del lago di Braies o di pedalare per i sentieri nel verde smeraldo della val Venosta con lo sguardo a Un passo dal cielo? O chi, ancora, guardando la fiction Curon ultimamente trasmessa su Netflix non si è lasciato prendere dal fascino misterioso del campanile che emerge dalle acque del lago Resia o del bosco di larici circostante. Si chiama cineturismo ed è un importante strumento per promuovere un determinato territorio. Gli spettatori non si lasciano emozionare solo dalla storia, immedesimandosi nei personaggi, ma soprattutto dall’ambiente e così i luoghi diventano subito una destinazione da amare, da vivere, una destinazione che non si può dimenticare. La nostra provincia, pur ricca di ambienti scenografici adeguati a eventuali riprese, non ha mai regalato suggestioni cinematografiche, non è mai riuscita ad entrare nel ricco giro delle produzioni televisive. Nella storia del cinema si trovano infatti poche produzioni ambientate in Valtellina. Ricordo Una breve vacanza (1973) di Vittorio De Sica, con Florinda Bolkan e Renato Salvatori. Un film che sicuramente ha fatto conoscere a tutta Italia la bellezza dei Sanatori di Sondalo. Chi ha visto il film ricorderà la terrazza dell’ospedale, gli ospiti sdraiati a farsi riscaldare dal sole, le suggestive inquadrature delle montagne innevate del Bormiese in contrasto con la nebbia del Milanese. Bellissime immagini ma finalizzate a mostrare l’aria pulita, la neve... la medicina contro la tubercolosi. Non certo a valorizzare un territorio dal punto di vista turistico. Ricordo anche Enfantasme con Laura Belli, di Sergio Gobbi, baita, boschi e montagne dell’alta Valdidentro (1978), lo sfortunato ma interessante Tu devi essere il lupo ( 2005) del sondriese Vittorio Moroni girato nella zona di Sondrio, Il fungo sirena (2007) di Stefano Archetti girato in Valgerola, ottima fotografia, mai però programmato fuori dalla provincia di Sondrio, e negli ultimi anni Soldato semplice, girato in Alta Valtellina con Paolo Cevoli come attore e regista. Tutti film dove il territorio non è protagonista, poche inquadrature, spesso efficaci ma sempre marginali rispetto al contesto del film e difficilmente lo spettatore, alla fine della proiezione, si può sentire invogliato a visitare quei luoghi, a conoscere meglio quell’ambiente. Un film non è solo una storia. È un’occasione per mostrare, per far conoscere. È un viaggio nella vita dei personaggi, nei loro sentimenti, nelle loro emozioni ma soprattutto un viaggio in un luogo, in un territorio dove i personaggi si muovono, dove ci sono usi, costumi, tradizioni che quel territorio è capace di mostrare. Un film, ancor più una fiction televisiva a puntate, può allora diventare un’importante occasione per valorizzare e far conoscere un territorio. Il paesaggio della nostra provincia è ricco di immagini che possono essere immortalate da una cinepresa. Stupendi scenari naturali, palazzi storici, antichi borghi ancora abitati, ma anche antichi mestieri che vengono portati avanti, con normalità, con naturalezza, che non richiedono finzione cinematografica. Pensiamo alla vendemmia, alla bellezza scenica dei terrazzamenti, di donne e uomini in piedi davanti a filari in pendenza, di mani che accarezzano i grappoli, che li inclinano leggermente e dopo un taglio netto li depositano delicatamente nelle ceste. Di uomini con le gerle pesanti che camminano per i ripidi sentieri o lungo le strette scalette in sasso. Di voci, di canti, di azioni ripetitive, di svuotamenti delle gerle sul trattore senza toglierle dalle spalle, di albe e tramonti tra il verde delle viti, di luminosità di certe giornate autunnali che non richiedono neppure la correzione della luce e ancora di antiche cantine dove avviene la fermentazione e l’invecchiamento del vino. Scene come questa arricchiscono sicuramente una sceneggiatura. Qualsiasi personaggio di una storia può facilmente entrarci, partecipare alla vendemmia senza necessità di inventare una sceneggiatura ad hoc. Mi fermo qui, ma stesso ragionamento si potrebbe fare par la vita in alpeggio, per il mondo delle api, per la lavorazione del latte, per la produzione dei pizzoccheri, per la lavorazione della pietra ollare, per la lavorazione dei pezzotti, per la preparazione di una ricetta nei tanti ristoranti presenti sul territorio. Ecco, le bellezze paesaggistiche della Valtellina arricchite dal saper fare della sua gente, dal continuare una tradizione, inseriti in una storia moderna, in una fiction di qualsiasi genere, ambientata in un luogo diverso dalle solite città come Torino, Roma o Milano. Una storia dove non sono più i personaggi che si muovono in un luogo, ma il luogo che si muove intorno ai personaggi. L’immagine di una provincia tranquilla, di gente che sa fare, arricchita dalla bellezza naturale spesso selvaggia delle nostre montagne, dei nostri sentieri, boschi, alpeggi, laghetti, dei nostri terrazzamenti. Il tutto inserito in una storia d’amore o in un poliziesco. Una vetrina vista da milioni di telespettatori che sicuramente avranno poi il desiderio di vivere un’esperienza fatta di tranquillità, di natura, di gastronomia, di genuinità. Un progetto nuovo di promozione turistica da presentare alle varie società di produzione quali Rai Fiction, Mediaset, Netflix, Sky che ovviamente dovrà essere accompagnato dalla volontà e possibilità di contribuire ai costi di produzione. Non so minimamente quale possa essere l’eventuale cifra, ma credo che uno sforzo comune di tutte le istituzioni presenti in provincia possa portare il cineturismo anche nella nostra valle e diventare un efficace veicolo promozionale per il nostro territorio. Senza dimenticare che la presenza di un set cinematografico nei nostri paesi avrebbe anche una ricaduta economica per le attività ricettive che ospiterebbero le tante persone che generalmente compongono un set cinematografico. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 30 agosto 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23437 Renato Ciaponi. Un grazie sentito ai negozi di vicinato Grazie a tutti i titolari dei negozi di generi alimentari di essere ancora presenti sul nostro territorio, grazie per avere prontamente organizzato o intensificato il servizio di consegne a domicilio in collaborazione con la Protezione Civile. Grazie anche per aver dimostrato l’importanza strategica dei vostri negozi (purtroppo da molti cittadini riconosciuta solo ora) in un territorio di montagna dove avere ancora nel proprio paese un negozio di alimentari, una farmacia, un’edicola diventa una ricchezza sociale. Siete gli ultimi esercizi rimasti di quella rete commerciale di paese che un tempo comprendeva anche il settore dell’abbigliamento, delle calzature, dei casalinghi, dei giocattoli, degli articoli di cancelleria ecc., ecc. Siete i cosiddetti “negozi di vicinato” definiti così per meglio sottolineare l’importante aspetto sociale che svolgete: vicino ai cittadini... vicino alle persone anziane. Negli anni cinquanta/sessanta i negozi di vicinato erano presenti quasi capillarmente su tutto il territorio provinciale, ogni paese aveva la propria rete commerciale composta da diverse attività, ma poi negli anni settanta i nuovi modelli commerciali delle grandi città arrivano anche in Valtellina portando i primi supermercati a Talamona, a Castione, a Rogolo. E velocemente anche noi valtellinesi modifichiamo rapidamente le nostre abitudini, abbandonando il rito quotidiano della spesa nella bottega vicina a casa e accettando con piacere il divertimento della spesa settimanale all’interno di una grande area dove si trova di tutto, dove i prezzi sono un po’ più bassi, dove è possibile scegliere tra una notevole quantità di referenze merceologiche. Ci abituiamo velocemente a muoverci fra gli scaffali colorati spingendo un carrello e riempiendolo di prodotti alimentari non accorgendoci che questo nuovo sistema di vendita nasconde la necessità consumistica di proporre prodotti nuovi, di cui noi, forse, non sempre abbiamo bisogno. Dimentichiamo velocemente la nostra sportina in paglia o in finta pelle, il lungo bancone di legno dietro il quale ci sono il sorriso e i discorsi di un nostro vicino di casa pronto a servirci. Dimentichiamo in fretta il piacere di aspettare tranquilli il nostro turno chiacchierando del più e del meno con altri clienti. Dimentichiamo il gusto di poter assaggiare quel formaggio offerto dal negoziante “me l'hanno appena portato, è del Giuseppe; lo conosci? Proprio buono, vuoi assaggiarlo?" Preferiamo il piacere di poter toccare i prodotti confezionati da inutili carte e plastiche, sceglierli tra tanti altri di marche diverse, metterli nel carrello quasi con un senso di libertà per poi trovarci in lunghe code alla cassa, riempire i sacchetti di plastica e poi in fila verso il parcheggio per tornare a casa... perché per raggiungere il supermercato è necessario avere una vettura. Anche le amministrazioni comunali si adeguano ai nuovi modelli commerciali, approvano nuove aree commerciali, permettono nuovi insediamenti in cambio di oneri di urbanizzazione e soprattutto di posti di lavoro. Scelte corrette, dettate anche da una evoluzione commerciale che non si poteva fermare. La conseguenza però è ovviamente la lenta chiusura dei piccoli negozi. Ma a fronte di un numero elevato di negozi che abbassano le saracinesche, altri, con investimenti cospicui, tentano la sopravvivenza aumentano le superfici, riorganizzando il negozio con il self service, con piccoli carrelli, associandosi a importanti gruppi di acquisto specializzati che permettono un abbassamento dei prezzi. Puntando sulla qualità, sulla cortesia, riescono a creare un equilibrio sostenibile economicamente tra supermercati e negozi di vicinato. La consegna a domicilio, la vendita a credito, sono poi altri servizi che il piccolo negozio, pur affrontando costi di gestione maggiori non sempre compensati dai prezzi leggermente più alti rispetto ai supermercati, riesce ad offrire al consumatore svolgendo e completando una precisa funzione sociale spesso non sempre opportunamente considerata dai cittadini e dagli amministratori. Oggi questi negozi di vicinato ancora presenti sul territorio resistono pur producendo redditi molto bassi. L’impegno di chi lavora, quasi sempre componenti della stessa famiglia, non è sempre ricompensato da un reddito adeguato. Si sopravvive, dicono. Spesso si continua perché è difficile chiudere, perché non ci sono alternative di lavoro, perché mancano pochi anni alla pensione. Una resistenza quasi eroica, che però riesce ancora a generare un riferimento preciso dal punto di vista sociale nel contesto commerciale del paese. Gli anziani, le casalinghe che non hanno auto, i bambini, tutte le persone che non hanno la possibilità di recarsi nei supermercati dislocati lungo la statale 38 riescono così ancora a trovare nel proprio paese un negozio. Il coronavirus ha dimostrato che questa funzione sociale è strategica nelle emergenze. In questi giorni non si guardano i venti centesimi di differenza, non si guardano le quantità di referenze, si ordina un kg di spaghetti, le uova, la farina, due scatole di tonno anche se non è della marca preferita. Si guarda il sevizio, la possibilità di ordinare la spesa al telefono, di riceverla sul portone di casa e si dice “per fortuna abbiamo ancora un negozio vicino a casa”. Appare evidente che nel futuro la funzione sociale del negozio di vicinato sarà sempre più importante e quindi dovrà essere sostenuta dagli amministratori locali con interventi specifici che permettano di mantenere la situazione attuale e magari promuovano l’apertura di nuovi esercizi attraverso scelte coraggiose, come l’esenzione dal pagamento delle tasse sui rifiuti e dell’IMU, l’utilizzazione come fornitori delle mense scolastiche, la creazione di iniziative che possano convincere i cittadini a sostenerli, la promozione a livello regionale e nazionale di iniziative che consentano una contabilità semplificata e una riduzione delle imposte statali. Ma naturalmente la speranza è che tutti i consumatori che hanno usufruito dei servizi del negozio di paese durante questa emergenza continuino ad avvalersene anche dopo, anche quando tutto sarà finito. Sarà il contributo per un ringraziamento ma anche un contributo per far sì che quel negozio possa continuare ad esistere sul territorio. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 25 marzo 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23134 Renato Ciaponi. Storia della ristorazione valtellinese: e poi arriva l'insalata russa Nel post precedente vi ho raccontato come la ristorazione degli anni cinquanta fosse particolarmente legata alla tradizione. I vini proposti erano sempre quelli locai e i piatti preparati con materie prime del territorio: pollastri, carni bovine e caprine, pesce, selvaggina, uova, formaggio, farina di grano saraceno, funghi, mele, pere ma anche lumache, rane. Ma poi arrivano gli anni sessanta, il boom economico, il turismo di massa, la costruzione di nuovi alberghi e di seconde case che modificano l'assetto urbanistico dei principali paesi turistici della provincia. Nuovi posti di lavoro nel turismo, nella ristorazione, nuove imprenditorialità, spesso improvvisate, non sempre accompagnate da capacità e competenze specifiche. I menu della tradizione, tipici degli anni cinquanta, vengono lentamente cancellati, rimpiazzati da piatti della cucina nazionale. Le materie prime locali sono sempre più snobbate, sostituite da ingredienti provenienti da fuori provincia: formaggi, carni, salumi, verdura, frutta, vini... in nome di una modernità che vuole dimenticare il mondo contadino locale, segno di povertà, di miseria subita per troppo tempo. E così le materie prime industriali, pubblicizzate dalla televisione, dalle riviste specializzate, dai rappresentanti di commercio, entrano di prepotenza nelle cucine dei ristoranti valtellinesi. Nuovi albergatori, nuovi cuochi, cresciuti nel mondo contadino, che dimenticano in fretta le proprie radici. Gli anni sessanta/settanta sono gli anni dei piatti raffinati, il vitello tonnato, l'insalata russa, l'insalata capricciosa, le tagliatelle al salmone, i tortellini alla panna, i filetti al pepe verde, le cotolette alla milanese, i pranzi di nozze con il salmone in bella vista, le cascate di prosciutto crudo realizzate con i bicchieri, i vini romagnoli o dell'Oltrepò pavese. (»» Vedi in “AssaporiAMO la Valtellina tutti insieme”, ndr) Gli anni ottanta sono gli anni del lento recupero della cucina del territorio grazie anche alla nascita dei primi agriturismi. Ricordo la polenta concia di Olesia a Categno, le costine al lavec e le manfrigole di Cerasa a Ardenno, il riso con casera e bresaola nella mela di Kica a Caiolo. Agriturismi ma anche semplici trattorie sempre più ricercate. Ricordo i pizzoccheri e sciatt di Nello a Ponte o quelli del Fancoli a Chiuro, i pizzoccheri bianchi del Cardinello a Isola-Madesimo, gli gnocchetti della trattoria Pace di Grosio con il conto finale scritto con il gesso su una lavagnetta, la carne alla griglia della trattoria Mossini. Ma anche in ristoranti più raffinati non mancavano i piatti della nostra tradizione, il giusto abbinamento tra tradizione e materie prime, la valorizzazione dei vini del territorio: la Lanterna Verde di Villa di Chiavenna, il Cenacolo e il Passerini a Chiavenna, Il Crotasc a Mese, l'Osteria del Crotto e il ristorante dell'Hotel Margna a Morbegno, il Campelli ad Albosaggia, il Combolo a Teglio, il Sassella da Jim a Grosio. Poche realtà all'interno di un sistema di accoglienza ristorativa, soprattutto alberghiera, che per molto tempo rimane ancora ancorato a piatti della cucina nazionale. Negli anni novanta la parola enogastronomia valtellinese comincia ed essere usata e conosciuta. Arriviamo i primi riconoscimenti europei per i nostri prodotti di eccellenza, la Dop per Bitto e Valtellina Casera, l’IGP per bresaola e mele; nascono i consorzi di tutela, più tardi il Multiconsorzio che inizia a promuovere coralmente l'eccellenza enogastronomica provinciale... La tipicità valtellinese esce sempre più dai confini provinciali, stampa, mostre e fiere importanti come il salone del gusto di Torino, Cibus a Parma, Vinitaly a Verona, ma anche fiere internazionali estere senza dimenticare il localismo provinciale dove le varie manifestazioni enogastronomiche attirano sempre più i turisti desiderosi di conoscere e assaggiare i nostri prodotti. I timidi tentativi di creare una destinazione Valtellina enogastronomica cominciano finalmente a portare i primi successi. La ristorazione lentamente si adegua. Arrivano anche le stelle delle principali guide gastronomiche nazionali, le carte dei vini con una buona scelta di etichette valtellinese iniziano ad aumentare, i formaggi locali sono sempre più presenti nei vari menù, le nuove leve della ristorazione, provenienti dalle scuole alberghiere, cominciano a capire l'importanza della valorizzazione dei prodotti d'eccellenza valtellinesi e nei vari menù i piatti della cucina del territorio sono sempre presenti. Gli enti pubblici intensificano la creazione di occasioni di valorizzazione e conoscenza dei nostri prodotti, anche attraverso la realizzazione di percorsi ciclabili tra le bellezze della valle. Ma se oggi la destinazione Valtellina è sempre più enogastronomica, va ricordato che c'è sicuramente ancora molto da fare, nella completa utilizzazione nelle varie cucine dei prodotti del territorio, nel differenziare i vari piatti, nel innovare, introducendo piatti nuovi, sempre legati al territorio in alternativa agli inflazionati affettati misti, polenta e pizzoccheri, in una maggior introduzione e promozione dei nostri vini, nel portare nei consumatori valtellinesi la conoscenza enogastronomica, nell'unire tutte le energie soprattutto economiche per la promozione di una destinazione corale, dimenticando i localismi, nell'obbligare gli organizzatori delle varie sagre estive ad utilizzare i prodotti valtellinesi, nel valorizzare le aziende che producono i nostri prodotti di eccellenza. E allora forza, tutti insieme, turisti, ristoratori, commercianti, produttori, consumatori valtellinesi. Forza, come dice il titolo della bella pubblicazione dell'Unione Commercio di Sondrio... “AssaporiAMO la Valtellina”. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 24 agosto 2019) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=22766 Renato Ciaponi. AssaporiAMO la Valtellina tutti insieme Appena ho letto sul quotidiano La Provincia l'articolo dedicato, l'ho subito scaricata, l'ho salvata nel mio tablet, ma poi ho preferito gustarmi la versione cartacea che il Consorzio Turistico Valtellina di Morbegno mi ha subito dato gratuitamente. Sto parlando di Assaporiamo la Valtellina esperienze enogastronomiche e ricette del territorio, la bella pubblicazione realizzata da “Valtellina Turismo” in collaborazione con la Provincia di Sondrio, il Bim, la Camera di Commercio di Sondrio, l'Unione del commercio e del Turismo e dei Servizi della provincia di Sondrio. Per i contenuti hanno collaborato il Gruppo Ristoratori, l'associazione Strada del Vino, il Distretto agroalimentare di qualità “Valtellina Che Gusto” e i Consorzi Turistici. Una sinergia fra enti in una elegante guida/ricettario destinata a tutti i turisti ma sicuramente dedicata anche ai consumatori valtellinesi, magari ai più giovani, perché possano partecipare come fruitori e come informatori alla valorizzazione gastronomica della provincia. L'enogastronomia finalmente come collante della destinazione Valtellina, le nostre eccellenze, i nostri territori, le manifestazioni più importanti organizzate in provincia, raccontate con parole semplici e pronte a creare emozioni. Perché dietro una bottiglia di Valtellina superiore o dietro una fetta di Bitto valtellinese c'è una storia di generazioni, c'è il fascino di secoli di storia e tradizione. E allora è bello camminare o pedalare in mezzo ai vigneti, raggiungere a piedi gli alpeggi... lassù dove nasce il Bitto e assaggiare le eccellenze della valle trasformate dai nostri chef nei vari ristoranti. Pagina dopo pagina, ricetta dopo ricetta, ho apprezzato il modo nuovo di presentare un territorio che purtroppo per troppo tempo ha subito la mancanza di coralità, di sinergie e che solo negli ultimi anni sta finalmente diventando sempre più protagonista dell' enogastronomia nazionale. Pagina dopo pagina, ricetta dopo ricetta, cantina dopo cantina, curiosità dopo curiosità, sono arrivato con interesse, pienamente appagato, alle ultime pagine per leggere ancora alcune ricette poco conosciute, come pane e vino o il curnat di Grosio e le pagine dedicate alle birre artigianali, la emergente imprenditorialità della nostra enogastronomia. Veramente una bella guida, ho pensato e subito sono tornato indietro nel tempo, ai primi anni ottanta. Insegnavo scienze dell'alimentazione in un istituto professionale alberghiero e per capire meglio il mondo della ristorazione avevo chiesto ad un amico che aveva un albergo in un'importante località turistico in Valtellina di poter lavorare per un mese nella cucina del suo ristorante. Erano i tempi del turismo dello sci, del pienone dei primi quindici giorni di agosto, del cercare di riempire la cassa sfruttando il più possibile i flussi turistici della domenica, del Natale della Pasqua. I verbi fidelizzare e destagionalizzare erano sconosciuti, le parole sinergia e collaborazione erano ignorate, così come valorizzazione di un territorio attraverso l'enogastronomia. I negozi di prodotti tipici erano rarissimi. Ne ricordo pochi, Morbegno, Sondrio, Chiavenna, Bormio; ma ne ricordo alcuni sulla statale 38 che invitavano i turisti con brutti cartelli scritti a mano, dove poi i formaggi e i salumi erano presentati in malo modo, senza personalizzazione, senza un minimo di identità. Senza neppure la certezza che fossero prodotti sul nostro territorio. Erano i tempi, dei camioncini di venditori di formaggi e salumi fermi ai bordi della statale. Ancora cartelli con “prodotti tipici” che invitavano i turisti a fermarsi, ma spesso i formaggi venivano dal Veneto. E poi c'erano le cassette di mele sparse sulla 38 da Tirano a Sondrio. Ma almeno li erano i produttori stessi che vendevano. In quel mese di agosto, nella cucina dell'albergo del mio amico, sbucciavo le patate, pulivo la verdura, svolgevo le mansioni meno impegnative, quelle che richiedevano poca professionalità, mi guardavo in giro, seguivo i lavori del cuoco e aiuto cuoco. Ricordo che mi ero subito stupito nel vedere i menu proposti: spaghetti al pomodoro o al ragù, lasagne, cannelloni, cotolette alla milanese, salsicce ai ferri. Sì, i pizzoccheri c'erano, ma gli ingredienti per prepararli non erano locali. Formaggi e burro provenivano da chissà dove. Anche le tagliatelle di farina di grano saraceno, già confezionate, erano di pessima qualità, si rompevano subito. La linea pizzoccheri in cucina era fatta da tre bacinelle contenenti le tagliatelle, le patate, le verze, tutte precedentemente cotte, pronte per essere mescolate in uno scolapasta con manico e riscaldate in immersione in un pentolone di acqua bollente. Una piccola teglia, di dimensione diverse secondo l'ordinazione, una manciata di pezzettini di formaggio, una spolverata di formaggio grattugiato, una innaffiata di burro spesso mischiato con olio, sempre pronto sulla piastra della cucina, tre minuti nel forno. E “pronti i tre pizzoccheri!” ...gridava lo chef. Da allora sono passati più di trenta anni. Il mondo della ristorazione è in parte cambiato, le carte dei vini con una buona scelta di etichette valtellinese sono sempre di più, le nuove leve della ristorazione, provenienti dalle scuole alberghiere, hanno cominciato a capire l'importanza della valorizzazione dei prodotti d'eccellenza valtellinesi e nei vari menù i piatti della cucina del territorio sono sempre presenti. I consorzi di tutela agiscono sempre più in sinergia in una promozione corale, gli enti pubblici hanno intensificato la creazione di occasioni di valorizzazione e conoscenza dei nostri prodotti, anche attraverso la realizzazione di percorsi ciclabili tra le bellezze della valle. Eppure c'è sicuramente ancora molto da fare, nella completa utilizzazione nelle varie cucine dei prodotti del territorio, nel differenziare i vari piatti, nel innovare, introducendo piatti nuovi, sempre legati al territorio in alternativa agli inflazionati affettati misti, polenta e pizzoccheri purtroppo sempre più protagonisti nelle proposte soprattutto agrituristiche della valle, nel portare nei consumatori valtellinesi la conoscenza enogastronomica, nell'unire tutte le energie soprattutto economiche per la promozione di una destinazione corale, dimenticando i localismi. Ben venga allora la pubblicazione di Valtellina Turismo, che sicuramente ha centrato l'obiettivo e merita la massima diffusione e pubblicizzazione. I formaggi serviti erano ordinari, senza personalità, si serviva il taleggio come formaggio molle. La bresaola era servita con improponibili carpacciamenti, rucola, funghi o coperta da oli extravergini provenienti dal Marocco o addirittura oli di semi. Spesso il succo di limone galleggiava sul piatto. Il vino valtellinese era raramente proposto ai turisti, anzi spesso sconsigliato dagli stessi camerieri perché “troppo pesante”. Eppure, anche allora (siamo a metà degli anni ottanta) la superiorità dei nostri prodotti, formaggi, salumi, vini era già apprezzata da diversi consumatori che ricercavano i prodotti del territorio. Cuochi, camerieri non conoscevano la storia della nostra cucina, dei nostri prodotti tipici. Mangiare in Valtellina era come mangiare in Brianza. Non c'era differenza. Riprendo a sfogliare questo corposo volumetto ancora fresco di stampa. Mi soffermo su alcune belle fotografie di piatti e infine leggo alcune righe della quarta di copertina: «Una guida pensata per illustrare l'offerta enogastronomica da vivere in Valtellina, ricette, vini, prodotti ed esperienze da non perdere in questo territorio nel cuore delle Alpi». Perché, aggiungo io, la storia di un territorio è fatto da uomini che producono, che raccontano, che trasformano le materie prime e che riescono a creare emozioni a tavola e allora un invito ai turisti: La Valtellina vi aspetta, una valle da percorrere lentamente, da assaporare, gustare, sorseggiare ma soprattutto una Valtellina da amare. E allora forza, tutti insieme, turisti, ristoratori, commerciati, produttori, consumatori valtellinesi. Forza, assaporiAMO la Valtellina. La pubblicazione è in distribuzione gratuita nei vari infopoint e uffici turistici provinciali o scaricabile dal sito di Valtellina Turismo. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 22 giugno 2019) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=22701 Enrico Bernardini. Enogastronomia e Turismo enogastronomico: tra i settori in maggior espansione in Italia L’enogastronomia in Italia sta attraversando un periodo positivo e la riscoperta della qualità del cibo e l’importanza di un’alimentazione responsabile si deve sia alla popolazione che ai turisti, grazie al sempre maggiore interesse verso il turismo eno­ga­stro­no­mi­co, il cui fine principale è far conoscere i prodotti locali ed il territorio. Il trend positivo, iniziato nel 2017, è confermato nel 2018 da una ricerca dal titolo “Timore Addio” finanziata da Coop, marchio attivo e conosciuto nella grande distribuzione italiana, e da Nomista, società privata che si occupa di ricerche di mercato.1 Dall’indagine di marketing emerge che, soprattutto nel 2018, il segno del cambiamento è dato dalla diminuzione del fenomeno del downgrading della spesa, ovvero l’insieme delle strategie di risparmio adottate dai consumatori che hanno visto diminuire il loro potere di acquisto a causa della congiuntura economica negativa che ha interessato l’Europa negli ultimi dieci anni.2 Attualmente la spesa degli italiani è più accurata rispetto al passato, soprattutto per i prodotti di alta qualità. Il nostro Paese possiede il primato in Europa per quanto riguarda l’attenzione all’acquisto infatti, il consumatore, si nostra attento alle materie prime e cerca sempre di informarsi sulla qualità dei prodotti. Cercando una maggiore qualità, nel 2018 ha voluto dare un forte segnale al mondo della distribuzione, preferendo una spesa a filiera corta, anche nei supermercati. Secondo una ricerca del Censis gli italiani fanno molta attenzione all’origine del cibo: sono 31,7 milioni coloro i quali nell’ultimo anno si sono informati prima di un acquisto cercando recensioni in blog e social network e 20,4 milioni hanno pubblicato dei post con commenti riportanti descrizioni di esperienze su prodotti, supermercati e spese alimentari di vario genere.3 I dati di Coop e Nomisma mostrano come la maggioranza degli italiani dia più importanza alla qualità dato che il 70% si dimostra disponibile a spendere di più per un prodotto di maggior pregio, la maggioranza legge le etichette alimentari, poco meno di un terzo si informa sulla natura dei prodotti ed, infine, poco più della metà considera la salute come parametro per la spesa quotidiana.4 A crescere, registrando un mercato del valore di un miliardo e mezzo di euro sono prodotti come vini e spumanti. In particolare, le scelte degli utenti sono orientate verso alcune note categorie di made in Italy come le certificazioni DOP (Denominazione di Origine Protetta), DOC (Denominazione di Origine Controllata) e IGP (Indicazione Geografica Protetta). Inoltre in Italia, vi è il primato in Europa per la preferenza di prodotti biologici e di origine locale, dimostrato da una crescente tendenza verso una spesa green e più salutare: il latte ad alta digeribilità è preferito a quello semplice, il pane ha lasciato spazio ad alternative come gallette e creaker e la pasta viene consumata maggiormente a base di farro e cereali. Data la facilità con cui vengono reperite informazioni, la rete è diventata un luogo privilegiato dove poter discutere di gusti e cibo in generale. Parlando di social media, Instagram è sicuramente quello che si presta di più alle condivisioni delle immagini e del cibo: nel 2018 soltanto la parola food ha ricevuto 227 milioni di indicizzazioni, a sottolineare quanto sia un argomento apprezzato e condiviso dagli utenti di tutto il mondo.5 Il social, grazie all’utilizzo degli hashtag permette la diffusione rapida delle notizie, usando il linguaggio proprio del social media marketing, in modo “virale”, raggiungendo così milioni di utenti in pochi minuti. Di cibo si parla, con il cibo si esprimono le emozioni e, come ci insegna l’antropologia culturale, il cibo ha anche una forte valenza rituale presso molte culture: con il cibo si festeggiano matrimoni, battesimi, la fine del Ramadam, ma anche diversi riti di passaggio, come quelli che riguardano l’arrivo dei giovani all’età adulta, nelle società tradizionali di America, Africa, Asia e Oceania. Ma in Europa e, in particolar modo, in Italia, come emerge sempre di più in questi ultimi anni, l’alimentazione si lega sempre di più al turismo grazie alla varietà, ricchezza e particolarità delle cucine tipiche nel nostro Paese. Il rituale non è più legato ad un evento particolare della vita, ma consiste nell’approcciarsi in modo autentico alla tradizione, ai sapori e agli odori di un territorio. Il Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2019, stilato da Roberta Garibaldi dell’Università di Bergamo con il supporto scientifico di World Food Travel, mostra un incremento di interesse verso il turismo enogastronomico italiano ed, in particolare, di esperienze legate al cibo, al vino ed alle tradizioni alimentari del territorio nazionale da parte di coloro i quali lo scelgono come destinazione turistica. Il turismo enogastronomico non suscita interesse soltanto negli stranieri, ma anche gli italiani decidono di muoversi nella Penisola, considerando la storia gastronomica di una regione come un’opportunità di conoscenza e di formazione personale. Nel documento viene delineato anche il profilo del turista enogastronomico: viaggia in coppia, non ha una età precisa e proviene, nella maggior parte dei casi, dal Sud Italia. Egli ha come primo obiettivo la ricerca del paesaggio enogastronomico inteso come insieme di attività, prodotti tipici, ambiente e, più in generale, la cultura che caratterizza una destinazione turistica. Le attività preferite dai visitatori riguardano la degustazione di prodotti tipici, la frequentazione di mercatini, la visita ad aziende agricole, la ricerca di ristoranti e locali autoctoni. Inoltre vi è sempre una maggiore richiesta di esperienze a tema come visite a caseifici, pastifici o fabbriche alimentari. Le mete privilegiate sono italiane: nello specifico l’Emilia Romagna, la Sicilia e la Toscana; le città maggiormente apprezzate sono Firenze, Napoli e Roma mentre all’estero i Paesi più gettonati sono Francia e Spagna e le città Parigi, Madrid e Barcellona. Gli stranieri che si recano in Italia, invece, preferiscono offerte di tour enogastronomici principalmente in Toscana e Piemonte, regioni conosciute nel mondo per i vini e per l’ottima cucina. L’Italia è in grado di offrire un patrimonio unico: circa 5.000 prodotti tradizionali, 825 marchi di indicazione geografica, un centinaio di musei legati al gusto, 23.000 agriturismi e 173 strade del vino e dei sapori.6 Infine, lo sviluppo del turismo enogastronomico nella Penisola è stato ulteriormente rafforzato dal decreto del 2019 sull’enoturismo che regola l’accoglienza dei visitatori in cantina, dando la possibilità di ospitare anche eventi ricreativi e promuovere percorsi esperienziali in grado di accogliere un gran numero di turisti.7 Il decreto, firmato dall’attuale ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, conclude un percorso virtuoso iniziato con la precedente legislatura: è un passo importante perché mira a promuovere il rapporto tra territorio, turismo e prodotti alimentari, in un Paese dove la qualità riveste una sempre maggior attenzione da parte dei consumatori italiani e stranieri. Enrico Bernardini 1 Fonte: Il Giornale del Cibo, 26/04/2018. 2 Ibidem. 3 Fonte: Il Giornale del Cibo, 19/04/2018. 4 Fonte: Il Giornale del Cibo, 26/04/2018. 5 Ibidem. 6 Fonte: Gambero Rosso, 30/01/2019. 7 Fonte: Gambero Rosso, 15/03/2019. Bibliografia e sitografia Garibaldi R. (2019) (a cura di), Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2019, Bergamo, Università degli Studi di Bergamo e World Travel Association. www.vvox.it http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=22695