News di TellusFolio http://www.tellusfolio.it Giornale web della vatellina it Copyright: RETESI Val Codera. 14° “Spirito di patata”|Prelibatezze dal sottosuolo Sabato 8 e domenica 9 ottobre a Codera, caratteristico borgo di granito raggiungibile da Novate Mezzola (SO) con un percorso panoramico di circa 2 ore di cammino, presso l’Osteria Alpina – partner dell’Associazione Amici della Val Codera odv, sita al centro del paese – cucinato con sapienza e nel rispetto della tradizione locale, questo splendido prodotto tipico della valle sarà presentato al vostro gusto in svariate ricette, così da farne meglio comprendere il sapore e la versatilità culinaria. A cena ed a pranzo degustazione di menù, tradizionali e non, dall’aperitivo al dolce, a base di patate di valle, appena raccolte nei campi di Codera: come aperitivo le bucce fritte di patata non deludono mai da anni! “Spirito di Patata” è nato infatti nel 2008 come diretta conseguenza dell’istituzione dell’Anno Internazionale della Patata da parte della FAO, teso ad evidenziare l’importanza di questo tubero nell’alimentazione umana mondiale. L’Associazione Amici della Val Codera, in quell’anno, le ha dedicato un importante convegno a Codera, convegno che ha raccolto una vasta partecipazione di relatori e uditori: il suo successo ci ha spronati a riproporre ogni anno una festa particolare dedicata ai preziosi tuberi, chiamati in dialetto Tartìfui. La “Due giorni della patata”, oltre alla degustazione dei menù, prevede una piccola esposizione di patate locali e non, visite ai magazzeni di conservazione ed una dimostrazione sul campo di raccolta. In occasione del 40° anno di attività dell’Associazione, chi salirà a Codera per la festa non potrà che apprezzare anche i momenti di canto corale del coro La Brughiera di Casorate Sempione (VA), il cui C.A.I. è legato da anni alla nostra valle, a seguito dell’installazione del bellissimo bivacco in Val Ladrogno, sottoposto in agosto ad importanti lavori di manutenzione che l’hanno reso ancora più accogliente! Cosa aspettate? Siete tutti invitati a partecipare! Associazione Amici della Val Codera odv www.valcodera.com Indispensabile la prenotazione per i menù degustazione Osteria Alpina 0343 62037 – 3381865169 Associazione Amici della Val Codera 3398158328 – info@valcodera.com http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=24335 Renato Ciaponi. La forza dei cachi Non so quando le prime piante siano arrivate in Valtellina. Ma ho ricordi precisi di quando ero bambino (anni cinquanta) e osservavo sempre con interesse quelle piante adornate da belle palle color arancio, quei rami esili, privi di foglie, che le tenevano ancorate senza farle cadere. Sembravano alberi di Natale. La mia famiglia non aveva piante da frutta. Il nostro spazio fuori casa era molto ridotto. Ricordo un terrazzo, sotto una pergola di uva americana, un piccolo orto e uno spazio per giocare. Ma c’era sempre un vicino, un parente, che ogni tanto portava qualche piccola cesta di frutta colta da quelle piante che tutti i contadini tenevano in fondo alla vigna, a lato dei prati. Piante spesso selvatiche che non richiedevano cure particolari, producevano frutta sana, senza necessità di prodotti chimici. Oggi la definirebbero biologica. Erano ciliegie, prugne, pere, fichi. Poi ai morti arrivava anche la mia cesta preferita, quella dei cachi. Ricordo la dolcezza, le labbra e le dita sporche di arancione. Ricordo i semi che noi bambini cercavamo e aprivamo sempre come se all’interno ci fosse la sorpresa Kinder. Già, perché all’interno del seme che aprivamo delicatamente con un coltellino, si presentava un germoglio che poteva avere forme diverse: un cucchiaio, una forchetta, un coltello. Mio padre raccontava che le credenze popolari dicevano che ogni forma aveva un significato particolare: il cucchiaio prevedeva tanta neve da spalare, la forchetta indicava un inverno mite e il coltello avrebbe portato un freddo tagliente. Noi bambini mettevamo poi il nostro frutto in una tazza della colazione, e con un cucchiaio mangiavamo prima la gustosissima polpa poi la buccia e alla fine il cucchiaio o il dito cercavano gli ultimi rimasugli fino a lasciare la tazza perfettamente pulita. Alcune volte la mamma ci dava anche delle castagne cotte e allora la dolce succosità del caco e la morbidezza della castagna si fondevano in una piacevolezza particolare. Ancora oggi in Valtellina i cachi colorano di arancione le umide giornate autunnali, ma a differenza di tanti anni fa, spesso i frutti rimangono per tutto l’inverno alla mercé degli uccelli, senza essere colti. Forse per la scomodità di frutti troppo in alto, per la fragilità dei rami che non permettono di salire sulla pianta, per la necessità di utilizzare lunghe scale. O forse anche perché non più apprezzati con gioia dai bambini ormai abituati ad altri sapori. Ma è giusto ricordare che si possono cogliere i cachi, anche nelle parti alte degli alberi utilizzando strumenti appropriati come il “coglifrutta”. Un lungo manico, comandato alla base, che termina con due “mani” che staccano i frutti dalla pianta senza schiacciarli. Va anche ricordato che gli anziani consigliano di coglierli presto, quando sono ancori duri, conservandoli e facendoli maturare poi in cassette senza sovrapporli, in luoghi asciutti e freschi, per averli più belli, senza appassimenti della buccia. Il caco è un frutto speciale. Energizzante, diuretico, lassativo, ricco di vitamine A, C e B, sali minerali, soprattutto potassio, calcio, fosforo, rame. Protegge anche il cuore e aiuta ad abbassare il rischio di malattie cardiovascolari. Ricco di antiossidanti, fibre e minerali, previene infatti l’aterosclerosi coronarica. Dimostrate pure le virtù depurative, epatoprotettive e quelle di abbassare il colesterolo. Ultimamente è stata segnalata anche, grazie alla presenza di tannini, la grande utilità nella difesa immunitarie riducendo l’infettività del Coronavirus. Secondo “i risultati dei test condotti da un gruppo di ricerca della Nara Medical University della città di Kashinara, in Giappone, i tannini dei cachi sarebbero efficaci per indebolire l’infettività dei campioni di coronavirus presenti nella saliva”. Nei loro test, i ricercatori “hanno aggiunto un’alta concentrazione di tannini di cachi a un campione di saliva umana contenente virus CoVid-19, rinvenendo, dopo appena 10 minuti, che l’infettività del virus si era ridotta a un decimillesimo del grado iniziale”. Pur ovviamente prendendo l’informazione con cautela, rimane il fatto che la presenza di vitamina C e di betacarotene è sicuramente efficace per migliorare le difese immunitarie. Ultima cosa. I cachi possono essere anche utilizzati in cucina, nella preparazione soprattutto di dolci, torte, budini, confetture. Ottimi in abbinamento con il cioccolato. Ma non solo dolci, anche altri piatti. Vi suggerisco una ricetta originale e gustosa: risotto, cachi, gorgonzola e noci. Preparate il solito risotto, con il trito di cipolla, la tostatura del riso, la spruzzata di vino bianco e la cottura lenta nel brodo aggiunto piano piano. Terminata la cottura, a fuoco spento aggiungete la polpa frullata di 2 cachi, mantecate bene con il gorgonzola e alla fine, nel piatto, aggiungete alcuni gherigli di noci e alcuni ciuffetti di caco frullato. Vi assicuro un ottimo risultato. Buon appetito. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 22 dicembre 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23566 Renato Ciaponi. Noi cerchiamo le emozioni|Alla 113ª edizione della Mostra del Bitto... Diversi visitatori della mostra di Morbegno mi hanno chiesto come ha lavorato la commissione di valutazione del concorso caseario della 113ª Mostra di Morbegno in un periodo così delicato a causa della pandemia Covid19. Mi sembra allora corretto informare produttori e visitatori su una organizzazione particolare, diversa dall’abituale procedimento di valutazione, ma che ha permesso di arrivare a risultati sicuramente validi, coerenti con i principi che hanno sempre ispirato tutti i componenti della commissione. La commissione composta da 25 giurati, tutti formati attraverso i corsi dell’ONAF (Organizzazione nazionali assaggiatori di formaggi) provenienti anche da altre provincie, ha lavorato in un modo inedito ma comunque proficuo e sicuramente raggiungendo un risultato preciso e veritiero sulla qualità dei nostri formaggi. Il concorso, come sempre, era dedicato a diverse tipologie di formaggio: Bitto DOP (produzione dell’anno e produzione 2019), Valtellina Casera DOP (in tre diverse stagionature), Scimudin e Latteria. Nelle passate edizioni il lavoro della giuria iniziava esaminando la partita presentata, composta da due forme, una delle quali scelta dal produttore per il taglio successivo. La valutazione teneva presente la cura prestata al formaggio durante la stagionatura. In particolare si valutava lo scalzo, che deve essere concavo con spigoli vivi, la crosta che deve essere liscia, omogenea, non presentare screpolature, macchie, muffe. I giurati potevano toccare la forma, girarla, capovolgerla, per poter esprimere un giudizio completo. La forma veniva poi tagliata lungo la diagonale e veniva presentata al tavolo della giuria per una valutazione delle caratteristiche della pasta: colore, occhiatura, consistenza. Ad ogni commissario veniva poi data una barretta di formaggio, tagliata verticalmente in modo di lasciare sia la crosta superiore che inferiore ed iniziava l’assaggio con una discussione per ogni singolo campione. I giurati, seduti intorno ad un tavolo, ricevuto il campione di formaggio e dopo attenta valutazione esprimevano il proprio giudizio per le sette caratteristiche precisate di seguito. Seguiva una breve discussione. Alla fine il presidente, facendo sintesi delle varie osservazioni proponeva un punteggio che poteva essere condiviso o meno. In caso di presenza di pareri diversi, succedeva raramente, veniva assegnato il punteggio espresso dalla maggioranza. Quest’anno, vista la situazione sanitaria, il concorso ha avuto una metodica differente. Ogni giurato ha compilato la scheda di valutazione singolarmente senza condividere con gli altri giurati impressioni, criticità e pregi. Ogni giurato ha valutato la forma già tagliata, senza possibilità di toccarla, dando un punteggio da 1 a 10 per l’aspetto, da 1 a 10 per il colore della pasta e da 1 a 10 per l’occhiatura. Come sempre per il Bitto la pasta deve essere di un colore omogeneo dal bianco al giallo paglierino, senza sfoglie, strappi, lacrime. L’occhiatura deve essere non eccessiva, piccola e rada. Ogni giurato ha poi ricevuto un vassoio con 25 campioni di formaggio posizionati in contenitori di plastica. La prima valutazione riguardava la consistenza al tatto, rilevata con una leggera pressione delle dita. Per il bitto giovane la barretta di formaggio, deve mostrarsi al tatto morbida e leggermente elastica. Elasticità e morbidezza che si deve ancora leggermente trovare anche nel bitto di un anno (da 1 a 10 punti). A seguire la valutazione olfattiva/gustativa. Ogni giurato ha espresso un giudizio sull’odore percepito con il naso e l’aroma percepito in bocca, utilizzando anche la retroolfazione dopo una lenta masticazione (da 1 a 20 punti). Come sempre i giurati hanno cercato di definire gli odori che non devono creare sensazioni sgradevoli, odore eccessivo di stalla, di animale. La valutazione ha poi preso in esame il sapore (dolce, salato, acido e amaro) muovendo i pezzettini rotti con la masticazione su tutta la lingua che percepisce le sensazioni di sapidità in punti diversi (da 1 a 20 punti). Infine le caratteristiche strutturali che il formaggio ha presentato durante la masticazione: durezza, plasticità, friabilità, solubilità, adesività, granulosità (da 1 a 20 punti). Gli odori devono essere piacevoli, tipici, creando sensazioni armoniche. Così anche il sapore deve dare piacevolezza in bocca. Le sensazioni di sapidità devono essere in equilibrio. L’amaro, l’eccesso di salinità o di acidità penalizzano notevolmente il punteggio. La struttura deve essere morbida, solubile, non adesiva e granulosa. Ogni formaggio è stato valutato da 10 commissari per il bitto giovane e stagionato e da 7 commissari per le altre categorie. Le 620 schede sono poi state inserite nel computer per trovare la media matematica. Per un più preciso e sicuro giudizio è stata calcolata anche la media ponderata (escludendo la votazione più bassa e più alta di ogni singola categoria.) Il confronto fra le due medie ha portato ad un giudizio identico: nessuna differenza tra le due medie per i primi classificati. È importante sottolineare che fino a pochi anni fa i formaggi presentati al concorso avevano quasi tutti lievi o eclatanti difetti: il salato, l’acido, l’amaro, ma anche la mancanza di pulizia della crosta e dello scalzo. I commissari alla fine non potevano che premiare quei pochi che presentavano un equilibrio delle sensazioni di sapidità. Quest’anno, e così succede da alcuni anni, i formaggi presentati avevano quasi tutti una buona qualità. I commissari difficilmente hanno trovato anomalie: odori sgradevoli, acido, salato, amaro, poca solubilità, occhiature grosse. L’impegno dei giurati è stato quindi finalizzato a cercare e premiare i formaggi che maggiormente sono riusciti a creare al naso e in bocca sensazioni piacevoli, magari richiamando la tipicità del prodotto. Quei formaggi con intensità aromatiche armoniche, tipiche, che hanno creato sensazioni retroattive piacevoli. Per il bitto i sentori di pascolo, di burro, di fumo. Quei formaggi con una propria personalità, che dopo la degustazione, quando la bocca è rimasta pulita hanno lasciato un ricordo piacevole... un’emozione che vorresti riprovare. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 20 ottobre 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23496 Renato Ciaponi. Cineturismo: un’opportunità anche per la Valtellina Chi non ha mai pensato, dopo aver passato i lunedì sera comodamente in poltrona a gustarsi Il commissario Montalbano, di passare qualche giorno di vacanza sulle spiagge del Ragusano? O chi, seguendo le avventure di Terence Hill, non ha sognato una vacanza sulle Dolomiti davanti alle acque cristalline del lago di Braies o di pedalare per i sentieri nel verde smeraldo della val Venosta con lo sguardo a Un passo dal cielo? O chi, ancora, guardando la fiction Curon ultimamente trasmessa su Netflix non si è lasciato prendere dal fascino misterioso del campanile che emerge dalle acque del lago Resia o del bosco di larici circostante. Si chiama cineturismo ed è un importante strumento per promuovere un determinato territorio. Gli spettatori non si lasciano emozionare solo dalla storia, immedesimandosi nei personaggi, ma soprattutto dall’ambiente e così i luoghi diventano subito una destinazione da amare, da vivere, una destinazione che non si può dimenticare. La nostra provincia, pur ricca di ambienti scenografici adeguati a eventuali riprese, non ha mai regalato suggestioni cinematografiche, non è mai riuscita ad entrare nel ricco giro delle produzioni televisive. Nella storia del cinema si trovano infatti poche produzioni ambientate in Valtellina. Ricordo Una breve vacanza (1973) di Vittorio De Sica, con Florinda Bolkan e Renato Salvatori. Un film che sicuramente ha fatto conoscere a tutta Italia la bellezza dei Sanatori di Sondalo. Chi ha visto il film ricorderà la terrazza dell’ospedale, gli ospiti sdraiati a farsi riscaldare dal sole, le suggestive inquadrature delle montagne innevate del Bormiese in contrasto con la nebbia del Milanese. Bellissime immagini ma finalizzate a mostrare l’aria pulita, la neve... la medicina contro la tubercolosi. Non certo a valorizzare un territorio dal punto di vista turistico. Ricordo anche Enfantasme con Laura Belli, di Sergio Gobbi, baita, boschi e montagne dell’alta Valdidentro (1978), lo sfortunato ma interessante Tu devi essere il lupo ( 2005) del sondriese Vittorio Moroni girato nella zona di Sondrio, Il fungo sirena (2007) di Stefano Archetti girato in Valgerola, ottima fotografia, mai però programmato fuori dalla provincia di Sondrio, e negli ultimi anni Soldato semplice, girato in Alta Valtellina con Paolo Cevoli come attore e regista. Tutti film dove il territorio non è protagonista, poche inquadrature, spesso efficaci ma sempre marginali rispetto al contesto del film e difficilmente lo spettatore, alla fine della proiezione, si può sentire invogliato a visitare quei luoghi, a conoscere meglio quell’ambiente. Un film non è solo una storia. È un’occasione per mostrare, per far conoscere. È un viaggio nella vita dei personaggi, nei loro sentimenti, nelle loro emozioni ma soprattutto un viaggio in un luogo, in un territorio dove i personaggi si muovono, dove ci sono usi, costumi, tradizioni che quel territorio è capace di mostrare. Un film, ancor più una fiction televisiva a puntate, può allora diventare un’importante occasione per valorizzare e far conoscere un territorio. Il paesaggio della nostra provincia è ricco di immagini che possono essere immortalate da una cinepresa. Stupendi scenari naturali, palazzi storici, antichi borghi ancora abitati, ma anche antichi mestieri che vengono portati avanti, con normalità, con naturalezza, che non richiedono finzione cinematografica. Pensiamo alla vendemmia, alla bellezza scenica dei terrazzamenti, di donne e uomini in piedi davanti a filari in pendenza, di mani che accarezzano i grappoli, che li inclinano leggermente e dopo un taglio netto li depositano delicatamente nelle ceste. Di uomini con le gerle pesanti che camminano per i ripidi sentieri o lungo le strette scalette in sasso. Di voci, di canti, di azioni ripetitive, di svuotamenti delle gerle sul trattore senza toglierle dalle spalle, di albe e tramonti tra il verde delle viti, di luminosità di certe giornate autunnali che non richiedono neppure la correzione della luce e ancora di antiche cantine dove avviene la fermentazione e l’invecchiamento del vino. Scene come questa arricchiscono sicuramente una sceneggiatura. Qualsiasi personaggio di una storia può facilmente entrarci, partecipare alla vendemmia senza necessità di inventare una sceneggiatura ad hoc. Mi fermo qui, ma stesso ragionamento si potrebbe fare par la vita in alpeggio, per il mondo delle api, per la lavorazione del latte, per la produzione dei pizzoccheri, per la lavorazione della pietra ollare, per la lavorazione dei pezzotti, per la preparazione di una ricetta nei tanti ristoranti presenti sul territorio. Ecco, le bellezze paesaggistiche della Valtellina arricchite dal saper fare della sua gente, dal continuare una tradizione, inseriti in una storia moderna, in una fiction di qualsiasi genere, ambientata in un luogo diverso dalle solite città come Torino, Roma o Milano. Una storia dove non sono più i personaggi che si muovono in un luogo, ma il luogo che si muove intorno ai personaggi. L’immagine di una provincia tranquilla, di gente che sa fare, arricchita dalla bellezza naturale spesso selvaggia delle nostre montagne, dei nostri sentieri, boschi, alpeggi, laghetti, dei nostri terrazzamenti. Il tutto inserito in una storia d’amore o in un poliziesco. Una vetrina vista da milioni di telespettatori che sicuramente avranno poi il desiderio di vivere un’esperienza fatta di tranquillità, di natura, di gastronomia, di genuinità. Un progetto nuovo di promozione turistica da presentare alle varie società di produzione quali Rai Fiction, Mediaset, Netflix, Sky che ovviamente dovrà essere accompagnato dalla volontà e possibilità di contribuire ai costi di produzione. Non so minimamente quale possa essere l’eventuale cifra, ma credo che uno sforzo comune di tutte le istituzioni presenti in provincia possa portare il cineturismo anche nella nostra valle e diventare un efficace veicolo promozionale per il nostro territorio. Senza dimenticare che la presenza di un set cinematografico nei nostri paesi avrebbe anche una ricaduta economica per le attività ricettive che ospiterebbero le tante persone che generalmente compongono un set cinematografico. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 30 agosto 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23437 Renato Ciaponi. Un grazie sentito ai negozi di vicinato Grazie a tutti i titolari dei negozi di generi alimentari di essere ancora presenti sul nostro territorio, grazie per avere prontamente organizzato o intensificato il servizio di consegne a domicilio in collaborazione con la Protezione Civile. Grazie anche per aver dimostrato l’importanza strategica dei vostri negozi (purtroppo da molti cittadini riconosciuta solo ora) in un territorio di montagna dove avere ancora nel proprio paese un negozio di alimentari, una farmacia, un’edicola diventa una ricchezza sociale. Siete gli ultimi esercizi rimasti di quella rete commerciale di paese che un tempo comprendeva anche il settore dell’abbigliamento, delle calzature, dei casalinghi, dei giocattoli, degli articoli di cancelleria ecc., ecc. Siete i cosiddetti “negozi di vicinato” definiti così per meglio sottolineare l’importante aspetto sociale che svolgete: vicino ai cittadini... vicino alle persone anziane. Negli anni cinquanta/sessanta i negozi di vicinato erano presenti quasi capillarmente su tutto il territorio provinciale, ogni paese aveva la propria rete commerciale composta da diverse attività, ma poi negli anni settanta i nuovi modelli commerciali delle grandi città arrivano anche in Valtellina portando i primi supermercati a Talamona, a Castione, a Rogolo. E velocemente anche noi valtellinesi modifichiamo rapidamente le nostre abitudini, abbandonando il rito quotidiano della spesa nella bottega vicina a casa e accettando con piacere il divertimento della spesa settimanale all’interno di una grande area dove si trova di tutto, dove i prezzi sono un po’ più bassi, dove è possibile scegliere tra una notevole quantità di referenze merceologiche. Ci abituiamo velocemente a muoverci fra gli scaffali colorati spingendo un carrello e riempiendolo di prodotti alimentari non accorgendoci che questo nuovo sistema di vendita nasconde la necessità consumistica di proporre prodotti nuovi, di cui noi, forse, non sempre abbiamo bisogno. Dimentichiamo velocemente la nostra sportina in paglia o in finta pelle, il lungo bancone di legno dietro il quale ci sono il sorriso e i discorsi di un nostro vicino di casa pronto a servirci. Dimentichiamo in fretta il piacere di aspettare tranquilli il nostro turno chiacchierando del più e del meno con altri clienti. Dimentichiamo il gusto di poter assaggiare quel formaggio offerto dal negoziante “me l'hanno appena portato, è del Giuseppe; lo conosci? Proprio buono, vuoi assaggiarlo?" Preferiamo il piacere di poter toccare i prodotti confezionati da inutili carte e plastiche, sceglierli tra tanti altri di marche diverse, metterli nel carrello quasi con un senso di libertà per poi trovarci in lunghe code alla cassa, riempire i sacchetti di plastica e poi in fila verso il parcheggio per tornare a casa... perché per raggiungere il supermercato è necessario avere una vettura. Anche le amministrazioni comunali si adeguano ai nuovi modelli commerciali, approvano nuove aree commerciali, permettono nuovi insediamenti in cambio di oneri di urbanizzazione e soprattutto di posti di lavoro. Scelte corrette, dettate anche da una evoluzione commerciale che non si poteva fermare. La conseguenza però è ovviamente la lenta chiusura dei piccoli negozi. Ma a fronte di un numero elevato di negozi che abbassano le saracinesche, altri, con investimenti cospicui, tentano la sopravvivenza aumentano le superfici, riorganizzando il negozio con il self service, con piccoli carrelli, associandosi a importanti gruppi di acquisto specializzati che permettono un abbassamento dei prezzi. Puntando sulla qualità, sulla cortesia, riescono a creare un equilibrio sostenibile economicamente tra supermercati e negozi di vicinato. La consegna a domicilio, la vendita a credito, sono poi altri servizi che il piccolo negozio, pur affrontando costi di gestione maggiori non sempre compensati dai prezzi leggermente più alti rispetto ai supermercati, riesce ad offrire al consumatore svolgendo e completando una precisa funzione sociale spesso non sempre opportunamente considerata dai cittadini e dagli amministratori. Oggi questi negozi di vicinato ancora presenti sul territorio resistono pur producendo redditi molto bassi. L’impegno di chi lavora, quasi sempre componenti della stessa famiglia, non è sempre ricompensato da un reddito adeguato. Si sopravvive, dicono. Spesso si continua perché è difficile chiudere, perché non ci sono alternative di lavoro, perché mancano pochi anni alla pensione. Una resistenza quasi eroica, che però riesce ancora a generare un riferimento preciso dal punto di vista sociale nel contesto commerciale del paese. Gli anziani, le casalinghe che non hanno auto, i bambini, tutte le persone che non hanno la possibilità di recarsi nei supermercati dislocati lungo la statale 38 riescono così ancora a trovare nel proprio paese un negozio. Il coronavirus ha dimostrato che questa funzione sociale è strategica nelle emergenze. In questi giorni non si guardano i venti centesimi di differenza, non si guardano le quantità di referenze, si ordina un kg di spaghetti, le uova, la farina, due scatole di tonno anche se non è della marca preferita. Si guarda il sevizio, la possibilità di ordinare la spesa al telefono, di riceverla sul portone di casa e si dice “per fortuna abbiamo ancora un negozio vicino a casa”. Appare evidente che nel futuro la funzione sociale del negozio di vicinato sarà sempre più importante e quindi dovrà essere sostenuta dagli amministratori locali con interventi specifici che permettano di mantenere la situazione attuale e magari promuovano l’apertura di nuovi esercizi attraverso scelte coraggiose, come l’esenzione dal pagamento delle tasse sui rifiuti e dell’IMU, l’utilizzazione come fornitori delle mense scolastiche, la creazione di iniziative che possano convincere i cittadini a sostenerli, la promozione a livello regionale e nazionale di iniziative che consentano una contabilità semplificata e una riduzione delle imposte statali. Ma naturalmente la speranza è che tutti i consumatori che hanno usufruito dei servizi del negozio di paese durante questa emergenza continuino ad avvalersene anche dopo, anche quando tutto sarà finito. Sarà il contributo per un ringraziamento ma anche un contributo per far sì che quel negozio possa continuare ad esistere sul territorio. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 25 marzo 2020) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=23134 Renato Ciaponi. Storia della ristorazione valtellinese: e poi arriva l'insalata russa Nel post precedente vi ho raccontato come la ristorazione degli anni cinquanta fosse particolarmente legata alla tradizione. I vini proposti erano sempre quelli locai e i piatti preparati con materie prime del territorio: pollastri, carni bovine e caprine, pesce, selvaggina, uova, formaggio, farina di grano saraceno, funghi, mele, pere ma anche lumache, rane. Ma poi arrivano gli anni sessanta, il boom economico, il turismo di massa, la costruzione di nuovi alberghi e di seconde case che modificano l'assetto urbanistico dei principali paesi turistici della provincia. Nuovi posti di lavoro nel turismo, nella ristorazione, nuove imprenditorialità, spesso improvvisate, non sempre accompagnate da capacità e competenze specifiche. I menu della tradizione, tipici degli anni cinquanta, vengono lentamente cancellati, rimpiazzati da piatti della cucina nazionale. Le materie prime locali sono sempre più snobbate, sostituite da ingredienti provenienti da fuori provincia: formaggi, carni, salumi, verdura, frutta, vini... in nome di una modernità che vuole dimenticare il mondo contadino locale, segno di povertà, di miseria subita per troppo tempo. E così le materie prime industriali, pubblicizzate dalla televisione, dalle riviste specializzate, dai rappresentanti di commercio, entrano di prepotenza nelle cucine dei ristoranti valtellinesi. Nuovi albergatori, nuovi cuochi, cresciuti nel mondo contadino, che dimenticano in fretta le proprie radici. Gli anni sessanta/settanta sono gli anni dei piatti raffinati, il vitello tonnato, l'insalata russa, l'insalata capricciosa, le tagliatelle al salmone, i tortellini alla panna, i filetti al pepe verde, le cotolette alla milanese, i pranzi di nozze con il salmone in bella vista, le cascate di prosciutto crudo realizzate con i bicchieri, i vini romagnoli o dell'Oltrepò pavese. (»» Vedi in “AssaporiAMO la Valtellina tutti insieme”, ndr) Gli anni ottanta sono gli anni del lento recupero della cucina del territorio grazie anche alla nascita dei primi agriturismi. Ricordo la polenta concia di Olesia a Categno, le costine al lavec e le manfrigole di Cerasa a Ardenno, il riso con casera e bresaola nella mela di Kica a Caiolo. Agriturismi ma anche semplici trattorie sempre più ricercate. Ricordo i pizzoccheri e sciatt di Nello a Ponte o quelli del Fancoli a Chiuro, i pizzoccheri bianchi del Cardinello a Isola-Madesimo, gli gnocchetti della trattoria Pace di Grosio con il conto finale scritto con il gesso su una lavagnetta, la carne alla griglia della trattoria Mossini. Ma anche in ristoranti più raffinati non mancavano i piatti della nostra tradizione, il giusto abbinamento tra tradizione e materie prime, la valorizzazione dei vini del territorio: la Lanterna Verde di Villa di Chiavenna, il Cenacolo e il Passerini a Chiavenna, Il Crotasc a Mese, l'Osteria del Crotto e il ristorante dell'Hotel Margna a Morbegno, il Campelli ad Albosaggia, il Combolo a Teglio, il Sassella da Jim a Grosio. Poche realtà all'interno di un sistema di accoglienza ristorativa, soprattutto alberghiera, che per molto tempo rimane ancora ancorato a piatti della cucina nazionale. Negli anni novanta la parola enogastronomia valtellinese comincia ed essere usata e conosciuta. Arriviamo i primi riconoscimenti europei per i nostri prodotti di eccellenza, la Dop per Bitto e Valtellina Casera, l’IGP per bresaola e mele; nascono i consorzi di tutela, più tardi il Multiconsorzio che inizia a promuovere coralmente l'eccellenza enogastronomica provinciale... La tipicità valtellinese esce sempre più dai confini provinciali, stampa, mostre e fiere importanti come il salone del gusto di Torino, Cibus a Parma, Vinitaly a Verona, ma anche fiere internazionali estere senza dimenticare il localismo provinciale dove le varie manifestazioni enogastronomiche attirano sempre più i turisti desiderosi di conoscere e assaggiare i nostri prodotti. I timidi tentativi di creare una destinazione Valtellina enogastronomica cominciano finalmente a portare i primi successi. La ristorazione lentamente si adegua. Arrivano anche le stelle delle principali guide gastronomiche nazionali, le carte dei vini con una buona scelta di etichette valtellinese iniziano ad aumentare, i formaggi locali sono sempre più presenti nei vari menù, le nuove leve della ristorazione, provenienti dalle scuole alberghiere, cominciano a capire l'importanza della valorizzazione dei prodotti d'eccellenza valtellinesi e nei vari menù i piatti della cucina del territorio sono sempre presenti. Gli enti pubblici intensificano la creazione di occasioni di valorizzazione e conoscenza dei nostri prodotti, anche attraverso la realizzazione di percorsi ciclabili tra le bellezze della valle. Ma se oggi la destinazione Valtellina è sempre più enogastronomica, va ricordato che c'è sicuramente ancora molto da fare, nella completa utilizzazione nelle varie cucine dei prodotti del territorio, nel differenziare i vari piatti, nel innovare, introducendo piatti nuovi, sempre legati al territorio in alternativa agli inflazionati affettati misti, polenta e pizzoccheri, in una maggior introduzione e promozione dei nostri vini, nel portare nei consumatori valtellinesi la conoscenza enogastronomica, nell'unire tutte le energie soprattutto economiche per la promozione di una destinazione corale, dimenticando i localismi, nell'obbligare gli organizzatori delle varie sagre estive ad utilizzare i prodotti valtellinesi, nel valorizzare le aziende che producono i nostri prodotti di eccellenza. E allora forza, tutti insieme, turisti, ristoratori, commercianti, produttori, consumatori valtellinesi. Forza, come dice il titolo della bella pubblicazione dell'Unione Commercio di Sondrio... “AssaporiAMO la Valtellina”. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 24 agosto 2019) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=22766 Renato Ciaponi. AssaporiAMO la Valtellina tutti insieme Appena ho letto sul quotidiano La Provincia l'articolo dedicato, l'ho subito scaricata, l'ho salvata nel mio tablet, ma poi ho preferito gustarmi la versione cartacea che il Consorzio Turistico Valtellina di Morbegno mi ha subito dato gratuitamente. Sto parlando di Assaporiamo la Valtellina esperienze enogastronomiche e ricette del territorio, la bella pubblicazione realizzata da “Valtellina Turismo” in collaborazione con la Provincia di Sondrio, il Bim, la Camera di Commercio di Sondrio, l'Unione del commercio e del Turismo e dei Servizi della provincia di Sondrio. Per i contenuti hanno collaborato il Gruppo Ristoratori, l'associazione Strada del Vino, il Distretto agroalimentare di qualità “Valtellina Che Gusto” e i Consorzi Turistici. Una sinergia fra enti in una elegante guida/ricettario destinata a tutti i turisti ma sicuramente dedicata anche ai consumatori valtellinesi, magari ai più giovani, perché possano partecipare come fruitori e come informatori alla valorizzazione gastronomica della provincia. L'enogastronomia finalmente come collante della destinazione Valtellina, le nostre eccellenze, i nostri territori, le manifestazioni più importanti organizzate in provincia, raccontate con parole semplici e pronte a creare emozioni. Perché dietro una bottiglia di Valtellina superiore o dietro una fetta di Bitto valtellinese c'è una storia di generazioni, c'è il fascino di secoli di storia e tradizione. E allora è bello camminare o pedalare in mezzo ai vigneti, raggiungere a piedi gli alpeggi... lassù dove nasce il Bitto e assaggiare le eccellenze della valle trasformate dai nostri chef nei vari ristoranti. Pagina dopo pagina, ricetta dopo ricetta, ho apprezzato il modo nuovo di presentare un territorio che purtroppo per troppo tempo ha subito la mancanza di coralità, di sinergie e che solo negli ultimi anni sta finalmente diventando sempre più protagonista dell' enogastronomia nazionale. Pagina dopo pagina, ricetta dopo ricetta, cantina dopo cantina, curiosità dopo curiosità, sono arrivato con interesse, pienamente appagato, alle ultime pagine per leggere ancora alcune ricette poco conosciute, come pane e vino o il curnat di Grosio e le pagine dedicate alle birre artigianali, la emergente imprenditorialità della nostra enogastronomia. Veramente una bella guida, ho pensato e subito sono tornato indietro nel tempo, ai primi anni ottanta. Insegnavo scienze dell'alimentazione in un istituto professionale alberghiero e per capire meglio il mondo della ristorazione avevo chiesto ad un amico che aveva un albergo in un'importante località turistico in Valtellina di poter lavorare per un mese nella cucina del suo ristorante. Erano i tempi del turismo dello sci, del pienone dei primi quindici giorni di agosto, del cercare di riempire la cassa sfruttando il più possibile i flussi turistici della domenica, del Natale della Pasqua. I verbi fidelizzare e destagionalizzare erano sconosciuti, le parole sinergia e collaborazione erano ignorate, così come valorizzazione di un territorio attraverso l'enogastronomia. I negozi di prodotti tipici erano rarissimi. Ne ricordo pochi, Morbegno, Sondrio, Chiavenna, Bormio; ma ne ricordo alcuni sulla statale 38 che invitavano i turisti con brutti cartelli scritti a mano, dove poi i formaggi e i salumi erano presentati in malo modo, senza personalizzazione, senza un minimo di identità. Senza neppure la certezza che fossero prodotti sul nostro territorio. Erano i tempi, dei camioncini di venditori di formaggi e salumi fermi ai bordi della statale. Ancora cartelli con “prodotti tipici” che invitavano i turisti a fermarsi, ma spesso i formaggi venivano dal Veneto. E poi c'erano le cassette di mele sparse sulla 38 da Tirano a Sondrio. Ma almeno li erano i produttori stessi che vendevano. In quel mese di agosto, nella cucina dell'albergo del mio amico, sbucciavo le patate, pulivo la verdura, svolgevo le mansioni meno impegnative, quelle che richiedevano poca professionalità, mi guardavo in giro, seguivo i lavori del cuoco e aiuto cuoco. Ricordo che mi ero subito stupito nel vedere i menu proposti: spaghetti al pomodoro o al ragù, lasagne, cannelloni, cotolette alla milanese, salsicce ai ferri. Sì, i pizzoccheri c'erano, ma gli ingredienti per prepararli non erano locali. Formaggi e burro provenivano da chissà dove. Anche le tagliatelle di farina di grano saraceno, già confezionate, erano di pessima qualità, si rompevano subito. La linea pizzoccheri in cucina era fatta da tre bacinelle contenenti le tagliatelle, le patate, le verze, tutte precedentemente cotte, pronte per essere mescolate in uno scolapasta con manico e riscaldate in immersione in un pentolone di acqua bollente. Una piccola teglia, di dimensione diverse secondo l'ordinazione, una manciata di pezzettini di formaggio, una spolverata di formaggio grattugiato, una innaffiata di burro spesso mischiato con olio, sempre pronto sulla piastra della cucina, tre minuti nel forno. E “pronti i tre pizzoccheri!” ...gridava lo chef. Da allora sono passati più di trenta anni. Il mondo della ristorazione è in parte cambiato, le carte dei vini con una buona scelta di etichette valtellinese sono sempre di più, le nuove leve della ristorazione, provenienti dalle scuole alberghiere, hanno cominciato a capire l'importanza della valorizzazione dei prodotti d'eccellenza valtellinesi e nei vari menù i piatti della cucina del territorio sono sempre presenti. I consorzi di tutela agiscono sempre più in sinergia in una promozione corale, gli enti pubblici hanno intensificato la creazione di occasioni di valorizzazione e conoscenza dei nostri prodotti, anche attraverso la realizzazione di percorsi ciclabili tra le bellezze della valle. Eppure c'è sicuramente ancora molto da fare, nella completa utilizzazione nelle varie cucine dei prodotti del territorio, nel differenziare i vari piatti, nel innovare, introducendo piatti nuovi, sempre legati al territorio in alternativa agli inflazionati affettati misti, polenta e pizzoccheri purtroppo sempre più protagonisti nelle proposte soprattutto agrituristiche della valle, nel portare nei consumatori valtellinesi la conoscenza enogastronomica, nell'unire tutte le energie soprattutto economiche per la promozione di una destinazione corale, dimenticando i localismi. Ben venga allora la pubblicazione di Valtellina Turismo, che sicuramente ha centrato l'obiettivo e merita la massima diffusione e pubblicizzazione. I formaggi serviti erano ordinari, senza personalità, si serviva il taleggio come formaggio molle. La bresaola era servita con improponibili carpacciamenti, rucola, funghi o coperta da oli extravergini provenienti dal Marocco o addirittura oli di semi. Spesso il succo di limone galleggiava sul piatto. Il vino valtellinese era raramente proposto ai turisti, anzi spesso sconsigliato dagli stessi camerieri perché “troppo pesante”. Eppure, anche allora (siamo a metà degli anni ottanta) la superiorità dei nostri prodotti, formaggi, salumi, vini era già apprezzata da diversi consumatori che ricercavano i prodotti del territorio. Cuochi, camerieri non conoscevano la storia della nostra cucina, dei nostri prodotti tipici. Mangiare in Valtellina era come mangiare in Brianza. Non c'era differenza. Riprendo a sfogliare questo corposo volumetto ancora fresco di stampa. Mi soffermo su alcune belle fotografie di piatti e infine leggo alcune righe della quarta di copertina: «Una guida pensata per illustrare l'offerta enogastronomica da vivere in Valtellina, ricette, vini, prodotti ed esperienze da non perdere in questo territorio nel cuore delle Alpi». Perché, aggiungo io, la storia di un territorio è fatto da uomini che producono, che raccontano, che trasformano le materie prime e che riescono a creare emozioni a tavola e allora un invito ai turisti: La Valtellina vi aspetta, una valle da percorrere lentamente, da assaporare, gustare, sorseggiare ma soprattutto una Valtellina da amare. E allora forza, tutti insieme, turisti, ristoratori, commerciati, produttori, consumatori valtellinesi. Forza, assaporiAMO la Valtellina. La pubblicazione è in distribuzione gratuita nei vari infopoint e uffici turistici provinciali o scaricabile dal sito di Valtellina Turismo. Renato Ciaponi (dal Blog Il gusto del gusto, 22 giugno 2019) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=22701 Enrico Bernardini. Enogastronomia e Turismo enogastronomico: tra i settori in maggior espansione in Italia L’enogastronomia in Italia sta attraversando un periodo positivo e la riscoperta della qualità del cibo e l’importanza di un’alimentazione responsabile si deve sia alla popolazione che ai turisti, grazie al sempre maggiore interesse verso il turismo eno­ga­stro­no­mi­co, il cui fine principale è far conoscere i prodotti locali ed il territorio. Il trend positivo, iniziato nel 2017, è confermato nel 2018 da una ricerca dal titolo “Timore Addio” finanziata da Coop, marchio attivo e conosciuto nella grande distribuzione italiana, e da Nomista, società privata che si occupa di ricerche di mercato.1 Dall’indagine di marketing emerge che, soprattutto nel 2018, il segno del cambiamento è dato dalla diminuzione del fenomeno del downgrading della spesa, ovvero l’insieme delle strategie di risparmio adottate dai consumatori che hanno visto diminuire il loro potere di acquisto a causa della congiuntura economica negativa che ha interessato l’Europa negli ultimi dieci anni.2 Attualmente la spesa degli italiani è più accurata rispetto al passato, soprattutto per i prodotti di alta qualità. Il nostro Paese possiede il primato in Europa per quanto riguarda l’attenzione all’acquisto infatti, il consumatore, si nostra attento alle materie prime e cerca sempre di informarsi sulla qualità dei prodotti. Cercando una maggiore qualità, nel 2018 ha voluto dare un forte segnale al mondo della distribuzione, preferendo una spesa a filiera corta, anche nei supermercati. Secondo una ricerca del Censis gli italiani fanno molta attenzione all’origine del cibo: sono 31,7 milioni coloro i quali nell’ultimo anno si sono informati prima di un acquisto cercando recensioni in blog e social network e 20,4 milioni hanno pubblicato dei post con commenti riportanti descrizioni di esperienze su prodotti, supermercati e spese alimentari di vario genere.3 I dati di Coop e Nomisma mostrano come la maggioranza degli italiani dia più importanza alla qualità dato che il 70% si dimostra disponibile a spendere di più per un prodotto di maggior pregio, la maggioranza legge le etichette alimentari, poco meno di un terzo si informa sulla natura dei prodotti ed, infine, poco più della metà considera la salute come parametro per la spesa quotidiana.4 A crescere, registrando un mercato del valore di un miliardo e mezzo di euro sono prodotti come vini e spumanti. In particolare, le scelte degli utenti sono orientate verso alcune note categorie di made in Italy come le certificazioni DOP (Denominazione di Origine Protetta), DOC (Denominazione di Origine Controllata) e IGP (Indicazione Geografica Protetta). Inoltre in Italia, vi è il primato in Europa per la preferenza di prodotti biologici e di origine locale, dimostrato da una crescente tendenza verso una spesa green e più salutare: il latte ad alta digeribilità è preferito a quello semplice, il pane ha lasciato spazio ad alternative come gallette e creaker e la pasta viene consumata maggiormente a base di farro e cereali. Data la facilità con cui vengono reperite informazioni, la rete è diventata un luogo privilegiato dove poter discutere di gusti e cibo in generale. Parlando di social media, Instagram è sicuramente quello che si presta di più alle condivisioni delle immagini e del cibo: nel 2018 soltanto la parola food ha ricevuto 227 milioni di indicizzazioni, a sottolineare quanto sia un argomento apprezzato e condiviso dagli utenti di tutto il mondo.5 Il social, grazie all’utilizzo degli hashtag permette la diffusione rapida delle notizie, usando il linguaggio proprio del social media marketing, in modo “virale”, raggiungendo così milioni di utenti in pochi minuti. Di cibo si parla, con il cibo si esprimono le emozioni e, come ci insegna l’antropologia culturale, il cibo ha anche una forte valenza rituale presso molte culture: con il cibo si festeggiano matrimoni, battesimi, la fine del Ramadam, ma anche diversi riti di passaggio, come quelli che riguardano l’arrivo dei giovani all’età adulta, nelle società tradizionali di America, Africa, Asia e Oceania. Ma in Europa e, in particolar modo, in Italia, come emerge sempre di più in questi ultimi anni, l’alimentazione si lega sempre di più al turismo grazie alla varietà, ricchezza e particolarità delle cucine tipiche nel nostro Paese. Il rituale non è più legato ad un evento particolare della vita, ma consiste nell’approcciarsi in modo autentico alla tradizione, ai sapori e agli odori di un territorio. Il Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2019, stilato da Roberta Garibaldi dell’Università di Bergamo con il supporto scientifico di World Food Travel, mostra un incremento di interesse verso il turismo enogastronomico italiano ed, in particolare, di esperienze legate al cibo, al vino ed alle tradizioni alimentari del territorio nazionale da parte di coloro i quali lo scelgono come destinazione turistica. Il turismo enogastronomico non suscita interesse soltanto negli stranieri, ma anche gli italiani decidono di muoversi nella Penisola, considerando la storia gastronomica di una regione come un’opportunità di conoscenza e di formazione personale. Nel documento viene delineato anche il profilo del turista enogastronomico: viaggia in coppia, non ha una età precisa e proviene, nella maggior parte dei casi, dal Sud Italia. Egli ha come primo obiettivo la ricerca del paesaggio enogastronomico inteso come insieme di attività, prodotti tipici, ambiente e, più in generale, la cultura che caratterizza una destinazione turistica. Le attività preferite dai visitatori riguardano la degustazione di prodotti tipici, la frequentazione di mercatini, la visita ad aziende agricole, la ricerca di ristoranti e locali autoctoni. Inoltre vi è sempre una maggiore richiesta di esperienze a tema come visite a caseifici, pastifici o fabbriche alimentari. Le mete privilegiate sono italiane: nello specifico l’Emilia Romagna, la Sicilia e la Toscana; le città maggiormente apprezzate sono Firenze, Napoli e Roma mentre all’estero i Paesi più gettonati sono Francia e Spagna e le città Parigi, Madrid e Barcellona. Gli stranieri che si recano in Italia, invece, preferiscono offerte di tour enogastronomici principalmente in Toscana e Piemonte, regioni conosciute nel mondo per i vini e per l’ottima cucina. L’Italia è in grado di offrire un patrimonio unico: circa 5.000 prodotti tradizionali, 825 marchi di indicazione geografica, un centinaio di musei legati al gusto, 23.000 agriturismi e 173 strade del vino e dei sapori.6 Infine, lo sviluppo del turismo enogastronomico nella Penisola è stato ulteriormente rafforzato dal decreto del 2019 sull’enoturismo che regola l’accoglienza dei visitatori in cantina, dando la possibilità di ospitare anche eventi ricreativi e promuovere percorsi esperienziali in grado di accogliere un gran numero di turisti.7 Il decreto, firmato dall’attuale ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, conclude un percorso virtuoso iniziato con la precedente legislatura: è un passo importante perché mira a promuovere il rapporto tra territorio, turismo e prodotti alimentari, in un Paese dove la qualità riveste una sempre maggior attenzione da parte dei consumatori italiani e stranieri. Enrico Bernardini 1 Fonte: Il Giornale del Cibo, 26/04/2018. 2 Ibidem. 3 Fonte: Il Giornale del Cibo, 19/04/2018. 4 Fonte: Il Giornale del Cibo, 26/04/2018. 5 Ibidem. 6 Fonte: Gambero Rosso, 30/01/2019. 7 Fonte: Gambero Rosso, 15/03/2019. Bibliografia e sitografia Garibaldi R. (2019) (a cura di), Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2019, Bergamo, Università degli Studi di Bergamo e World Travel Association. www.vvox.it http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=22695 Renato Ciaponi. Bollicine di mele È buono, fresco, frizzante, piacevole in bocca. È prodotto con mele coltivate in alta Valtellina, ma non è succo, non è sidro... è un sidro spumante. Si chiama Melagodo. Sono a Grosotto nella piccola azienda a conduzione familiare di Laura Del Fatti in compagnia di Simone, il figlio architetto. Simone mi accompagna nel caveau (come lo chiama scherzosamente) e lì, circondato da migliaia di bottiglie perfettamente accatastate, mi racconta la storia di questo prodotto unico, pregiato, adatto ad essere consumato a fine pasto, per accompagnare un dolce, come aperitivo ma nella versione Brut anche a tutto pasto, con la pizza, i frutti di mare o le carni grasse. Due spumanti che hanno avuto un grande riconoscimento a Francoforte in Germania, nella patria del sidro, al “Cider World” 2018. «Un progetto», mi spiega, «nato quasi per caso, una decina di anni fa dalla necessità di utilizzare una partita di mele rovinate dalla grandine. Abbiamo pensato che avremmo potuto ricavare un quantitativo di sidro, per noi, ad uso familiare. Così abbiamo iniziato, torchiando le mele, producendo un prodotto quasi imbevibile, ma la passione di creare qualche cosa di nuovo (e qui sicuramente la creatività tipica degli architetti è venuta fuori) ci ha coinvolto e adagio adagio, sperimentando metodi diversi di spremitura, buttando spesso il liquido ottenuto perché eccessivamente ossidato, perché sgradevole, siamo riusciti a produrre un prodotto dignitoso. Abbiamo impiegato circa sei anni per trovare una tecnica corretta di torchiatura e finalmente con l'acquisto della idropressa, ecco i primi risultasti positivi. Il nostro obiettivo intanto si era trasformato, non più il sidro, ma qualcosa di più pregiato: il sidro spumante. Un prodotto nuovo, completamente diverso, un prodotto di pregio». Si ferma, apre delicatamente una bottiglia, «Questo è il Brut, nove gradi». Versa il contenuto in due flûte. Alziamo i bicchieri, guardiamo il colore, un bel giallo paglierino con alcuni riflessi verdognoli, ma soprattutto ammiriamo il perlage fine, che continua a formarsi nel bicchiere. Sentiamo il profumo, floreale con i classici sentori di crosta di pane, poi in bocca, discreta acidità, retrogusto amarognolo, piacevole. Perfetto. Sicuramente un prodotto di pregio. Mentre continuiamo lentamente a gustare il nostro Brut, Simone con pazienza, mi racconta il lungo processo di produzione che inizia con la scelta delle varietà di mele, perché, mi dice. «ogni varietà crea delle sfumature diverse nel prodotto finale, la Fuji dà un tono piacevolissimo, un leggero retrogusto zuccherino, fruttato; la renetta un gusto leggermente amarognolo, la Granny Smith dà l'acidità e poi le classiche golden o le rosse antiche che coltiviamo su nostri terreni che si trovano ad un'altezza compresa tra i 500 ed i 1000 metri di quota». Il processo è lungo, laborioso. Le mele vengono lavate, grattugiate, segue una soffice spremitura che produce un succo caratterizzato da intensi profumi floreali e fruttati, con un alto concentrato zuccherino, ma in grado di conservare una piacevolissima freschezza. Nel giro di alcune settimane, una lenta e naturale fermentazione trasforma questo nettare in un vino fermo di mele che, lasciato a maturare per almeno 6 mesi all'interno di apposite botti, raggiunge i livelli di complessità organolettiche desiderati. Segue la seconda fermentazione in bottiglia, con aggiunta di lieviti selezionati, lieviti che l'azienda ha fatto selezionare da una ditta specializzata partendo da quelli per lo champagne ma adattati al sidro. In bottiglia avviene una rifermentazione grazie ai lieviti e all'aggiunta di un succo di mela congelato sempre di produzione dell'azienda. Una fase lunga che dura da uno a due anni, secondo la tipologia del prodotto. «Ecco», mi dice accarezzando alcune bottiglie accatastate, «in queste bottiglie sta avvenendo la seconda fermentazione. Molte sono pronte, la spumantizzazione è avvenuta, il prodotto ha raggiunto la sua piena maturazione. Manca ancora un'operazione. Quella che i francesi chiamano dégorgement. Occorre fare depositare i lieviti sul tappo. Anche questo è un processo lento, dobbiamo mettere le bottiglie in appositi cavalletti con il collo più in basso rispetto al fondo della bottiglia, e poi procedere con una continua rotazione della stessa per far depositare le fecce dei lieviti esausti sul tappo. E poi la sboccatura». Già la sboccatura al volo, operazione importante che richiede molta esperienza. Si toglie il tappo a corona e quello di plastica dove si sono depositati le fecce dei lieviti, si gira la bottiglia, facendo sì che escano solo le fecce e pochissimo vino. La massa di lievito e liquidi persi durante questa affascinante operazione vengono reintegrati rabboccando le bottiglie con la liquore d'expedition, la cui ricetta viene gelosamente custodita tra le mura della cantina. Nuovo tappo, gabbietta di metallo, etichette, abbellimento della bottiglia con una carta colorata sul tappo. Simone apre una nuova bottiglia, «questo è l'extra dry, sempre 9 gradi», alziamo ancora il bicchiere, guardiamo il colore e il perlage perfetto, come nell'altra bottiglia, ma il profumo è diverso, più floreale, il gusto è morbido, più delicato». Simone continua a parlare, mi racconta di una sperimentazione in atto, uno spumante di 14/15 gradi derivante da mele raccolte a febbraio, mele Golden e Stark, che congelano sulla pianta e che con la torchiatura formano una melassa molto zuccherina. Mi porto alla bocca il flûte, un altro sorso e poi melogodo lentamente, in silenzio, per sentire meglio quei profumi di mela di montagna che qui, in questo bottiglie di Melagodo, sono ancora presenti grazie al lungo e laborioso lavoro che l'azienda Del Fatti è riuscita ad inventare. Renato Ciaponi (dal Blog il gusto dell'enogastronomia valtellinese, 14 febbraio 2019) Azienda Agricola Laura Del Fatti Via Patrioti, 29 - 23034 Grosotto SO Tel. 380 6830900 www.sidromelagodo.it http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=22480 Alta Val Brembana. Erbe del Casaro – Edizione 2018|Sabato 2, Domenica 3 e Sabato 9, Domenica 10 giugno Torna la rassegna di appuntamenti che vi guidano alla scoperta di Erbe spontanee di montagna e Formaggi Tipici della valle Brembana Un’edizione ancora più stuzzicante! L’edizione 2018 prevede ancora più appuntamenti con i sapori della tradizione e le proprietà salutari delle Erbe Alpine La nona edizione di “Erbe del Casaro”, la rassegna dedicata alle Erbe Spontanee e ai Formaggi tipici della Valle Brembana, vi aspetta negli undici paesi di Altobrembo per due fine settimana da sabato 2 a domenica 10 giugno 2018. La rassegna prevede numerosi appuntamenti dedicati a grandi, piccoli, famiglie e giovani. Le iniziative sono organizzate in maniera diffusa sul territorio degli undici comuni di Altobrembo (Averara, Cassiglio, Cusio, Mezzoldo, Olmo al Brembo, Ornica, Piazza Brembana, Piazzatorre, Piazzolo, Santa Brigida e Valtorta), accompagnandovi a scoprire le bellezze di tutti i piccoli paesi di montagna. Durante le iniziative di “Erbe del Casaro” sarete guidati alla scoperta delle peculiarità gastronomiche delle erbe spontanee e delle eccellenze casearie della Val Brembana, e avrete la possibilità di entrare in contatto con le tradizioni, la cultura e i saperi del territorio e delle genti che lo vivono, accompagnati da realtà locali e da associazioni a livello nazionale. Tra gli appuntamenti che arricchiscono il calendario della rassegna si segnalano: visite alle aziende agricole locali per scoprire le attività tradizionali e i loro prodotti, momenti culinari, degustazioni, aperitivi e ancora: escursioni alla scoperta della natura, appuntamenti culturali, conferenze e molto altro. Nella nona edizione di “Erbe del Casaro” spiccano alcune iniziative di rilievo, tra cui: - Sabato 2 giugno Arte e Cultura tra Sapori e Natura, itinerario guidato dall’antico borgo del Monticello al Santuario dell’Addolorata per scoprire alcuni dei capolavori della rinomata famiglia di frescanti Baschenis. Seguirà la visita guidata all’Azienda Agricola Salvini con un aperitivo a Km 0; - Sabato 2 giugno Mugnaio per un giorno, una giornata a stretto contatto con la natura alla scoperta dell’antico mestiere del mugnaio. È prevista la visita guidata per bambini e adulti al mulino e all’essiccatoio di Cusio, accompagnata dal laboratorio dove i bambini potranno realizzare gnomi e fatine con foglie di mais ed altri elementi naturali; - Sabato 2 giugno Le Buone Erbe Spontanee, a Ornica le Donne di Montagna, in collaborazione con Slow Food e ERSAF vi accompagneranno in un’escursione alla scoperta delle erbe spontanee. Seguirà la Conferenza sulle Erbe Spontanee delle nostre Valli e la Cena itinerante nell’antico borgo con canti popolari; - Domenica 3 giugno Benessere con le erbe, un’intera giornata a Piazzolo, dedicata alla salute e al benessere attraverso le erbe. L’iniziativa di Piazzolo sarà un’esperienza completa per tutta la famiglia: i bambini infatti saranno impegnati in attività e giochi, lasciando i genitori liberi di dedicarsi alle numerose esperienze dedicate al benessere e al relax in natura: Swiss Ball, Shiatzu, stiramento dei meridiani, corso di cosmesi, massaggi, e molte altre attività per tutti; - Sabato 2 e domenica 3 giugno: in concomitanza con “Erbe del Casaro” si svolgerà “Orobie Bike Fest”, iniziativa dedicata agli appassionati del mondo della bicicletta e non solo. A Piazza Brembana tutti potranno divertirsi e mettersi alla prova ammirando le acrobazie di esperti e acrobati all’interno di un’area attrezzata. Anche i bambini potranno divertirsi con la parete di arrampicata e il percorso di push bike. Tra le novità troverete l’Orobic Street Food con le Aziende Agricole locali e la pista bike test nell’area Expo; - Sabato 9 giugno Do you Agrì?, percorso esperienziale lungo le vie di Valtorta per scoprire come nasce l’Agrì di Valtorta. La giornata è dedicata non solo alla scoperta del borgo, dell’Ecomuseo e delle sue strutture, ma anche della Latteria Sociale dove nascono l’Agrì e lo Stracchino all’Antica delle Valli Orobiche, entrambi Presidio Slow Food. Nel corso della giornata inoltre i bambini potranno cimentarsi in laboratori e nella costruzione di giochi in legno della tradizione bergamasca e gli adulti potranno assistere a un corso pratico di erboristeria per imparare a riconoscere le piante medicinali spontanee; - Sabato 9 e domenica 10 giugno a Olmo al Brembo, presso la sede di Altobrembo (ex Segheria Pianetti) vi aspetta A pranzo e cena con il produttore, un pasto in compagnia dell’Azienda Agricola Della Fara che vi accompagnerà nella degustazione e illustrazione dei suoi prodotti a base di erbe spontanee. Dalle ore 21:00 di sabato 9 giugno, inoltre, potrete partecipare a Drink Green – Mojito e Tisane, dove avrete l’occasione di personalizzare i vostri cocktail con erbe particolari e degustare le tisane naturali; - Domenica 10 giugno: Il Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana sarà il grande protagonista della giornata. Nel corso dell’ultimo giorno della rassegna adulti e bambini potranno partecipare a laboratori esperienziali all’insolita scoperta delle proprietà dei formaggi. Nel pomeriggio i bambini potranno partecipare al laboratorio esperienziale Dal latte al Formaggio, alla scoperta della nascitadel formaggio. I piccoli casari impareranno a produrre il formaggio con le proprie mani e a conoscerne le caratteristiche in un modo del tutto nuovo. E per concludere la giornata con gusto non potrete perdervi la gustosa Merenda del Casaro a base dei migliori formaggi locali. Coccolatevi con le delizie di “Erbe del Casaro” Durante la rassegna i nove ristoranti locali aderenti proporranno Menu a base di Erbe spontanee e Formaggi brembani a prezzi convenzionati e i bar promuoveranno gli Aperitivi del Casaro per portare sulla tavola i sapori della tradizione e della cultura della Valle Brembana. Inoltre, presso la sede di Altobrembo, a Olmo al Brembo, sabato 9 e domenica 10, sarà possibile partecipare all’iniziativa A Pranzo e Cena con il Produttore, degustando piatti cucinati con prodotti a Km 0. ALTOBREMBO – Alta Valle Brembana (BG) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=22094 Sondrio. Sabato Cena a lume di candela|Con il WWF e con La Bottega della Solidarietà Sondrio, Sabato 24 marzo ore 20:30/21:30 evento internazionale WWF – EARTH HOUR 2018 CENA A LUME DI CANDELA La partecipazione all’iniziativa si fonda sulla semplicità, ma nello stesso tempo sulla significatività di un gesto: spegnere la luce di una casa, di un edificio, di un monumento, l’illuminazione di una strada o di una particolare area di una città per un’ora, partecipando in tal modo ad un’iniziativa di forte valenza simbolica, un’occasione per rendere esplicita la volontà di sentirsi uniti nella sfida globale al cambiamento climatico che nessuno può pensare di vincere da soli. Grazie all'accordo con Altromercato, la maggiore organizzazione del Commercio Equo e Solidale in Italia e tra le principali a livello internazionale, il WWF Valtellina Valchiavenna organizza con La Bottega della Solidarietà di Sondrio la terza edizione della “Cena a lume di Candela” Saremo alla “mensa IMMENSA” ospiti dell'Op. Mato Grosso Via privata Moroni, 7/9 - Sondrio (di fronte al tribunale, adiacenze parcheggio) prenotazioni: La Bottega della Solidarietà – via Piazzi 18 telefono (orario negozio) 0342 567310 Villiam Vaninetti responsabile WWF Valtellina Valchiavenna http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=56&cmd=v&id=21973