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Maria G. Di Rienzo. Una storia banale
25 Settembre 2009
 

La signora G. non mi è particolarmente simpatica. A parte alcuni tratti superficiali (quelle cose banali su cui tutte e tutti ci diciamo d'accordo, tipo che le stagioni non ci sono più e che c'è troppa maleducazione in giro) la signora G. ed io siamo distanti anni luce per interessi e speranze. Sarebbe sorpresa di sapere che sto scrivendo di lei, ed ancor più sorpresa, forse, di sapere quante donne condividono la sua stessa esperienza. Credo che la signora G. si senta molto sola oggi. Ma la sua storia è persino più comune, in quest'Italia malata e stordita, delle asserzioni sulle stagioni scomparse.

La signora G. sposa in chiesa il classico “buon partito”, va a vivere in una casa circondata dai di lui parenti che entrano ed escono dai suoi spazi quando vogliono, rinuncia alle proprie ambizioni lavorative perché le hanno detto che per essere una brava moglie e poi una brava madre bisogna dedicarsi interamente alla famiglia, ha un figlio, e le sembra di star andando così bene nella propria casalinga missione che alla richiesta di averne un secondo acconsente felice.

Già dal periodo precedente la sua gravidanza il “buon partito” colleziona strane assenze da casa giustificate con le storie più incredibili del mondo: ci crede solo la signora G., giacché come recita il proverbio “la moglie è l'ultima a sapere”.

Messa al mondo la seconda creatura, qualche pettegolezzo comincia ad arrivare di striscio alle orecchie della donna, e poi c'è la scenata della suocera che toglie ogni dubbio: Non potrebbe, la signora G., farsi trovare un po' più sexy quando il marito ritorna? No? Ma allora lo vuol proprio perdere, quella perla di uomo.

Il marito, infine, dice la verità alla signora G.: da un pezzo ha un'altra compagna, di 15 anni più giovane di lei (e di lui), le ha comprato un appartamento ed è con lei che vuol vivere. Con dignità, per quanto stia soffrendo terribilmente, la signora G. accetta la situazione. Ma dopo un paio di mesi lui ritorna. Ha cambiato idea, ama la signora G. e i suoi figli, non può vivere distante da loro. La signora G. manda giù amaro e acconsente, può perdonarlo se questo è vero: ma la verità è che l'amante del marito ha momentaneamente lasciato la città, e al suo ritorno dopo nemmeno un mese l'uomo cambia di nuovo idea. Adesso non può vivere distante dall'altra. Ma, aggiunge, prova per la signora G. un po' di affetto, e persino un certo grado di attrazione sessuale grazie alla quale può, se lei vuole, tornare a casa ogni tanto per fare sesso con lei. Divorzio? La signora G. è forse impazzita? Perché vuole dare scandalo, meglio stare tranquilli così, e poi lui dovrebbe pagare gli alimenti per la lei e i figli, e visto che ha appena lasciato l'impiego questo sarebbe un problema, no?

Oggi la signora G. sta crescendo i figli da sé e senza un soldo (rientrare nel mercato del lavoro non è così facile), con il marito che appare a proprio piacimento nella casa che ha abbandonato al solo scopo di controllare se la merce-moglie ancora gli appartiene.

È solo la centounesima storia del genere che sento o vedo. Meno male che il patriarcato è morto: forse il nostro problema è che i patriarchi sono ancora tutti vivi. Ma poiché non schiatteranno certo domani e, mi auguro, hanno ancora anni di vita e di esperienze davanti a loro, sarebbe interessante se riuscissero a capire una cosa piccolissima, non pretendo che cambino (meglio non sognare troppo), solo che comprendano quest'idea minuscola: le loro mogli sono esseri umani degni di rispetto. Anche se un amore finisce, il diritto/dovere del rispetto resta. Anche se un amore finisce, umiliare la persona che non ami più non è un'opzione accettabile. Anche se un amore finisce, la responsabilità che vi siete presi nel mettere al mondo dei bimbi resta. Un po' meno d'amore, consigliava Kurt Vonnegut, e un po' più di civiltà. Non è difficile, vero, signori italiani?


Maria G. Di Rienzo

(da Notizie minime della nonviolenza in cammino, 25 settembre 2009)


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