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Segnali irregolari, arte al Centro Diurno del Dipartimento Salute Mentale di Belluno.
opera in mostra
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26 Febbraio 2006
 
 
Con gli interventi del critico d’arte Antonella Alban, dell’Assessore alla Cultura Marco Perale e del dottor Bruno Forti, direttore dell’Unità Operativa di Psichiatria della ULSS n. 1, è stata inaugurata giovedì 23 febbraio nella Sala Cappella del Palazzo Crepadona di Belluno la mostra “SEGNALI IRREGOLARI”, esperienza artistica degli utenti del Centro Diurno del Dipartimento Salute Mentale di Belluno con Alfonso Lentini.
La mostra è il punto d’arrivo di un laboratorio che l’artista Alfonso Lentini ha effettuato dal marzo al giugno del 2005 nell’ambito delle attività terapeutico-riabilitative svolte dagli utenti del Centro Diurno di Belluno con le educatrici Rita Polloni e Katia Trento.
Ispirate alle esperienze verbo-visuali, alle “poesie oggettuali” e agli assemblaggi che Lentini propone nelle sue esposizioni, le opere di questa mostra si dividono in diversi percorsi: le “valigie”, le “gabbie”, i “messaggi in bottiglia” e i “nomi”.
Scrive Lentini nel suo intervento in catalogo: «Non è importante chiedersi cosa possa "voler dire" tutto questo. Sono piccoli morsi di un racconto che stenta ad emergere, strappi, graffi. Forse alcuni oggetti susciteranno possibili interpretazioni metaforiche. Ma guai a chiudere il cerchio del "cosa significa". Appena crediamo di individuare un significato definito, ne escludiamo mille altri e dimentichiamo che l'arte, come la follia, agisce sulla disarticolazione e sulla moltiplicazione dei sensi».
E così prosegue il critico d’arte Antonella Alban: «La manipolazione degli oggetti, decontestualizzati dalla realtà quotidiana, apre nuovi scenari dal forte potere evocativo. Possiamo trovare schegge aguzze e frammenti a sottolineare il dolore, bozzoli e farfalle ad evidenziare la fragilità dell’individuo, spazi vuoti o liquidi a ricordare la memoria dell’abisso, segni o colori ad enucleare l’effimero. Sono atti che vogliono trasgredire la realtà, poiché derivano da una situazione di alienazione e di disagio che è alla ricerca di certezze o forse soltanto di una qualche forma di comprensione».
Si legge inoltre nell’intervento firmato dal dottor Bruno Forti e dalle educatrici: «È importante che vi siano occasioni di cura ma anche di normalità, che la riabilitazione vada al di là di un mandato troppo restrittivo, aiutando i pazienti a riscoprirsi persone assieme ad altre persone, non solo all'interno di un circuito assistenziale. Noi operatori della salute mentale, presi come siamo fra alleviare sintomi e sofferenza e restituire abilità, quando vediamo questi oggetti artistici belli e toccanti scopriamo un volto nuovo delle persone che pensavamo di conoscere, alle volte attraverso lunghi anni di frequentazione. Un percorso artistico oltre a stimolare la creatività, ha la prerogativa di consentire ad una persona ammalata di esprimere tutta se stessa, di mettere in gioco le proprie contraddizioni senza bisogno di “fare” il malato o di far finta di essere sano. Emergono allora paura, disillusione, noia, bisogno di chiudersi in se stessi ma anche speranza, voglia di vivere e di aprirsi al mondo ritrovandosi».
La mostra – promossa dalla ULSS n. 1 di Belluno e patrocinata dal Comune – rimarrà aperta presso la Sala Cappella del Palazzo Crepadona dal 23 febbraio al 4 marzo 2006 tutti i giorni (mattina: ore 10:00–12:00, pomeriggio ore 16:00–18:00), grazie alla collaborazione del Gruppo ANA Castionese.
 
 
 

Testi pubblicati nel catalogo

 
Intervento di
Bruno Forti
Katia Trento
Rita Polloni
 
Questa mostra costituisce il punto di arrivo di un laboratorio artistico che si è svolto lo scorso anno presso il nostro Dipartimento di Salute Mentale e che ha visto coinvolti gli utenti del Centro Diurno di Belluno con l'artista Alfonso Lentini. Rappresenta anche un momento di confronto con l'esterno, con la collettività, che il Comune di Belluno ha reso possibile grazie alla disponibilità di questa Sala. E' importante che vi siano occasioni di cura ma anche di normalità, che la riabilitazione vada al di là di un mandato troppo restrittivo, aiutando i pazienti a riscoprirsi persone assieme ad altre persone, non solo all'interno di un circuito assistenziale.
Noi operatori della salute mentale, presi come siamo fra alleviare sintomi e sofferenza e restituire abilità, quando vediamo questi oggetti artistici belli e toccanti scopriamo un volto nuovo delle persone che pensavamo di conoscere, alle volte attraverso lunghi anni di frequentazione.
Un percorso artistico oltre a stimolare la creatività, ha la prerogativa di consentire ad una persona ammalata di esprimere tutta se stessa, di mettere in gioco le proprie contraddizioni senza bisogno di “fare” il malato o di far finta di essere sano. Emergono allora paura, disillusione, noia, bisogno di chiudersi in se stessi ma anche speranza, voglia di vivere e di aprirsi al mondo ritrovandosi.
Le iniziative che utilizzano tecniche artistiche e manuali, lavorando principalmente sui sensi della vista e del tatto permettono di sperimentare diversi modi di vedere, di toccare e dunque diversi punti di vista: occhi e mani vengono usati per incontrare qualcosa all'interno di un processo di creazione dove ogni specifica fase costituisce un momento di grande rilevanza, più importante dello stesso prodotto finale. In questo modo i materiali e le tecniche usate diventano degli interlocutori che pian piano guadagnano uno spazio nella sensibilità di chi li utilizza.
L'uso sapiente di oggetti concreti, quotidiani ma anche carichi di forti valenze emotive e simboliche ha costituito una sfida e allo stesso tempo ha aiutato ad esprimere unitariamente le tante sfaccettature di cui ogni partecipante è portatore.
Sicuramente il lavoro effettuato non ha fornito l'alibi di produrre a tutti i costi qualcosa di “bello”, gradevole e rassicurante, pensiamo solamente al richiamo delle gabbie reali alle gabbie metaforiche della malattia, dell'istituzione e dell'esclusione normativa.
Questa mostra può forse contribuire a superare le paure reciproche, aiutandoci a scoprire la profonda umanità che le persone attraverso questi oggetti comunicano, condividendola con gli altri.
 
 

Comunicare o comprendere?

intervento di Antonella Alban

 
Comunicare è un verbo che nel dizionario, tra i suoi significati principali, presenta “far partecipi di qualche cosa, trasmettere”; in questo verbo troviamo il vero valore dell’esperienza artistica realizzata da Alfonso Lentini assieme agli utenti del Centro Diurno dell’Ulss 1 di Belluno. Un’esperienza similare Lentini l’aveva già svolta alcuni anni fa a Feltre, sempre con gli utenti del centro diurno, da cui era nata una mostra sul tema del viaggio entro o fuori da sé.
La proposta di quest’anno è sicuramente forte, travolgente dal punto di vista emotivo, poiché veicola, attraverso la libertà e la spontaneità espressive, ciò che normalmente non trova voce e rimane senza parole. Considerata in questa luce, “Segnali irregolari” ha una valenza comunicativa esponenziale, in quanto manifesta brandelli di pensieri, emozioni, umori, desideri, sogni. L’arte ha avuto, da sempre, un ruolo privilegiato dal punto di vista terapeutico, in particolare l’arte contemporanea che permette, attraverso la sperimentazione e la frantumazione del linguaggio, di essere uno strumento favorevole alla conoscenza della realtà esteriore ed interiore. I lavori proposti sono comunque privi di quel senso di assolutezza che spesso caratterizza le opere d’arte, perché l’esperienza degli utenti è assolutamente svincolata da pre-concetti o formalismi, essa ha la valenza di un gesto radicale, libero che vuole dare vita ad una situazione di pluralità di componenti (emotive, identificative, interpretative). Così l’esperienza si carica di significati per chi vuole darsi il tempo di riflettere su valigie, gabbie, bottiglie, contenitori simbolici che accolgono, ossia metafore di esistenza. La manipolazione degli oggetti, decontestualizzati dalla realtà quotidiana, apre nuovi scenari dal forte potere evocativo. Possiamo trovare schegge aguzze e frammenti a sottolineare il dolore, bozzoli e farfalle ad evidenziare la fragilità dell’individuo, spazi vuoti o liquidi a ricordare la memoria dell’abisso, segni o colori ad enucleare l’effimero. Sono atti che vogliono trasgredire la realtà, poiché derivano da una situazione di alienazione e di disagio che è alla ricerca di certezze (?) o forse soltanto di una qualche forma di comprensione.
 
 
Dalla disarmonia del mondo e delle menti
intervento di Alfonso Lentini
 
Ecco qualche zannata di arte brutta, brutale, selvaggia; arte che nasce dalla disarmonia del mondo e delle menti.
Valigie come zattere alla deriva, solchi di irregolarità, urla silenziose.
La valigia richiama il movimento, il viaggio, l'avventura, ma è anche lo spazio dentro cui riponiamo ciò che vorremmo portare con noi e che in un certo senso ci caratterizza. Rappresenta un contenitore ideale, una piccola "camera delle meraviglie" dove conserviamo i nostri sogni, i desideri, le memorie, le nostre aspirazioni più profonde. Si pone dunque come un punto di convergenza del movimento e dell'identità o meglio ancora della "identità in movimento".
Ed ecco valigie che desiderano il volo e diventano capaci di imprigionare un cielo stellato. Valigie che nel loro concavo candore accolgono un "buio" mentale e astratto, effigiato con rozza evidenza attraverso vecchi caratteri tipografici. Valigie attraversate da schegge taglienti di vetro a somiglianza di contenitori che faticosamente e pietosamente vorrebbero mantenere uniti i mille frammenti dell'esistenza, i centomila frantumi che chiamiamo individualità. Valigie cariche di sillabe "vuote", alla ricerca di un senso sempre meno raggiungibile. Valigie desideranti dentro le quali si annidano "crisalidi", forme embrionali che alludono alla seduzione della metamorfosi, al presentimento di un futuro diverso. Valigie che liberano dal loro grembo un lievissimo volo di farfalle.
Ecco le gabbie. Gabbie del dolore o della gioia: prigione, isolamento, luogo della separazione forzata, ma anche rifugio, protezione dal male che può abbattersi su di noi da un esterno sconosciuto e minaccioso. Gabbie parlanti, luogo di raccolta di una lingua indecifrabile che preme per venire alla luce.
Ed ecco i messaggi in bottiglia: oggetti di parole, parole immerse nell'acqua, ombre di liquida scrittura che moltiplicano il grido e aprono la porta alla pluralità dei significati.
Ed ecco infine i nomi: tracce di colore su grandi fogli, a segnare un contorno conclusivo o forse un punto di partenza verso la definizione (o la ri-definizione) di un'identità.
Non è importante chiedersi cosa possa "voler dire" tutto questo.
Sono piccoli morsi di un racconto che stenta ad emergere, strappi, graffi. Forse alcuni oggetti susciteranno possibili interpretazioni metaforiche. Ma guai a chiudere il cerchio del "cosa significa". Appena crediamo di individuare un significato definito, ne escludiamo mille altri e dimentichiamo che l'arte, come la follia, agisce sulla disarticolazione e sulla moltiplicazione dei sensi.
Noi, da parte nostra, abbiamo lavorato (e giocato) con energia e libertà, ma senza "pensare" troppo. Abbiamo fatto in modo che fossero le cose a parlare per noi e con noi. Abbiamo voluto dare fiato al disordine, inseguirlo, braccarlo, perché forse è questa la strada migliore per non essere completamente annullati dalla forza disgregante della "follia", e nello stesso tempo per non essere del tutto snaturati - compressi a una dimensione - nel gorgo omologante e rassicurante, ma forse anche disumanizzante, della cosiddetta "normalità".
Abbiamo provato a fare questo servendoci dei mezzi dell'arte: inquadrare il disordine, dargli "forma quadrata", tentare di attraversarlo e poi recintarlo, per potere in qualche modo guardarlo in faccia, riconoscerlo… Raccontarlo.
Così, rinunciando a dati anagrafici, cronologie o altri riferimenti concreti, accettando la sfida del caos, abbiamo ugualmente costruito racconti di vite vere.
 
 
ALFONSO LENTINI, di origine siciliana, vive a Belluno dove insegna, occupandosi nel contempo di scrittura e arti visive.
Il suo interesse per tutto ciò che appare "irregolare" lo ha condotto a confrontarsi in più occasioni con il rapporto fra arte e disordine mentale.
Nel 2001, con alcuni utenti del Dipartimento Salute Mentale di Feltre, ha realizzato un laboratorio artistico che ha prodotto la mostra "Irregolar-mente" allestita nei Palazzetti Cingolani di quella città.
In un suo libro (La chiave dell’incanto, ed. Pungitopo, Messina 1997) ha raccontato la storia appassionante e dolorosa di Filippo Bentivegna, contadino siciliano affetto da turbe psichiche e valorizzato come artista dopo la morte da Jean Dubuffet nell'ambito dell'Art Brut.
Ma già negli anni Ottanta sue mostre personali (tenute a Venezia e a Belluno) erano ispirate ai versi di Dino Campana, poeta "irregolare" morto nel manicomio di Castel Pulci nel 1932.
Come artista, nelle sue mostre e installazioni propone opere basate sulla valorizzazione della parola nella sua dimensione materiale e gestuale.
Mostre personali, collettive e opere in permanenza presso varie strutture pubbliche e private fra cui: Galleria Fenice, Venezia (personale) - Centro Verifica 8+1, Venezia-Mestre (personale) - Centro Il Gabbiano, La Spezia - Biblioteca Nazionale Centrale, Roma - Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia - Milan Art Center, Milano - Archivio Libri d'Artista Laboratorio 66, Milano - Avida Dollars, Milano - Galleria Qal'at, Caltanissetta (personale) - Arte in Transito, Roma (personale) – Palazzo Crepadona, Belluno, (personale)- Museum di Ezio Pagano, Bagheria - Centro Le Venezie, Treviso - Istituto per le Materie e le Forme Inconsapevoli, Museattivo Claudio Costa, Genova Quarto- Wunderkammern, Roma-Spello (personale) - Lapidario romano (Festival Filo d'Arianna), Belluno (personale) - Portici inattuali, Sitran d'Alpago - Draw_drawing, Gallery 32 (London Biennale), Londra - Casa Museo Pessoa, Lisbona, Portogallo - Museum Art + Start, Middelburg, Olanda - Kaupunginkirjaston galleria, Viitasaari, Finlandia - King St. Stephen Museum e City Gallery, Deàk-Collection, Szekefsfehervar, Ungheria..
Una sua poesia "oggettualizzata" è stata esposta insieme ad altre alla 49a Biennale di Venezia nell'ambito di un progetto curato dall'artista Marco Nereo Rotelli.
Fra i suoi libri: Piccolo inventario degli specchi (2003) e Un bellunese di Patagonia (2005) pubblicati con le Edizioni Stampa Alternativa di Viterbo.
 

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Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - ISSN 1124-1276 - R.O.C. N. 32755 LABOS Editrice
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