News di TellusFolio http://www.tellusfolio.it Giornale web della vatellina it Copyright: RETESI Marisa Cecchetti. “La leonessa” di Francesco Ferracin Francesco Ferracin La leonessa Linea Edizioni, 2024, pp. 650, € 18,00 Davvero una leonessa è Rike, che conosciamo diciassettenne, quando si passava senza problemi da Berlino Est a Berlino Ovest, in un giorno di sciopero nel giugno del ’53, quando nella DDR la folla è inferocita perché sono state aumentate le ore lavorative senza aumento dei salari: la povertà dilaga all’est dove il SED, il Partito Socialista Unificato della Germania, vuole costruire una società senza differenze, mentre dall’ovest arrivano i segni di un benessere in aumento e cresce il numero di chi vi trova rifugio. Orfana perché la guerra le ha portato via genitori e fratelli, ma di famiglia benestante, vive in campagna con la zia Magda, malata psicosomatica dal passato doloroso e segreto, e si prende cura del nonno paterno, un professore nazionalsocialista a cui Rike deve comunque l’educazione alla cultura e alla bellezza. Friederike crede nel socialismo, come sua madre, risponde al dovere di lavorare per il bene dello Stato secondo le indicazioni del Partito, fa la portalettere, poi è segretaria in una compagnia di assicurazioni, ed ha la volontà di studiare e di conseguire il diploma alla Scuola Superiore di Pedagogia di Postdam. Con lei conosciamo l’amica fidata Brigitte, che non disdegna di incontrare i soldati americani, e soprattutto Klaus, un meccanico e sedicente pittore, mutevole e violento, che Rike sposa e da cui ha la figlia Mathilde. Un rapporto di amore e odio quello di Rike per Klaus, che scopre “un orco nascosto in quell’uomo dall’aspetto di un angelo”, da cui deve prendere le distanze, per la sicurezza sua e di Mathilde. Il romanzo, liberamente ispirato ai diari di Christel Onyewenjo Schroder, prende in considerazione l’arco di tempo che va dal 1953 al 1968, di cui segue le novità musicali, letterarie, cinematografiche, le imprese spaziali, le vicende di carattere internazionale, recuperando eventi documentati e personaggi politici, adattati alle esigenze narrative. Se la prima parte si sviluppa nella DDR, fino e oltre l’innalzamento del muro di Berlino nel 1961, con il popolo tedesco che si vede all’improvviso separato da amici e parenti, la seconda parte, la più estesa, quasi un romanzo nel romanzo, ci porta in Nigeria a partire dal 1964, dopo la fine del colonialismo inglese. Questo perché Rike ha conosciuto Alexander, studente universitario marxista appartenente a una potente famiglia nigeriana, fiducioso negli effetti benefici del socialismo anche nel suo Paese. Lo raggiungerà, una volta ottenuta l’esenzione dall’obbligo di lavoro e il permesso di espatrio, anche se le lettere dalla Nigeria non sono arrivate, con sé soltanto l’indirizzo di Alex nella città di Enugu. Con un volo che ha un numero esasperante di scali porta via Mathilde e Christa, nata dal matrimonio con Alex, unica donna bianca a muoversi tra una popolazione nera. La vita nel paese africano affascina e inquieta: Nigeria dagli usi culturali retrogradi, dei riti tribali e degli sciamani, dalle notevoli differenze sociali ed economiche, paese da cui l’Inghilterra non se n’è mai andata davvero, vista la presenza delle sue compagnie petrolifere e l’interesse per le miniere. Un paese dove Rike non percepisce la stessa libertà di cui lei godeva in Germania, non la riconosce nelle altre donne, non vede il rispetto per i subalterni trattati come servi. Ma la Nigeria le entra nel sangue, con l’harmattan che soffia carico di odori, col mistero della giungla, i colori, il caldo che sale verso la loro villa sulla collina, la conoscenza di uomini di potere che Alex frequenta, i club dove si fanno gli incontri più sorprendenti, come quell’affascinante veneziano che appare spesso, inaspettato e misterioso. Ci sono altri misteri intorno a Rike, come quel ragazzino, Johnny, da cui il marito non si separa mai. Chi è? E gli intrighi e le trame della politica in cui Alex è coinvolto, da cui la vuole tenere lontana; con la violenza di un golpe militare e l’eliminazione dell’avversario, le divisioni e la guerra tra tribù igbo e hausa-fulani; con le migrazioni di profughi all’interno del Paese e la morte di migliaia di persone. Soprattutto con la proclamazione dello stato indipendente del Biafra di popolazione igbo, con l’embargo, con lo spazio aereo chiuso, abbandonato dal mondo tranne che da De Gaulle, passato alla storia per la drammaticità della situazione sanitaria e alimentare, per un numero di morti calcolati tra settecentomila e un milione. Rike, madre di Mathilde e di tre figli di Alex, attraversa questo inferno - magari ha pranzato addirittura con uomini che si riveleranno assassini - anche lei col terrore che muoia di fame l’ultima nata, di pochi mesi. Il romanzo di Francesco Ferracin, scrittore veneziano che vive tra Berlino e Venezia, apre su un mondo lontano dalle comuni conoscenze, tuttavia con una ricchezza tale di dettagli e di intrighi politici interni alla Nigeria, che finisce per assomigliare a un giallo e impegna parecchio il lettore; del resto “era grande la rete di interessi tra tanti gruppi di potere, clan, tribù e multinazionali petrolifere”. La figura di Rike, la leonessa, attraversa tutto il romanzo, anche se talora rimane in ombra dietro gli intrighi di potere; l’Africa si mostra con la sua bellezza e le sue piaghe, il colonialismo con i suoi appetiti insaziabili, i pogrom rimandano a quelli che conosciamo anche oggi. Queste vicende, dove verità e finzione letteraria si intrecciano, non sono mai apparse così attuali, a dimostrazione purtroppo che la Storia non ha insegnato niente, che ci sono soltanto interessi economici dietro a ogni guerra: “Il Presidente Ojukwu?” “No. No. Lui è il primo che tornerebbe a trattare. Sono persone fuori della Nigeria. E, soprattutto, persone accecate dal loro fanatismo. E dal denaro”. Che abbia ragione quell’Edoardo veneziano, misterioso e affascinante? Cioè “che l’essere umano è un errore della creazione”; pur “volendo ammettere che siamo lo sviluppo di un processo evolutivo, a un certo punto c’è stato un corto circuito che ha portato l’essere umano a sviluppare un istinto di autodistruzione”. Marisa Cecchetti http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=57&cmd=v&id=24826 Rita Bompadre. “Amore che viene e che va…” di Cesare Verlucca e Giorgio Cortese Cesare Verlucca e Giorgio Cortese Amore che viene e che va... Dalle Alpi alla Sila Hever, 2023, pp. 104, € 15,00 “Un buon libro è un compagno che ci fa passare dei momenti felici” (Giacomo Leopardi). L’intestazione, contenuta nel libro Amore che viene e che va... di Cesare Verlucca e Giorgio Cortese, già racchiude il senso poetico della vocazione di chi scrive ed edita per accompagnare i lettori nell’intrigante ed entusiasmante riuscita di una trama autentica e nel coinvolgimento di una storia avventurosa. Il libro scritto da Cesare Verlucca e Giorgio Cortese, abbraccia appassionatamente il destino del grande amore, raccontato attraverso gli incroci imprevedibili e affascinanti che legano le vite dei due protagonisti, Grazia e Angelo. Gli autori descrivono il romanticismo di un sentimento, nato in Calabria e ritrovato inaspettatamente ad Ivrea, che contraddistingue l’ispirazione fiabesca e sorprendente della fatalità, la magia avvincente degli incontri, la combinazione travolgente e impetuosa del tempo, ipotecato tra il compromesso irrisolto del passato e la testimonianza sospesa del presente. La grande storia d’amore dispiega la sua forza nella prontezza e nella determinazione dell’indole dei personaggi, immersi nell’esplorazione del coraggio e nell’incrollabile fiducia nella speranza, evolve il tenace ardore nell’incondizionata fedeltà, nutre, contro l’inafferrabilità degli avvenimenti e la volubilità delle oscillazioni emotive, gli accordi fortunati della rinascita inestinguibile dell’amore e del desiderio, rincorre l’impalpabile e delicata percezione del mondo degli affetti e delle emozioni, nell’etica seducente e suggestiva della finalità umana. Nonostante il groviglio insidioso delle avversità, l’imprevista incognita delle vicissitudini, la prospettiva fortuita delle fughe, l’esperienza di Grazia e di Angelo dimostra la possibilità di coltivare la volontà, recuperare la cognizione della propria esistenza, riscattare la reciproca volontà del bene, superare l’elemento incontrollabile e sconvolgente degli eventi dolorosi e delle sofferenze, affrontare le prove della vita coltivando il pensiero della libertà interiore, la sensibilità e l’intuito comprensivo in ogni profondo, essenziale insegnamento. Gli autori guidano il cammino dei protagonisti nello scenario meraviglioso di luoghi e ambienti riferiti con viva attenzione estetica e precise caratteristiche, lungo il richiamo evocativo della storia dalle Alpi alla Sila, il respiro ammaliante delle tradizioni, l’immensità della natura e l’incomparabile spettacolarità dei paesaggi tracciati. Cesare Verlucca e Giorgio Cortese illustrano con risoluta e incisiva maestria l’arte pittoresca del racconto, mostrando l’affinità emotiva di una storia che regala, al lettore, la rivelazione, carica di suspense, di un viaggio incredibile, nelle conturbanti vicende avvolte nell’alone criminoso dei fatti, nell’assalto di un passato che riemerge dalla superficie nascosta e chiede la resa dei conti. Interpretano, nelle forme corpose e suadenti della scrittura, la gradazione impulsiva e passionale del convincente romanzo, nelle superbe pennellate dei colpi di scena, nelle svolte fulminee di un intreccio che mantiene costantemente vivo l’interesse e stupisce per la sua attraente identità, nell’affidabilità accattivante dell’espediente letterario. Il libro espone l’indicazione di un codice affettivo che ritrova nella sua ragion d’essere il motivo nobile di resistere agli episodi spiacevoli della vita, salvare dai contesti tormentati e contaminati la purezza della propria anima per coronare il sogno di un’affermazione, custodita nel cuore di un’epoca felice. Rita Bompadre Centro di Lettura “Arturo Piatti” http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=57&cmd=v&id=24828 Rita Bompadre. “Tra Valchiusella e Messico in giro per l’Olivetti” di Meuccio Bertarione Meuccio Bertarione Tra Valchiusella e Messico in giro per l’Olivetti Hever Edizioni, 2023, pp. 116, € 20,00 Tra Valchiusella e Messico in giro per l’Olivetti è la narrazione sensazionale e avventurosa della tematica poetica del viaggio, inteso come metafora della vita, alla ricerca del fortuito e inconsueto peregrinare nella fedeltà emotiva degli affetti fraterni e duraturi. Il protagonista ricorda la promessa fatta da bambino, nel momento in cui alla sua famiglia viene recapitata una lettera con la notizia della scomparsa dello zio Pietro in Messico. Il sincero e accorato impegno di riportare i resti mortali nella città di Vico, in Valchiusella, è il motivo avvincente di una trama che trae il suo sentimentale spunto dal valore romantico, spinge la qualità iniziatica dell’affermazione esistenziale e della scoperta dinamica di ogni altrove, ritrovato nelle testimonianze della travolgente biografia. Il libro, corredato magnificamente da superbe immagini d’epoca e interessanti illustrazioni a tema, dipinge la cornice struggente e commovente della storia, ripercorre il destino inesplorato nella direzione temporale di quattro viaggi, tutti mossi dall’esigenza di tradurre nella chiave storico - geografica la relazione attendibile delle scoperte unite dai legami, dal desiderio di conoscere e sapere la volontà documentaria del parente scomparso. Meuccio Bertarione alimenta il suo spirito di osservazione attraverso la peregrinazione appassionata di una storia con risvolti inattesi e sorprendenti, ammalia il lettore con un rendiconto entusiasmante e riflette, nello stile lineare e semplice, la vocazione di interiorizzare l’itinerario privato, di misurare lo stimolo della funzione narrativa e di controllare lo spazio dell’esperienza ancestrale, proiettando la miracolosa ed eccezionale prospettiva del sentire nel passaggio sconfinato della ricerca familiare. L’autore custodisce con riserbo e tenerezza la nostalgia delle emozioni, ricostruisce il cammino della memoria con il recupero ancestrale di avvenimenti fondamentali e di incroci determinanti sul senso di appartenenza, cura il dettaglio coraggioso e intraprendente di ogni confine del mondo alla scoperta di luoghi dell’identità. Il libro dilata la monografia relazionale dello zio con la combinazione di altre storie, degli studi e della carriera nella società Olivetti, annota gli episodi caratterizzati dalle incursioni imprevedibili della vita, i suggerimenti passionali delle ispirazioni dirette in giro per il mondo, dedica alla sequenza indicativa delle fotografie l’intensità emotiva della bellezza, assorbe l’impatto istintivo nelle parole della speranza, nel coinvolgimento di ogni persuasione aderente al racconto. L’esposizione autobiografica racchiude il tempo carezzevole dei ricordi dagli anni quaranta fino al 2001. Meuccio Bertarione ripercorre le tappe di una possibilità fiduciosa nell’emigrazione, nell’investimento seducente di un sogno, per cercare fortuna, per sottrarsi alla limitazione della povertà, per integrare l’orgoglio e la rispettabilità di un percorso sviluppato nella solidità e nel conforto del successo. Il ruolo altruistico dell’Olivetti contribuisce, nell’indimenticabile vicenda, alla solidarietà nobile e umana, alla disponibilità di una caritatevole generosità e al raggiungimento della felice conclusione. Il libro concentra il profumo della risolutezza, nelle pagine pervase di temerarietà e di grande forza d’animo, racchiude la calorosa e amorevole condivisione per la famiglia rendendo complice il lettore in un’incantevole spirale di armonia, di avventura, di dramma e di gioia, rappresenta l’itinerario di una formazione umana sostenuta nell’intensità dell’amore oltre le attese, i dolori e le soddisfazioni. Rita Bompadre Centro di Lettura “Arturo Piatti” http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=57&cmd=v&id=24804 Giuseppina Rando. L’umanità trascende la politica Nell’affollarsi del dibattito politico che quotidianamente anima i diversi programmi TV e gli organi di stampa, a proposito dei fatti accaduti recentemente a Pisa e Firenze (cariche e scontri tra polizia e studenti), hanno fatto discutere a lungo le parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il quale così si è espresso: “L’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura con i manganelli, bisogna garantire libertà di manifestare; i manganelli con i ragazzi sono un fallimento”. A queste se ne sono sovrapposte altre autorevoli come “...clima di crescente aggressività contro le forze dell’ordine…” o “…pericoloso togliere il sostegno alle forze dell’ordine…” Da qui la domanda: bisogna approvare l’operato della polizia anche se prende a colpi di manganello un gruppo di giovanissimi studenti che manifestano, disarmati, per il “cessate il fuoco” contro il popolo palestinese? A destra - scrive in una nota la scrittrice Lidia Ravera - c’è chi ama la polizia in tenuta antisommossa, armata fino ai denti e carica di indistinto livore. A sinistra c’è chi ama la polizia democratica che consente a garantire incolumità a chi manifesta la propria opinione, la propria angoscia o il proprio dissenso per come stanno andando le cose in Medio Oriente. A sinistra c’è chi considera la condotta bellica della destra estrema, in Israele al potere, un orrore umano e un pericolo politico. A destra c’è chi considera, o finge di considerare, quelli di sinistra antisemiti perché sono contrari alla strage indiscriminata di Palestinesi, neanche fossero tutti Hamas. E c’è anche chi afferma che volere la pace significa dimenticare la tragedia del 7 ottobre. Niente di più falso: l’umanità trascende la politica. Si vorrebbe semplicemente (ma è forse un sogno!) che israeliani e palestinesi non fossero più estranei gli uni agli altri, che cadessero pregiudizi, falsità e ipocrisie. Il bisogno di pace è di tutti; è di tutti il desiderio che non si uccida più, che la vita torni a scorrere, che si ricostruiscano le case bombardate, che i bambini non subiscano un dolore più grande di loro, che li segnerà per tutta la vita. È di tutti il desiderio di pace, fraternità, solidarietà. Pace, fraternità , solidarietà significano molto… ma concretizzano poco, soffocate come sono dall’egoismo, il tornaconto e la sete di potere. Concetti che trascendono le barriere culturali, religiose e sociali costituendo le radici stesse dell’umanità. Sappiamo bene ciò che accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori. Conosciamo bene come la libertà si restringe quando si favorisce una condizione di solitudine annullando ogni autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa. Pace, fraternità, solidarietà – in sostanza - non hanno bisogno di teorie ma di gesti concreti e di scelte condivise, le sole che possano realizzare una cultura di Pace. Giuseppina Rando http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=140&cmd=v&id=24803 Plevano 70, il tempo e le tracce Lo Spazio Arte Scoglio di Quarto di Gabriella Brembati presenta martedì 27 Febbraio 2024 alle ore 17:30 in via Scoglio di Quarto n. 4 a Milano il libro autobiografico Plevano 70, il tempo e le tracce. In contemporanea saranno esposte una serie di opere grafiche recenti di Plevano dal titolo: “L’ultimo cielo oltre la settima sfera”, ispirate dalla Divina Commedia di Dante Alighieri. Dialogano con l’autore Stefano Soddu, Lucio Giannelli, Giacomo Maria Prati Nota di Roberto Plevano Dopo varie sollecitazioni di amici (Giacomo Lodetti, Riccardo Marco Scognamiglio, Giulio Giorello, Luca Pietro Nicoletti, mio figlio Matteo), mi sono deciso al compleanno dei miei 70 anni di raccontare la mia vita. Premetto che io non sono uno scrittore, ed essendo al mio primo libro, mi sono trovato un po’ in difficoltà e spero mi perdonerete se non ho un vocabolario ampio, articolato ed un ritmo di scrittura altalenante che rispecchia fedelmente il mio carattere. Nella stesura del libro ho capito subito che dovevo mediare tra due linguaggi ben diversi, quello visivo, e quello della parola. Impresa difficile perché le modalità espressive avevano tempi e ritmi difficilmente compatibili. Essendo un artista visivo astratto, dovevo necessariamente parlare anche dei miei 50 anni di espressione artistica, legata indissolubilmente anche alle mie vicissitudini esistenziali. In due mesi, in Sardegna nel 2021, ho scritto circa 500 pagine, 200 sono quelle pubblicate nel libro, mentre nelle rimanenti 300 entro nello specifico del processo creativo commentando 290 opere pubblicate in 10 cataloghi in 50 anni di mostre personali. Prima o poi mi deciderò a pubblicare anche questa seconda parte, ma è necessaria un’accurata revisione cronologica dei testi e dei periodi di ogni singola opera. Nella stesura del testo, i due linguaggi, quello visivo e quello verbale, avevano per me modalità espressive ben diverse, richiedendo tempi e sviluppi di diversa natura. Nel pensare e predisporre un concetto, una frase, una parola, la nostra mente elabora un progetto, un sistema complessivo di senso del fatto da narrare, il tutto in un tempo esteso e coordinato per successive fasi che delimitano, circoscrivono quel pensiero. Nell’espressione pittorica, invece, alle prese con la materia concreta dei colori, delle forme, dei segni, il tempo dell’azione si frantuma, si parcellizza in una miriade di stimoli, di attimi che si realizzano e si organizzano momento per momento in una improvvisazione continua, un po’ come nel jazz. Il ragionamento costruttivo, razionale e preordinato non è necessario e funzionale alla buona riuscita dell’atto. Il tutto si manifesta di continuo nella realizzazione della visione concreta che appare inattesa ad illuminare e risolvere in quel momento la scena con un infallibile e innato istinto percettivo che ci fa fare la cosa giusta, la più essenziale , la più elegante, la più bella. La sintesi si manifesta per momenti successivi, nell’immediatezza di ogni atto e il tutto concorre ad orchestrare una magica e personale sinfonia di visioni che soddisfano il mio godimento estetico di armonia e di senso. Nella scrittura invece questo avviene raramente, il tuo ego autoreferenziale spunta sempre fuori da qualche parte anche involontariamente e il povero autore si trova a dipingersi meglio di quello che purtroppo è, perché non esistono santi ed eroi. Nel fare arte si entra in una dimensione di grande libertà, non ci sono più vincoli e regole, ma rimani in attesa di energie che provengono da altri luoghi, da altre dimensioni a noi sconosciute, ma che ci danno il senso di pura completezza e gioia dell’eternità dell’attimo. In quei momenti di creazione si intuisce di essere in contatto con l’energia cosmica dove interagiscono principi sacri di armonia, sintesi, relazione, equilibrio, simmetria, eleganza, bellezza. Nella scrittura invece si brancola perennemente in una dimensione di frustrazione e impotenza nel non riuscire ad avvicinarsi alla magia e al mistero della vita reale. Mi son sempre chiesto se i più grandi scrittori abbiano sentito drammaticamente questo scacco, se siano stati tutti sinceri fino in fondo, mettendosi veramente a nudo. Forse solo i grandi poeti, coloro che maneggiano magistralmente le parole, fino a farle esplodere per poi ricostruirle nella loro essenza costitutiva, riescono ad avvicinarsi alla magia, al mistero della vita. Ecco, in tutto il libro ho cercato di mediare tra i due linguaggi, sentendo sempre lucidamente le difficoltà, le carenze, la retorica nel groviglio tortuoso ed inestricabile del racconto scritto. Ogni mia creazione astratta si presta a una molteplicità di interpretazioni, le parole vi scivolano sopra perché non esiste un punto fermo di significazione, l’opera continua a produrre visioni in un infinito spostamento dell’orizzonte del senso che non si richiude in un solo significato. Qui abbiamo a che fare con molteplici effetti interpretativi che si amplificano di continuo nel segno artistico scavando nel mistero, nell’enigma dell’inconscio che cerca di manifestarsi nel caos della vita. Con le parole ho costruito la mia cattedrale nel deserto dove i nomadi vi depositano se possono e vogliono, le loro anime stanche. Nell’espressione artistica non ho sentito questa opacità, questa difficoltà, io ho volato sempre leggero e libero, riesco a togliermi tutte le incrostazioni che ci costruiscono e ci costruiamo addosso, che ci ingabbiano e ci castrano. Con questo sistema mi sono salvato, e lo dico senza retorica, l’arte è stata ed è la più formidabile e sicura terapia contro il male di vivere, senza controindicazioni di alcun genere. Si intuisce e si raggiunge meglio il nocciolo della questione, quindi cambia il modo di percepire e interpretare la drammaticità della condizione umana ma soprattutto si supera l’angoscia della nostra finitudine, si intravede la luce eterna che ci attende, si supera il senso di morte che ci attanaglia per l’idiozia e cattiveria del mondo. Un’ultima cosa ci tengo a dirla. Per pubblicare il libro, ho inviato in elettronica il testo a tutte le più importanti Case Editrici e tutte volevano stamparmelo. Era però sorto un problema inatteso, dovevo prima passare dai loro Uffici Legali perché il libro era troppo pericoloso. Mi dissero che il Sistema digerisce tutto, ma fino ad un certo punto, altrimenti potrebbero esserci guai. Bisognava limare, censurare alcune parti perché avrebbero potuto generare ritorsioni, denunzie varie dalle molte corporazioni che nel libro ho ampiamente narrato (L’Industria Culturale, la Scienza, la Politica, la Pubblicità, la Religione, la Sanità, la Giustizia, la Scuola, ecc.). A 70 anni compiuti, ed essendomi sentito sempre libero almeno nella creazione artistica, non potevo sottostare assolutamente a questa castrazione della mia volontà, della mia libertà di dire quello che ho sentito e vissuto profondamente. Ho editato il libro a mie spese, senza censure e manipolazioni di sorta e risparmiando anche un bel po’ di denaro, ma non solo, il libro l’ho pubblicato oltre che in cartaceo, anche in e-book integralmente e gratuitamente in rete nel mio sito ufficiale: www.plevano.com. Ironia della sorte, il mio libro da tre anni viene venduto regolarmente da tutte le maggiori Case Editrici e Librerie Universitarie a 38 euro. Vi do ora brevemente la chiave di lettura per comprendere meglio tutta quanta la mia opera artistica e possibilmente anche il libro. Sin dai primi anni figurativi iniziali, e successivamente in tutta la produzione astratta, ho sentito istintivamente la necessità, con i miei segni, forme e colori, di far esplodere, disintegrare, sbeffeggiare la centralità paranoica del linguaggio di ogni potere (politico, pubblicitario, culturale, scientifico, religioso, sanitario, scolastico, ecc.) con tutti i loro codici e dispositivi di controllo, al fine di gestire, mantenere soggiogate e rincoglionite le masse, pur di conservare ed incrementare i loro evidenti privilegi. È sempre avvenuto così, se pensiamo al perenne sfacelo della Storia, con guerre, pestilenze, sfruttamenti, sofferenze atroci che perennemente si susseguono con milioni di morti inutili. Se ora non si cambia velocemente questo sistema di potere con le sue inutili e nocive regole, con il suo astruso, contraddittorio e strumentale linguaggio, penso che l’umanità giunga inevitabilmente al capolinea della sua storia. Il primo grave segnale e allarme è stato qualche anno fa il cambiamento climatico con tutti i gravi problemi che ne sono derivati e che constatiamo continuamente. Poi è arrivato il misterioso virus che si è diffuso velocemente in tutto il mondo mietendo milioni di morti, ma non solo, si sono inventate ultimamente due pericolose guerre attualmente in corso nel cuore dell’Europa e nel Mediterraneo, praticamente alle porte di casa e noi italiani ne siamo direttamente coinvolti. Come ciliegina sulla torta è arrivata, in un clima nauseante, una nuova situazione politica in Italia, il tutto in una perenne conflittualità che ci tiene tutti spaventati e confusi sul nostro futuro. Questo è lo scenario nel quale annaspiamo impauriti in attesa di tempi migliori. Leggendo in anni giovanili la targa di marmo sulla mia casa natia di Chiavenna, Palazzo Pestalozzi, Salis, Castelvetro, ho capito subito che vivevamo in un mondo di matti, di criminali feroci che da sempre organizzano scientificamente ogni guerra di dominio e predominio sui più deboli. Ho avuto allora una folgorazione, l’estrema necessità di inventarmi e costruire un mio linguaggio personale di segni per dare un senso alla mia vita, alleviare la mia angoscia esistenziale. Istintivamente e inconsapevolmente son risalito alle origini della scrittura cuneiforme della Mesopotania con i simboli primari del quadrato, del cerchio e del triangolo, facendoli interagire nelle più svariate e gioiose combinazioni per giungere al nocciolo della questione e intuire un nuovo modo di vivere e di comunicare. Il linguaggio tradizionale, vecchio e sclerotizzato con tutti i suoi disvalori, non mi bastava di certo, anzi mi creava solo problemi e oggi siamo arrivati a questo punto oscuro e indecifrabile. Qui se non si cambia velocemente la scala di tutti i valori, penso che presto andremo tutti a sbattere in un bagliore di fuoco e fiamme di biblica memoria. Ma come si fa a non capire che ormai bisogna cambiare completamente modo di pensare, di vivere, di produrre, di consumare, la madre terra l’abbiamo offesa e violentata in tutti i modi e ora ci dà segnali inequivocabili che presto potrebbe sfrattarci definitivamente. Ci tengo a concludere questa mia nota con la breve post fazione che mi ha dedicato mio figlio Matteo alla fine del libro. In poche parole, essenziali e poetiche, è riuscito ad illuminare tutta la mia vita con una sensibilità e attenzione che solo un figlio può avere e mi hanno lasciato attonito con gli occhi lucidi in un mare di emozioni. La paglia secca è immobile nell’attesa della scintilla che la accenda. Quando mio padre compì 70 anni pensai fosse una data importante e decisi di regalargli un quaderno bianco per raccontare la storia di una vita. Una storia che merita di essere raccontata. E il fuoco che ho visto divampare nello scrivere è lo stesso che lo ha salvato dall’abisso a 23 anni: quella spasmodica ricerca di elevazione umana e spirituale, autentica fino al midollo, beffarda rivelatrice del re nudo, che è l’arte. Se pensate di leggere la biografia di un artista vi sbagliate. In queste pagine potete trovare qualcosa che vi riguarda da vicino, che tocca le corde più profonde di ognuno di noi. Perché è tutto vero, dannatamente vero. E qui, nel caos della vita e delle sue contraddizioni, possiamo scorgere una luce di verità, la storia di un uomo che è rimasto fedele a sé stesso, lucidamente folle tra i folli, e che ha saputo lasciare una propria traccia significativa nel mondo. Matteo Plevano http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=58&cmd=v&id=24792 Alberto Figliolia. Giovan Battista Moroni in mostra a Milano|Alle Gallerie d’Italia fino al 1° aprile 2024 Soleva dir Titiano a’ Rettori destinati dalla Repubblica alla Città di Bergamo, che si dovessero far ritrarre dal Morone, che gli faceva naturali. (Carlo Ridolfi, 1648) Nell’aureo Cinquecento è difficile la coesistenza dei due opposti: da un lato una “maniera” artificiale e sempre più astraente del dato di natura; dall’altro (ed ecco qui esposto l’esempio fondamentale del Moroni) una semplicità accostante, una penetrante attenzione, una certa calma fiducia di poter esprimere direttamente senza mediazioni stilizzanti la “realtà” che sta intorno. (Roberto Longhi, 1953) Giovan Battista Moroni da Albino, un ritrattista superbo, testimone del proprio complesso e, per quanto le formule politico-religiose paressero ingessate e sembrassero andare contro il cambiamento, multiforme tempo. “Moroni (1521-1580). Il ritratto del suo tempo” è quindi l’appropriato titolo della mostra che le Gallerie d’Italia-Milano, Museo di Intesa Sanpaolo dedicano, fino all’1 aprile 2024, al Maestro nato in Val Seriana. In nove nuclei tematici sono esposte oltre 100 opere fra disegni, libri, medaglie, armature e, in primis, dipinti provenienti anche da importantissimi musei all’estero, quali National Gallery, Kunsthistorisches Museum di Vienna, Gemäldegalerie-Staatliche Museum di Berlino, Musée du Louvre, Museo Nacional del Prado, National Gallery of Art di Washington, Philadelphia Museum of Art. Presenti in mostra pure dipinti di Lotto (fra i quali una splendida Trinità, il Ritratto di giovane, il Ritratto di uomo con i guanti), Moretto (Madonna con il Bambino in trono tra i santi Eusebio, Andrea, Domneone e Domno; Sposalizio mistico di Santa Caterina d’Alessandria con i santi Caterina da Siena, Paolo e Gerolamo; Caduta di San Paolo e altri), Savoldo, Andrea Solario, Anthonis Mor, Veronese, Tintoretto, Tiziano (Ritratto di Giulio Romano, Ritratto del principe vescovo Cristoforo Madruzzo, Ritratto di Carlo V). Imponente è la sfilata delle opere del Moroni: dai soggetti sacri – la Madonna con il Bambino (1550 circa, olio su tela, 70 x 66 cm), un commovente gioiello; la Trinità (1553-1554 circa, olio su tela, 176 x 122 cm); Ultima cena (1566-1569, olio su tela, 295 x 195 cm); pale d’altare – ai tanti ritratti che ne tramandarono abilità, perizia e fama – Ritratto di Giulio Gilardi (1548 circa, olio su tela, 118,4 x 104,1 cm); Ritratto di Michel de l’Hôspital (1554, olio su tela, 185 x 115 cm); Ritratto di ecclesiastico con clessidra (1564-1565 circa, olio su tela, 101 x 82 cm); Ritratto di vecchio seduto con libro (Pietro Spino, 1576-1579 circa, olio su tela, 97,5 x 81,2 cm); i due ritratti della poetessa Isotta Brembati; e ancora gentiluomini, nobili, militari, dotti, giovani, dame. Ed è un elenco per difetto. La sezione dell’esposizione dedicata ai ritratti al naturale approfondisce tale specificità della produzione dell’artista… “Questa tipologia di ritratto riproduce in maniera fedele, senza forme di idealizzazione le persone immortalate nei quadri. Moroni, tendenzialmente, costruisce dei set di posa sempre uguali – come facevano i fotografi nell’Ottocento – concentrando l’attenzione dell’osservatore sulla testa, lo sguardo, la posa delle mani e i dettagli della moda.” Un’altra sezione mostra i ritratti che il Moroni fece alle personalità del proprio tempo: spettacolare, a dir poco, il ritratto di Gian Gerolamo Grumelli, alias Il cavaliere in rosa (1560, olio su tela, 216 x 123 cm), virtuosistico ma non lezioso, iconico quant’altri mai, specchio di un carattere. Originalissimo il “quadro familiare” del Ritratto di uomo con due figlie (1572-1575 circa, olio su tela, 125,3 x 98 cm) e di potente impatto il Ritratto di uomo ovvero il Cavaliere in nero (1567 circa, olio su tela, 190 x 102 cm). “Il limpido naturalismo dei dipinti moroniani è anche il frutto di una strategia tecnica perfezionata nel corso del tempo. Innanzi tutto il pittore copia il modello in un formato a grandezza naturale. Le proporzioni sono quasi sempre rispettate contribuendo all’illusione, ingenerata nell’osservatore, di stare di fronte al soggetto reale. Usualmente il pittore tralascia la mediazione disegnativa e dipinge alla prima. Il risultato è così caratterizzato da un’immediatezza espressiva straordinaria: la materia pittorica appare sensibile, vibrante e luminosa. Inoltre non tende in nessun modo ad abbellire i modelli, al contrario in presenza di difetti fisici li registra.” A chiusura della mostra Il Sarto o Il tagliapanni (1572-1575 circa, olio su tela, 99,5 x 77 cm), dalla National Gallery di Londra, che tanti reputano il suo dipinto più rappresentativo. “Non è un caso che il personaggio sia stato ripreso mentre sta tagliando con la forbice un pezzo di stoffa tinta di nero, colore per antonomasia della moda europea del tempo.” (Il colore degli aristocratici della Serenissima, della corte degli Asburgo di Spagna, della stessa classe dei mercanti). Una sezione della mostra è poi dedicata al tema della preghiera individuale, dell’orazione mentale, che nel periodo della Controriforma si riflette in non pochi dipinti. “Nel caso di Moretto e Moroni il ruolo del personaggio ritratto diventa sempre più incombente nei dipinti dove è protagonista l’orazione mentale: una sorta di visione dei fatti sacri ricreata nella mente del devoto.” (Composizione sarà vedere con l’occhio dell’immaginazione un luogo fisico in cui si trovi ciò che voglio contemplare. Ignazio di Loyola, 1548). Non trascurabile affatto anche la serie di disegni del 1543 del Moroni, fogli di taccuino su cui l’artista si esercitava copiando e imitando i modelli del suo Maestro Moretto, alla cui bottega lavorò in modo tanto proficuo da divenire a propria volta un grandissimo artefice. Moroni fu un innovatore in un’era che avrebbe potuto o voluto privilegiare la conservazione. L’allestimento della mostra è perfetto, disegnando un percorso oltremodo intelligente, raffinato, prezioso. Un viaggio nel tempo, un’immersione e un’esplorazione di idee, caratteri, pensieri, aspirazioni, ambizioni, umori, sentimenti, poiché dopo quasi cinque secoli quei ritratti paiono restituirci ogni vibrazione dello spirito, l’intimità, gli stessi segreti interiori di chi posò per quel dipintore che impugnava il pennello con tanto genio e sensibilità. Alberto Figliolia Moroni (1521-1580). Il ritratto del suo tempo. Gallerie d’Italia-Milano, Museo di Intesa Sanpaolo. Piazza della Scala 6, Milano. Fino all’1 aprile 2024. A cura di Simone Facchinetti e Arturo Galansino. Sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica. Mostra inserita nel programma Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023 e in partnership con Accademia Carrara di Bergamo e Fondazione Brescia Musei. Info: www.gallerieditalia.com; e-mail milano@gallerieditalia.com; numero verde 800.167619. Orari: mar, mer, ven, sab, dom aperto dalle 9,30 alle 19,30; giovedì aperto dalle 9,30 alle 22,30; lunedì chiuso; ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Tariffe: intero 10 €; ridotto 8 €; ingresso gratuito per convenzionati, scuole, minori di 18 anni; ridotto speciale 5 € per under 26 e clienti del Gruppo Intesa Sanpaolo. Catalogo della mostra: Edizioni Gallerie d’Italia | Skira. http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=58&cmd=v&id=24790 Dalla Val Masino a Milano, l’artista Alda Volpi in mostra a Palazzo Lombardia Finalista al Concorso d’Arte Contemporanea di pittura, scultura, fotografia “Essere italiani”, Alda Volpi, artista della Val Masino, vede in mostra la sua opera al nuovo Palazzo della Regione Lombardia, nei locali espositivi IsolaSet. L’inaugurazione e la premiazione si sono tenute a Milano il 17 febbraio, mentre al pubblico l’esposizione è accessibile da domenica 18 febbraio, dal lunedì al venerdì, orario continuato 10-19 e domenica: dalle 10 alle 12:30 e dalle 16 alle 18:30. La Mostra sarà visitabile sino al 10 marzo prossimo. «Sono molto contenta» dichiara Alda Volpi «che una mia opera, Donna sul Naviglio, che rappresenta quando le donne andavano sul Naviglio a lavare la biancheria, sia passata in finale, ringrazio GARTE gruppo artistico culturale di Milano, al quale sono iscritta, per avermi dato l’importante opportunità di partecipare, in un bellissimo contesto». Alda Volpi nata il 10/03/1959 a San Martino Val Masino, in provincia di Sondrio, è una pittrice autodidatta che esegue dipinti ad olio su tela raffiguranti temi paesaggistici di luoghi da lei vissuti e visitati. Durante il periodo 2012-2017 inizia ad esporre pubblicamente le proprie opere presso mostre locali valtellinesi tra cui la mostra svoltasi al chiostro di S. Antonio a Morbegno e partecipando alla mostra artisti in piazza, ottenendo una segnalazione di merito. Nel 2016 si iscrive al GAR Gruppo Artistico Rosetum a Milano dove ancora oggi affina le tecniche da lei usate, potendo così partecipare anche ad importanti eventi. Nel 2017, con il sostegno di alcuni artisti, viene fondato il gruppo Arte e colori Val Masino, che organizza eventi artistici nei quali vengono esposti ancora oggi i suoi quadri. «Un caloroso ringraziamento a Regione Lombardia che ha approvato il nostro Progetto», dichiarano dal Gruppo Artistico Culturale APS GARTE, «che ha reso possibile la realizzazione della fase finale del Concorso nella prestigiosa location di spazio Isola SET in via Luigi Galvani 27, nel cuore pulsante di Milano. Il progetto vede la curatela di Virgilio Patarini e la collaborazione di Paola Caramel, Valentina Carrera, Francesco Giulio Farachi, Graziano Filippini, Vincenzo Scardigno, Federico Troletti e lo stesso Virgilio Patarini quali componenti della Giuria. Il Concorso nella sua fase iniziale ha visto la partecipazione di quasi 200 opere di artisti provenienti da molte città italiane, oltre naturalmente a Milano, e si conclude con una selezione di 80 artisti, rappresentati da 105 opere di pittura, scultura e fotografia. L’interesse per questa manifestazione e il successo che sta ottenendo sono andati molto al di là di ogni aspettativa». (P.M. De Maestri) http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=58&cmd=v&id=24788 Artisti valtellinesi ad “Art exhibition”|Dal 9 al 18 febbraio a Gorgonzola (Mi) Nella prestigiosa residenza Settecentesca di Palazzo Pirola, nella zona centrale di Gorgonzola (Milano), in prossimità del Naviglio Martesana, nei due fine settimana del 9, 10 e 11 febbraio e 16, 17 e 18 febbraio verrà ospitata la mostra “ART EXIBITION”, esposizione di pittura, fotografia e poesia. A rappresentare la provincia di Sondrio la pittrice e poetessa Alda Volpi di S. Martino in Val Masino fondatrice con alcuni amici del gruppo Arte e colori e Paola Mara De Maestri, poetessa responsabile del Laboratorio Poetico di èValtellina cultura e territorio, residente a Cosio Valtellino. Sei gli artisti coinvolti, circa una cinquantina di opere esposte, che rappresentano le varie arti. Oltre a Volpi e De Maestri, partecipano all’iniziativa, Antonella Spanò di Gorgonzola, Costanza Brocheri, Fabrizio Bellani e Alberto Peppoloni di Paullo. «Mi piace la pittura in modi diversi per questo i miei dipinti sono sempre differenti tra loro», commenta Alda Volpi, «dai paesaggi ai soggetti astratti. Sono autodidatta eseguo dipinti ad olio su tela raffiguranti temi paesaggistici di luoghi da me vissuti e visitati. Ultimamente eseguo ritratti di Frida Kahlo esaltando la sua bellezza con la mia fantasia. Partecipo a diverse mostre collettive unendo anche le mie poesie». «Scrivo poesie dall’età di quindici anni» dichiara Paola Mara De Maestri. «Per me scrivere è un’esigenza vitale, come respirare. Mi fa stare bene e mi concilia con il mondo. Le mie poesie sono il frutto di un intenso lavoro di introspezione e riflessione sulle tematiche che mi stanno più a cuore. Per me la poesia è espressione e condivisione. L’ambiente nelle mie poesie ha un ruolo importantissimo e spesso diventa metafora di profondità ed elevazione spirituale. Sicuramente vivere immersa in un territorio straordinario come quello valtellinese mi consente di entrare in contatto più facilmente con il mondo naturale e di sentire con più genuinità il richiamo della terra. Nelle mie corde non solo l’ambiente, ma anche i temi sociali legati alle donne e alla pace e le poesie degli affetti che, seppur personali, parlano un linguaggio universale». «La folgorazione per la fotografia l'ho avuta nell'agosto 1986 vedendo la proiezione di diapositive proiettata da amici», commenta Fabrizio Bellani; «da allora è iniziato il mio hobby frequentando il Circolo fotografico Paullese. Le mie foto sono principalmente di paesaggio del mio territorio, di ritratto, di street photography e non disdegno di ispirarmi a pittori del passato». «Il mondo della fotografia mi ha sempre affascinata ma senza mai entrare nello specifico fino al 2008», spiega Costanza Brocheri, «quando attraverso il Circolo fotografico Paullese ho avuto modo di approcciarmi. Il mio genere fotografico è vario e va dalla paesaggistica, a qualche esperienza di ritratto, di light painting, di still life e di street photography. Mi emoziona sempre fotografare e quando la luce entra in testa, negli occhi e nel cuore cerco sempre di trasmette qualcosa di mio. Ringraziamo, come artisti, il Comune di Gorgonzola, per aver messo a disposizione questa importante aera espositiva e per aver accolto la nostra iniziativa». Venerdì 9 e 16 febbraio, h 15-18; sabato 10 e 17 e domenica 11 e 18 febbraio, dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18. Mercoledì 14 febbraio, in occasione di San Valentino, è prevista un’apertura straordinaria. L’iniziativa “Note d’amore” prevede cioccolata calda e vin brulé in Piazza della Repubblica, per poi concludere la sera nella suggestiva cornice del Palazzo Pirola, dove si potranno ancora ammirare le opere in mostra. èValtellina http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=58&cmd=v&id=24784 Maria Lanciotti. “Caos caos caos” di Petra VoXo ‒ L’imbarazzo della penultima abbondanza|Tra scienza e fantascienza alla ricerca del futuribile smarrito “La domanda che si apre, a cui questi racconti non rispondono per lasciare aperta la traiettoria dei personaggi, è che cosa avverrà in futuro. Le proteste e i tentativi di resistenza, spesso ibridi e confusi, diventeranno nel tempo fughe, regressioni e rinunce o possibilità di crescita e riappropriazione?” Di nuovo in ‘viaggio’ con Petra VoXo, per una scorribanda tanto caotica quanto catartica. La scrittrice, nata negli anni Ottanta a Roma e da tempo residente a Londra, dopo il suo esordio nel 2020 con Fantascienza da bar, si ripropone con questa seconda raccolta di ‘storie’ che insieme ricompongono e rielaborano momenti e contesti della sua stessa generazione allora ventenne, considerata in un certo senso privilegiata ma in realtà estromessa dai moti vorticosi che introdussero al terzo Millennio ripercuotendosi pesantemente sui futuri sviluppi. Difficile acchiappare il bandolo della matassa. Anche perché non è nelle intenzioni (dichiarate) dell’Autrice agevolare il lettore. Che ognuno si adoperi alla sua maniera e secondo la sua visione per ‘rileggere’ un passato recente che sembra però remoto e forse rimosso. E seppure non si avranno risposte sicuramente scatteranno domande. Domande a posteriori, col senno di poi, che nulla cambia ma forse spiega. Siamo in terra straniera. Senza patria e senza ideali. Nessuno conosce se stesso meno di se stesso. Siamo in una botte di ferro, al riparo nella nostra cella. Fuori infuria l’assurdo quotidiano, il clamore che annichilisce il pensiero. Se ne percepisce il nefasto risucchio, ed è già un sentirsi presenti a se stessi. Per un dolore che attesti l’essere ancora vivi, partecipi e impotenti. “Vivere per adattarsi o vivere per esistere?” Tredici storie brevi ‒ da Falò a Spacciatori, peste e sradicamento ‒ e una lunga opportuna postfazione dell’Autrice per raccontare il disagio proprio dei giovani, esasperato, nel caso della generazione della sua epoca, dall’imbarazzo legato “al dover esistere rimanendo invisibili e senza voce”. (…) “Come se i giovani avessero vissuto la vergogna non provata da chi si trovava in posizioni di potere”. Rilevando così il malessere che attanaglia l’intera società, e le premesse e le promesse mancate che nel tempo l’hanno prodotto, minando progetti e speranze di quando ancora si era capaci di concepire una società equa e dignitosa e di lottare per realizzarla. Ma nulla è perduto finché vive il caos, mescolanza e tumulto e scintille vitali, ed è forse questo il messaggio di CAOS CAOS CAOS che la VoXo lancia come una sfida, cercando e promuovendo ‘illuminazioni’ laddove il buio più avanza. Con una incisiva avvertenza/quesito in finale che implica la diretta presa d’atto e corresponsabilità del lettore: “La domanda che si apre, a cui questi racconti non rispondono per lasciare aperta la traiettoria dei personaggi, è che cosa avverrà in futuro. Le proteste e i tentativi di resistenza, spesso ibridi e confusi, diventeranno nel tempo fughe, regressioni e rinunce o possibilità di crescita e riappropriazione?”. Maria Lanciotti Info: Il libro è acquistabile con Carta Cultura Giovani, Carta del Merito e/o Carta del Docente quando venduto e spedito da Amazon. http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=57&cmd=v&id=24783 Marisa Cecchetti. “Le ciclopi” di Manuela Piemonte Manuela Piemonte Le ciclopi Nutrimenti, 2023, pp. 128, € 17,00 Sporgere denuncia contro chi ha permesso questo scivolare verso la miseria a una generazione che ha perso ogni sicurezza, è il proposito di una delle protagoniste de Le Ciclopi, una denuncia non contro una persona, ma contro il Paese e le Istituzioni, perché “è tutto il paese che ha lasciato che intere generazioni venissero trattate così”: chi ha lavorato gomito a gomito con i lavoratori vittime di sfruttamento, non si è sognato di alzare un dito per loro, magari tutto dedito a “vantarsi di fare beneficenza contro la fame nel mondo”. I racconti di Manuela Piemonte sembrano capitoli di un unico romanzo, tessere di un mosaico triste che fotografa la precarietà del vivere, i lavori saltuari, i contratti che non si rinnovano, l’esigenza di accettare lavoro in nero per sopravvivere, la disumanizzazione dei rapporti interpersonali - perché ormai abituati a interfacciarsi solo col computer -, la tendenza a eliminare i rivali sul posto di lavoro, a farsi male a vicenda: “è che ci piace, ferirci a vicenda, stretti stretti gli aculei nei fianchi e quando vediamo il rosso uscire l’altro sanguinare siamo appagati”. L’amicizia sul posto di lavoro è diventata un bene introvabile “Amica di chi? Stanno sempre a parlarsi alle spalle, a me per principio questo fatto di diventare amici parlando male di qualcuno non mi va giù, non ce la faccio”. C’è chi non è presa in considerazione per lavorare a trentasei anni perché considerata troppo vecchia, c’è l’incubo del licenziamento sempre presente sul lavoro, come una spada di Damocle sul collo; un immediato senso di colpa se viene preferito un altro al posto tuo: “se io sono stato assunto e tu no, chiaro che tu hai qualcosa di strano, chiaro che tu lo meriti”. In situazioni del genere è impossibile pensare al matrimonio con l’eterno fidanzato, perché non ci sono i mezzi per mettere su famiglia, pochi i soldi disponibili che se ne vanno subito per l’affitto di modeste abitazioni, per il cibo cercato all’alba tra gli scarti dei mercati, i vestiti tra quelli usati. Può essere solo il caso o un colpo di fortuna a far uscire dalle difficoltà, ma la fortuna è femmina - ce lo ha detto Machiavelli - è cieca e non rimane addosso a lungo, è volatile, liquida come la società in cui viviamo. Ad altre generazioni è appartenuto il privilegio di un lavoro “in cui ti impegni e sei ripagata, in cui in agosto si prendono ferie e chiudono tutti i negozi, in cui i pensionati hanno cinquant’anni e gli impiegati venti”. Questa dunque è una denuncia contro l’omissione di soccorso “di chi ha governato per decenni, di chi vota e non ha mai protestato, di chi ha chiesto favori e se li è presi, e gli altri si arrangiano”; una denuncia contro vari Ministeri: del Lavoro, dell’Economia, delle Pari Opportunità, e della intera popolazione votante che non ha saputo fare le scelte giuste. Quella di Manuela Piemonte è una visione dura ma oggettiva della nostra società e delle condizioni dei giovani, con la difficoltà reale di poter fare progetti di vita, con le nevrosi che incalzano. Tuttavia - perché la speranza è l’ultima a morire - ci concede un respiro di sollievo finale, una apertura: “Hai qualcosa da dirmi? – Le domandò lui. – Ho vinto un concorso – disse lei – me l’hanno appena… insomma sono la prima della graduatoria, la prima. – Un concorso per cosa? – Un lavoro vero, un’assunzione, tempo indeterminato, per laureati in materie umanistiche”. Come ai vecchi tempi, quando in genere funzionava così. Marisa Cecchetti http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=57&cmd=v&id=24781 Giuseppina Rando. La pietas di Antigone La pietà per ogni essere vivente è la prima valida garanzia per il buon comportamento dell'uomo. Arthur Schopenhauer In uno dei suoi Racconti romani, intitolato L’incosciente, Alberto Moravia scriveva: Non c’è coraggio e non c’è paura. Ci sono soltanto coscienza e incoscienza. La coscienza è paura, l’incoscienza è coraggio. Non così per Dacia Maraini, che contesta le affermazioni acritiche del suo amico richiamando la figura di Antigone, donna coraggiosa e fiera, originale creatura di Sofocle, grande poeta tragico greco. È l’Antigone evocata in I giorni di Antigone1 ove la scrittrice ricorda fatti che, tristemente, continuano a balzare sulla cronaca dell’Italia e del mondo. Torna così attuale Antigone che, con la sua tragica fine, ripropone al lettore moderno una serie di richiami e di riflessioni morali, religiosi, politici. Passano i millenni… ma nulla di nuovo sembra ci sia sotto il sole: ... sei sempre quello della pietra e della fionda / uomo del mio tempo… (Salvatore Quasimodo). Il dramma sofocleo è da leggersi pertanto, anche ai nostri giorni, come scontro fra due opposte volontà e due diverse concezioni della vita e del mondo. Contro le leggi arroganti di un Signore della guerra, Antigone reagì senza violenza con il meraviglioso gesto di ricomporre e seppellire il corpo di un morto. Non c’è niente di ideologico nella pietà di Antigone. Eppure il Signore della guerra lo interpreta come qualcosa di tanto profondamente eversivo da mettere in dubbio la legittimità del sovrano. A volte è così: le azioni più semplici e umili minano le certezze su cui si basa l’autorità, la consuetudine di una legge cittadina. Sempre pronta a difendere i diritti del più debole, nella libertà di chi accetta le idee contrarie, Dacia Maraini continua a raccontare in mille modi ciò che vede intorno a sé. Sfilano, uno dopo l’altro in questo libro, i soprusi internazionali come lo sfruttamento dei bambini a Manila, il traffico delle schiave nel mercato internazionale della prostituzione, le prevaricazioni della fabbrica d’armi Lockheed a danno dei pacifisti americani, le scelte di Bush dopo l’11 settembre, la guerra in Iraq, il conflitto tra Israele e la Palestina, le stragi di Bosnia, la fame d’Africa, il dibattito sul nucleare, sulla pena di morte, sulla tortura; non mancano le questioni tutte italiane come quelle della sanità, della scuola, la scarsa tutela della natura, i problemi dell’immigrazione. La scrittrice si sofferma più volte sulla condizione delle donne e sui loro diritti troppo spesso negati; ci parla in particolare di Safiya, la giovane donna nigeriana che rischiò la pena di morte per aver subito e denunciato una violenza sessuale, e di Amina, che fu lapidata dai suoi stessi concittadini; ci fa sentire la voce accorata di una giovane africana che racconta: Le donne spesso sono costrette ad assistere alla morte violenta dei mariti, dei figli, e vengono stuprate di fronte ai parenti, e alla gente del villaggio… eppure non chiedono vendetta. Vogliamo la pace, contro qualsiasi logica di ritorsione… Siamo in piena anarchia, dove ognuno è contro tutti e vince sempre il più forte … tuttavia sono proprio le donne che permettono la sopravvivenza dei villaggi … sono loro che garantiscono l’approvvigionamento della legna per cucinare … sono loro che trasportano l’acqua dai fiumi ai villaggi, loro che coltivano il miglio, il mais, le banane… Un diario giornalistico che dello stile giornalistico ha poco perché ciò che la Maraini riferisce, narra oppure osserva, è dettato dalla pietas umana di Antigone, donna d’eccellente sensibilità. Purtroppo le parole – si legge nell’Introduzione – non hanno la perfezione e la forza assoluta di un gesto come quello di Antigone. Le parole sono sempre lì a cercare compromessi con la tradizione, con la prassi linguistica, con le idee. Le parole non sono mai totali e definitive come le azioni concrete e fisiche. Le parole appartengono a quella relatività carnosa e fragile che esprime la vita del pensiero. Io conosco solo le parole per dissentire e affermare ciò che mi ferisce e mi angustia nella vita del nostro Paese. Di fronte alla profanazione delle tombe la scrittrice – come chi ha rispetto per i morti, per tutti i morti – alza la sua voce ed evoca la giovane donna greca che, pur sapendo di rischiare la condanna a morte, si arma di badile e vanga per dare sepoltura al fratello morto, lasciato insepolto sulla via. Agli stupidi profanatori di tombe, che certamente credono di onorare una qualche perversa ideologia mettendosi contro le leggi della decenza e degli affetti, la scrittrice dice: State attenti perché finirete come Creonte, l’uomo che credeva di potere imporre l’animosità con un editto, ponendosi arrogantemente al di sopra dei piccoli e acri sentimenti della gente… state attenti perché l’odio ideologico vi si rivolterà contro… e finirete per rimanere soli e ciechi nella vostra ottusa volontà distruttiva. Altra incisiva evocazione dell’eroina della pietà avviene di fronte alle immagini che a Natale di qualche anno fa oscurarono per settimane tutte le altre, in TV e sui giornali: quelle orribili e spietate dei cadaveri scomposti, sfigurati e gonfi d’acqua di cui lo tsunami aveva disseminato spiagge, litorali, villaggi e campagne dell’Indonesia: Se Antigone fosse viva sarebbe lì fra quei corpi a coprirli uno a uno, per poi seppellirli fraternamente. Ma la spregiudicatezza mediatica tende a spogliarci dello spirito caritatevole… i morti non possono coprirsi, perciò dobbiamo farlo noi e sulle loro nudità non dovremmo soffermarci, anche se con lo sguardo inorridito. La pietà vuole che la palpebra cali pudica di fronte alla testimonianze dell’uomo ridotto ad oggetto in balia di una natura scatenata. Con una scrittura chiara, semplice, essenziale, asciutta, ma sempre venata da sentimenti di rispetto, la Maraini – fiduciosa in un cambiamento possibile – s’impegna, con questa raccolta, nel compito supremamente umano di fare memoria e di riflettere anche sui temi ecologici e sul dolore degli animali legato all’indifferenza degli uomini. L’evocazione di Antigone, quindi, al di là del mito che da due millenni attraversa la storia della civiltà occidentale, vuole essere non soltanto il richiamo al diritto privato – che sotto certi aspetti potrebbe essere superiore al diritto pubblico – ma anche l’affermazione di un altro diritto, quello di vivere secondo libertà di coscienza e di sentirsi, in quanto esseri umani, esseri naturali e viventi, parte integrante di un meraviglioso e pervasivo senso vitale. Sono questi, purtroppo, diritti umani ampiamente violati in tante parti del mondo. Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International recentemente ha dichiarato: La Dichiarazione universale dei diritti umani venne adottata 75 anni fa, sulle ceneri della Seconda guerra mondiale, per riconoscere universalmente diritti e libertà fondamentali a tutte le persone. Nel caos delle dinamiche dei poteri globali, i diritti umani non possono finire persi nella mischia. Devono guidare il mondo in una navigazione sempre più volatile e in un ambiente pericoloso. Non dobbiamo attendere che il mondo bruci un’altra volta. Una voce, come tante altre, inascoltata o soffocata dall’indifferenza. Giuseppina Rando 1 Dacia Maraini, I giorni di Antigone. Quaderno di cinque anni, Rizzoli, Milano, 2006. http://www.tellusfolio.it/index.php?lev=140&cmd=v&id=24780