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A. Torreguitart. Appunti per il romanzo "Hugo el libertador"
02 Settembre 2007
 

Potrei scrivere un nuovo romanzo, ma questa volta non lo farei erotico, mi sono un po’ stufato di parlare sempre di tette e culi, adesso ci s’è messo pure Senel Paz a scrivere romanzi erotici, teneri, comici, ma erotici, dopo Fragola e cioccolato lui è diventato una gloria nazionale, il primo cubano a parlare bene dei froci che poi li hanno messi anche in un film. Di froci ne ho parlato pure io, un po’ di tempo fa, ho scritto una roba intitolata Le confessioni di un omosessuale e me l’hanno pubblicata in Italia con un titolo strano, Machi di carta, devo ancora capire cosa vuol dire, ma contenti loro contenti tutti, diceva mio nonno quando sentiva Fidel Castro in televisione dire che le cose andavano bene e lui mica se ne rendeva conto. Insomma, dicevo che potrei scrivere un romanzo, ché il protagonista ce l’ho bell’è pronto, si chiama Hugo, in arte Meo Porcello, di mestiere fa l’aspirante dittatore di una specie di stato bolivariano, per ora dice un sacco di cose di sinistra, parla di riforma agraria, promette la terra ai contadini, nazionalizza, tutto per il radioso futuro della nazione che governa. Un protagonista così per un romanzo mica ce l’ho mai avuto, altro che jineteras e turisti italiani che scopano, questo è un mix geniale di coglioneria gratuita e populismo spicciolo, umorismo involontario e rivoluzione a tempo perso, questa è la volta buona che scrivo un romanzo coi controcazzi! Meo Porcello lo descrivo un po’ grassottello e con la faccia da scemo, tipo che quando ride sembra un maiale con il faccione rosa, gli metto una verruca in viso, lo faccio parlare per un po’ d’ore di rivoluzione bolivariana, lo addestro come fomentatore di masse e nuovo vessillo per una sinistra povera di sogni. Lo voglio duro e puro, come Fidel prima maniera, lo mando al capezzale del malato a rinforzare una rivoluzione morente, ché tanto per il futuro ci penserà lui, il vecchio comandante può morire tranquillo. Meo Porcello, sarà un personaggio di rottura con la vecchia forma del romanzo, lo voglio realistico ma surreale, tipo Bianconiglio nel Paese delle Meraviglie. Basta con tutte quelle pippe tipo la letteratura nasce dalla polvere della strada, la narrativa deve scavare nelle ferite della storia, lo scrittore deve scrivere con il sangue. Eccheccazzo! Mica sono il conte Dracula. Mica sono Cabrera Infante. Sono soltanto Alejandro Torreguitart e non resterò nella storia della letteratura cubana, questo è certo. E allora lasciatemi divertire.

Il mio personaggio cambierà il tempo della repubblica bolivariana, tanto per far capire che può fare proprio tutto, soprattutto il bello e il cattivo tempo, una sorta di profeta in terra del martire Bolívar, per il momento lo modifica, poi vediamo cosa succede. Una mezz’ora avanti alle lancette dell’orologio e via tutti i bolivariani a lavoro allegri e contenti, ché nelle repubbliche tropicali si lavora poco, fa troppo caldo. Ma non basta, il mio personaggio realsurrele deve inaugurare una nuova stagione del romanzo sudamericano, basta con il realismo magico ché Carpentier c’avrebbe scassato le palle, è tempo di inaugurare una nuova corrente: l’irrealismo immaginifico, stile l’immaginazione al potere, governare con fantasia e sparare cazzate a più non posso, così il popolo si diverte e non pensa.

Meo Porcello lo voglio sempre pronto a dirne una nuova, come Fidel quando era nei suoi cenci, come ai tempi delle super vacche che producevano più latte e delle mega raccolte di canna che da quanta ne tagliavi ci potevi dolcificare il Terzo Mondo.

Magari un giorno si sveglia e cambia nome a Caracas, ci pensa un pochino e poi dice: “Cazzo, Caracas è Caracas, qui c’è nato Bolívar, mica Elpidio Valdés! Bisogna fare qualcosa ché una capitale che si chiama Caracas mica mi piace. Cosa cazzo vuol dire Caracas? Ogni volta che ci penso mi vengono a mente le brasiliane, ché a me quei culi sodi delle brasiliane me lo fanno venire duro, mica queste mostriciattole di bolivariane… E poi basta pensare che mi fa male, come dice Fidel quando mi spiega come si fanno le rivoluzioni. Sono un bolivarista e devo agire. Caracas è un nome del cazzo e io lo cambio. Ecco, da domani la chiameremo Culla di Bolivar (ché lo avranno messo in una culla da piccino pure se era un libertador, no?) e Regina del Mare fatto Terra. Sì, questo è proprio un bel nome, mi ricorda la storiella che raccontava la balia quando mi addormentava, quella della tribù che offende la Dea del Mare, lei s’incazza, ma alla fine le preghiere salvano il villaggio e l’onda diventa una montagna e protegge la città”.

Meo Porcello el libertador, lo voglio intitolare questo romanzo. Sì, mi piace proprio come idea, oppure Meo Porcello nel paese bolivarista, tanto per far capire il lato comico e immaginifico, una cosa che ricordi la storia di Alice e Bianconiglio. Molte avventure mirabili attendono il mio personaggio, sogni epocali di cambiare la costituzione e renderla bolivarista, magari diventandone presidente dai mandati infiniti, aumentare le ore lavorative a un popolo fiero, annientare l’opposizione anti-patria (tutta gente così poco bolivarista) creando una banana republic socialista, dove socialismo significa regno di Meo Porcello, presidente che lavora per il popolo. Il mio protagonista non pone limiti alla fantasia, prende la bandiera dello stato bolivariano e la modifica, ci aggiunge una stella, ché sette gli sembravano poche, meglio abbondare. Lo stemma nazionale non gli piace, ché non si è mai visto un cavallo socialista guardare a destra. “Girategli la testa a quel cazzo di cavallo, che diamine! Siamo qui per fare la rivoluzione, mica possiamo dar retta a un cavallo sovversivo…”, grida. Hugo potrebbe nominare senatore il suo cavallo, ma non sarebbe un’idea originale, l’ha già avuta Caligola un po’ di tempo fa. Il mio personaggio deve fare solo cose nuove, altrimenti chi legge dice che copio e mica va bene. Che personaggio ho trovato, ragazzi! Non ho mai avuto materiale così abbondante da elaborare, neppure quando il Granma esce in edizione speciale e parla di imperialisti, rivoluzione solida e forte, eroi prigionieri dell’impero, un mondo migliore è possibile, non si deve vivere per avere e palle simili. Hugo è un comico naturale, un talento puro, uno che Cantinflas non gli allaccerebbe nemmeno i calzari. A me basta leggere quello che dice e rielaborare. Non è mai stata così facile la vita di uno scrittore. Da oggi niente sesso, siamo avaneri. Da oggi faccio satira. Eccheccazzo! Dimenticavo, voglio cambiare nome al posto dove vivo. Da domani non mi cercate a Luayanó, ché questo quartiere va ribattezzato, così non rende bene l’idea, che cazzo vorrà mai dire Luyanó, sembra un nome reazionario, si chiamava così pure ai tempi di Batista. Da domani vivo nella Culla di Torreguitart e Regina del Mare fatto Miseria Profonda e Disperazione, altro che rivoluzione bolivarista…

 

Alejandro Torreguitart, 29 agosto 2007

(traduzione di Gordiano Lupi)


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