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Gino Songini. Il rischio nucleare 
Brevi note su di una scelta che può assumere dimensioni non quantificabili nei suoi effetti spazio-temporali
11 Ottobre 2009
 

Sono trascorsi ventitré anni da quel tragico 26 aprile 1986, quando avvenne il disastro di Chernobyl. L'esplosione di un reattore della centrale termonucleare “Lenin” provocò un gran numero di morti e determinò gravissime conseguenze per la salute di decine di migliaia di persone (soprattutto bambini). Una vasta zona nei dintorni di Kiev dovette essere abbandonata e 130.000 persone dovettero lasciare per sempre le loro case. Enormi problemi di bonifica ambientale si presentarono ai tecnici giunti in Ucraina da ogni parte del mondo, problemi che ancora oggi sono ben lungi dall'essere risolti.

L'evento determinò una vivissima reazione emotiva a livello europeo e mondiale, parecchi scienziati si indussero a rivedere le loro posizioni, molti paesi del Vecchio Continente abbandonarono la strada dell'atomo. Nel referendum del 1987 gli italiani si espressero in larghissima maggioranza (80%) contro il nucleare. Le tre centrali atomiche allora in funzione (Latina, Garigliano e Caorso) furono chiuse e i lavori per quella in costruzione a Montalto di Castro furono bloccati. Il pensiero che si potesse ripetere un disastro come quello avvenuto in Ucraina faceva giustamente paura a popoli e governi. A ventitré anni di distanza pare che gran parte di quelle (sacrosante) paure siano dimenticate. Nella pressoché generale indifferenza il Senato ha approvato la legge che consentirà all'Enel la costruzione di 6-8 centrali nucleari che entreranno in funzione a partire dal 2018.

Chi scrive, affrontando questo argomento, si è innanzitutto posto la solita ovvia domanda: è bene per chi non è esperto di certe questioni trattare delle medesime ed esprimere pareri? La domanda nasce evidentemente dal fatto che il sottoscritto non si è mai particolarmente occupato di problemi energetici e tanto meno di atomo e di energia nucleare. Ma la risposta, almeno per me, è scontata: anche il più inesperto dei cittadini ha diritto di dire e di esprimersi su tutto ciò che gli pare, tanto più su di un tema che riguarda la vita di ciascuno di noi e quella delle generazioni che verranno. Diversamente dovremmo sempre tacere e lasciare dire e fare ai soliti “esperti” o presunti tali. Del resto già sant'Agostino, milleseicento anni or sono, ebbe a scrivere che, a volte, «gli ignoranti ammaestrano i sapienti». E allora sia permesso anche al sottoscritto di dire la sua su di una così grave questione.

Viene prima di tutto da chiedersi: ma è poi così vero che abbiamo bisogno di una ulteriore quantità di energia elettrica per le nostre case, per le nostre fabbriche e per le nostre strutture civili? I dati ultimamente diffusi dalle competenti agenzie ci parlano di un netto calo della domanda energetica, anche a causa della crisi economica che stiamo vivendo. Chiediamoci ad esempio: abbiamo proprio bisogno di altri condizionatori d'aria per difenderci dal caldo dell'estate? O ancora: quanto potremmo risparmiare isolando un po' meglio le nostre case? È giusto che al dilagante inquinamento luminoso si aggiungano per mesi luminarie natalizie assolutamente eccessive? È vero o non è vero che soltanto con un poco più di attenzione agli sprechi energetici (non è necessario ricordarli, ne abbiamo davanti agli occhi mille esempi) potremmo risparmiare il 20% dei consumi elettrici del nostro paese? È vero o non è vero che il nucleare, una volta entrate in funzione le centrali progettate, potrà fornirci non più del 25% del fabbisogno di energia elettrica? Forse sarebbe il caso di valutare se, per questa modestissima differenza, convenga imbarcarci nuovamente in un'avventura che, oltre alla sempre incombente nube atomica, ci porterà a produrre scorie che resteranno attive e spaventosamente pericolose per migliaia di anni. È stato calcolato, purtroppo con una certa esattezza, che le barre usate nelle centrali nucleari dovrebbero rimanere sepolte dentro profondissime e apposite falde per 100mila anni prima di diventare innocue. Di fronte a una tale prospettiva io non intendo discutere di troppe cose, né di programmi energetici a breve o a lunga scadenza, né di fantomatici sistemi di sicurezza (sempre di là da venire), né dell'esistenza di centrali nucleari sul territorio della Francia e della Svizzera. Io dico no, ancora no, soltanto no, e basta. Ritengo immorale che oltre a pregiudicare la qualità della nostra vita (un'altra Chernobyl è, Dio non voglia, sempre possibile) noi possiamo mettere una tremenda ipoteca, per migliaia di anni, sulla vita delle generazioni future. Di fronte a queste considerazioni non intendo farmi condizionare da programmi di governo più o meno improvvisati, né dalle scelte energetiche della Francia e della Svizzera. Saranno Francesi e Svizzeri semmai a farsi carico della situazione che hanno determinato.

Dopo il disastro di Chernobyl Mario Pirani, editorialista di Repubblica, pubblicò un famoso articolo dal titolo kantiano “La nube sopra di noi, il dubbio dentro di noi”. Pirani, che fino ad allora era stato sostenitore convinto del nucleare, si pose drammatici interrogativi dopo la catastrofe avvenuta nell'allora Unione Sovietica. Personalmente non sono mai stato per il nucleare, né prima di Chernobyl né dopo. Non ho vissuto pertanto la “conversione” di Pirani o di altri. In questo campo non ho mai avuto esitazioni. Ho invece sempre coltivato un sogno, quello cioè di vedere la comunità scientifica internazionale unire le sue forze per giungere a sfruttare pienamente le fonti di energia naturali delle quali abbondano il cielo e la terra: il sole, il vento, il mare, ecc. Ma... chi vivrà vedrà.

Intanto mi basterebbe che la gente si svegliasse e prendesse posizione su di una questione troppo importante per lasciare che si esaurisca in uno stanco e semiclandestino dibattito parlamentare. Perché, lo ripeto, non si tratta soltanto della nostra vita, ma anche di quella dei nostri figli e dei figli dei nostri figli.


Gino Songini

(da 'l Gazetin, agosto 2009)


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