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Mario Ciancarella. Errori di prospettiva (Prima parte)
17 Aprile 2008
 

Vi siete mai trovati in una stanza in cui persone discutono, dibattono o solo chiacchierano del più e del meno? Poi di colpo la luce si spegne, per una mancanza di tensione o perché qualcuno distratto ed involontariamente si appoggia all'interruttore e spenge la luce. Cosa accade? Normalmente c'è un ohh! Di delusione e finché qualcuno non si accorge della natura dell'inconveniente, riaccendendo la luce, ovvero fin quando non torna la tensione, anche i timidi tentativi di continuare a parlare al buio risultano balbettanti, e alla fine falliscono. Si parlava certamente di tutto in quella stanza meno che della luce e della sua importanza. Eppure è bastato spegnerla perché tutti si chetassero, e cominciassero ad interrogarsi sul perché fosse andata via, riconoscendole di fatto il grande servizio che stava facendo con assoluta discrezione: illuminare e dare visibilità alle cose e consentire un dibattito guardandosi negli occhi, senza pretendere che i convenuti si attardassero ad ammirarla estasiati in quanto luce.

Solo i ladri, coloro cioè che hanno bisogno delle tenebre per fare il loro mestiere - aggredendo e scassinando la casa per depredarne i valori - attendono e gioiscono quando avvengono interruzioni di erogazione della luce. E prima ancora di assaltare la casa, spesso brindano al buio che si è determinato.

Volete che, dopo aver brindato a champagne e mortadella solo per la caduta del Governo Prodi accusato di essere “amico degli eredi del comunismo” (ma quando mai poi il Governo Prodi è stato tale?), in molti non abbiano brindato e sghignazzato sulla perdita di rappresentanza istituzionale della sinistra antagonista, alla improvvisa “assenza di luce” che dovrebbe consentire loro di compiere liberamente le loro malefatte? Noi costoro dovremmo solo sorprenderli, andando a caccia della “ragione della interruzione” per riattivare improvvisamente - e quando meno loro se lo aspettino - la erogazione di luce che li colga sul fatto e ne disveli le intenzioni criminose e le azioni conseguenti.

Ed invece già corriamo il rischio di perdere il senso stesso della nostra vocazione a cercare insieme, per cadere nella affabulazione del “rompere le righe” e defilarsi, nei classici “tutti a casa” o “ciascun per sé Dio per tutti” poco nobili e che rivelano la paura di “contaminarsi” con gli altri colori. Forse per l'assurda pretesa di non essere chiamati in corresponsabilità nella assenza di luce. Ma sarebbe un drammatico ERRORE DI PROSPETTIVA. E peggio: potrebbe essere una irresponsabile complicità con le aspettative dei ladroni.

Avevo temuto che, alla chiusura delle elezioni (e quale ne fosse stato il risultato), piuttosto che chiedersi come collaborare assieme nell'arcobaleno – per restituire quel variegato e variopinto arcobaleno, che ciascuno costituiva con la propria identità, all'unita' del fascio di luce – potessimo rischiare di andare ciascuno a caccia della affermazione della propria tonalità di colore. Credo sia il momento più difficile e delicato di una battaglia politica e di civiltà certamente difficile ma non impossibile, e che le defezioni di alcuni compagni potrebbe rendere invece sicuramente impraticabile, o quantomeno destinata alla disfatta.

Non dobbiamo consentire a noi stessi di cadere, solo a causa di una sconfitta che potrebbe invece essere salutare, nella tentazione di assecondare ulteriormente il pensiero nichilista di una destra che pretende di essere vincente ed egemone nella società per vendicare la amara sconfitta che nel 45 decretò la fine (momentanea, sembra, purtroppo) delle sue ispirazioni xenofobe e delle sue ambizioni di dominio egemone autoritario e violento sul popolo.

Non dobbiamo cadere nella trappola di rinnovare, a sinistra, i medesimi criteri e le medesime modalità, suggerite dalla rabbia per la sconfitta odierna, di comportamento come esito di un pensiero deviato e deviante. Ricordo a quanti non abbiano memoria o possibilità di aver conosciuto il pensiero di Togliatti, una delle sue frasi più forti e significative: «Non vincere per convincere, ma convincere per vincere».

Ed è quello che forse abbiamo dimenticato negli ultimi anni e disimparato a fare, per questo vezzo di voler evitare ogni contaminazione e rimanere sempre più soli nelle torri di cristallo che ci eravamo costruiti. Guardiamo insieme.

 

La destra fascista ha sempre preteso di voler e poter fare a meno della sinistra, poiché valuta che il corpo sociale debba essere solo una espressione univoca ed a a lei consimile.

La sinistra, addestrata ai valori democratici dalla pratica della Resistenza, avrebbe invece dovuto avere consapevolezza di doversi misurare con un mondo sociale fatto di diversità. Invece troppe volte è stata miope e rannicchiata su se stessa, e spesso ha evidenziato verso la destra la medesima pretesa, di “eliminazione fisica” dell'avversario, negando ogni possibilità di confronto con quei “moderati di destra” che sono sembrati irraggiungibili anche alle peggiori mutazioni veltroniane, ed identificando la cultura di destra toutcourt con le espressioni nazifasciste, di cui è invece giusto e necessario liberarsi in tutti i modi, mettendo in campo anche le collaborazioni più inusitate.

Nessuno dei due, così agendo, ha dimostrato di avere davvero a cuore la armonicità della società, che solo dalle due espressioni diverse e a volte necessariamente complementari trova il proprio equilibrio. Non pensiamo solo al grande momento di collaborazione della Resistenza e della Lotta di Liberazione dal Nazifascismo – oggi dileggiata ed aggredita oltre ogni limite sopportabile –; ma pensiamo ad una qualsiasi persona nell'atto di dover tagliare una fettina di carne: quanta fatica maggiore dovrebbe fare senza la possibilità di una interazione tra le due parti, destra e sinistra, “diverse ed ordinariamente in competizione” del proprio corpo. Un equilibrio che è la vita ordinaria di ciascun cittadino e di ciascuna famiglia, quindi della Società Civile. La “nostra sinistra” dovrebbe allora ambire a saper parlare anche alle culture di destra (pur senza mutare di un ette la propria natura e cultura), per illuminare la necessità di una realtà sociale armonica e per riacquisire quel consenso necessario, in Democrazia, ad avere dignità istituzionale e possibilmente mandati di governo.

A meno che qualcuno di noi non aspiri ancora alle rivoluzioni violente che minoranze a volte irrisorie pretenderebbero di poter imporre nel sangue ai propri simili, dimenticando la grande lezione della preparazione delle masse alle esigenze del nuovo che precedette la rivoluzione russa. Contadini e proletari dello sterminato territorio zarista furono dotati di strumenti e modalità di riflessione (e non c'erano i fax né esisteva internet, ma solo la volontà ed il sacrificio dei militanti) per illuminare le ragioni della propria condizione di sudditanza e capirne i meccanismi psicologici, ideologici e politici per tenerla sotto controllo, e quindi per poter formulare le conseguenti rivendicazioni di libertà, identità, uguaglianza e dignità. La rivoluzione giunse in anticipo sui tempi pensati dai suoi stessi fautori. Correre il rischio di pensare a rivoluzioni (che noi non abbiamo sperimentato sulla nostra pelle) come automatismi del nostro personale sentire, significherebbe rispalancare per un'altra generazione di gioventù delusa e depressa il terribile spettro di un terrorismo casereccio ed inconcludente, e con la distruzione del proprio futuro personale invece che la costruzione di un futuro comune di convivenza, pace, diritto, verità e giustizia.

Badate, la depressione è uno strumento raffinatissimo di controllo politico e sociale che è nato nella civiltà occidentale ed ha raggiunto livelli di estrema sofisticazione. Ti vengono posti innanzi traguardi eccelsi senza offrirti strumenti e percorsi per conseguirli, vieni sconfitto e devi avvertire non la scorrettezza del sistema che ti ha ingannato sugli obiettivi e ti ha negato conoscenze idonee ed efficaci, quanto il tuo personale fallimento. Devi entrare in depressione, sentirti inutile ed inetto con davanti a te due sole soluzioni. O reagire con la violenza dell'emarginato sociale o con schizofrenia del “malato psichico paranoico”, o con l'affidamento al “sistema” che ti garantirà sistemi farmacologici di controllo delle tue pulsioni, annebbiando le tue capacita' e potenzialità di scelte autonome e consapevoli, e così realizzando la tua estraniazione definitiva dalla capacità critica ed antagonista al sistema.

È in questa ottica che ad esempio l'FBI di Hoover elaborò e realizzò il progetto BlueMoon (i nomi delle peggiori azioni criminali del potere sono sempre molto dolci, come si vede), che attraverso la infiltrazione del mondo giovanile diffuse in quantità industriali le droghe sintetiche (LSD) che venivano confezionate in laboratori gestiti direttamente da agenti della Agenzia. Il fine? «Destrutturate il potenziale antagonismo dei giovani statunitensi ed europei contro le politiche dei rispettivi Governi». Che poi questo progetto abbia portato al rapporto organico e sistematico degli ambienti del potere con le più ambigue e terribili cosche criminali è del tutto logico e consequenziale, come avrebbe dimostrato la natura dell'operazione “Iran-Contras”.

 

In questa nostra società è stato inoculato un terribile virus “capitalista”: la convinzione che la competizione esasperata ed escludente dell'altro sia l'unico elemento di progresso, e dunque sia vana ed innaturale ogni forma e sentimento di solidarietà. Che la ricchezza personale sia l'unico metro di giudizio sulla realizzazione ed il valore di ogni persona umana, e che il godimento esasperato degli agi e delle risorse non debba essere soggetto ad alcun limite, valutazione o condizione di sostenibilità, e dunque ancor meno di condivisione. Gli egoismi trionfano e dunque cede ogni criterio di corresponsabilità, di diritto positivo, di giustizia, di limite, di sostegno e di welfare. E dunque nessuno più è tenuto a coltivare solidarietà, ciascuno è artefice della propria fortuna ed è perciò problema solo suo se le sue condizioni iniziali (giovani precari che non sanno ad esempio accompagnarsi ad un ricco o ad una ricca compagno/a di vita per risolvere la propria condizione) o finali (pensionati, che nulla possono o debbono pretendere - se non la pelosa e centellinata carità del potere - per una vita di lavoro subordinato e usurante, non essendo stati capaci di cambiare, in qualche modo, il proprio destino e la propria fortuna economica e cioè incapaci di essere “imprenditori di se stessi”, come si dice) sono tali da renderlo svantaggiato. Non c'è spazio per alcun intervento sociale e politico (se non quelli determinati dalla necessità di calmierare una rabbia montante ed una prospettiva di ribellioni sociali incontrollabili) che ne ammortizzi i bisogni, le precarietà, le insufficienze.

Ma non basta affermare che tutto ciò è sbagliato: se non riusciamo a colpire l'immaginario personale e collettivo della società offrendo progetti ed inoculando virus alternativi, il processo di fascistizzazione dei rapporti sociali e civili farà il suo corso anche se i suoi esiti sono e saranno irrimediabilmente mortiferi.

Gli operai del Nord hanno votato Lega solo perché questo virus è riuscito ad abbacinare i loro occhi al punto che le proprie condizioni di disagio sociale venissero avvertite come causate non dalla logica del profitto e dello sfruttamento capitalistico del lavoro ma solamente dalla “sleale concorrenza” determinata da una immigrazione selvaggia, indiscriminata, clandestina e dunque perciò stesso criminale. Dunque il “vero pericolo e nemico” è stato indicato ed avvertito come la persona del migrante, ancorché più debole ed esposto a qualsivoglia prevaricazione. E poiché la “depressione” del “che si può fare, contro lo strapotere dei migranti” non trovava eco negli organismi di tutela sindacale e nella rappresentanza istituzionale della sinistra, alla fine questa persona alienata da se stesso molto più che ai tempi della catena di montaggio pura e semplice ha deciso di affidare la sua sorte agli unici “uomini della provvidenza” che gli garantivano la lotta senza quartiere al nemico invasore. Immigrati sono Persone? Ma volete scherzare? Il “nemico” non è un nostro simile; è anzitutto una non-persona, quindi un soggetto privo di dignità e di quei diritti che noi “democratici e civili” riconosciamo ai nostri simili. E solo per questo che possiamo sentire lecito e giusto il perseguitarlo, spogliarlo di identità e diritti, identificarlo quale che sia il suo comportamento con i peggiori tra loro. Cosa che non facciamo certamente per i nostri, perché per l'Osvaldo che massacra ad Erba a nessuno è lecito dire che tutti i suoi conterranei o concittadini siano altrettanto criminalmente malati.

Noi non siamo riusciti, ad oggi, a ribaltare questa ottica e segnalare al mondo dei lavoratori come invece il capitale abbia tratto da questa muova categoria di sottoproletari la risorsa primaria per liberarsi ad un tempo delle rivendicazioni operaie e delle loro organizzazioni sindacali, mentre moltiplicava le proprie occasioni di utile e profitto, sfruttando la concorrenza al ribasso che si veniva a determinare sulle condizioni di lavoro, di retribuzione e di sicurezza.

La creazione artificiosa e artificiale di un nemico “diverso”, così profondamente diverso come solo un migrante può esserlo, ha fatto dimenticare agli operai del Nord che anche i loro nonni furono stranieri e migranti in paesi poco ospitali, i quali pretesero la assimilazione ai loro modelli capitalistici, piuttosto che la accoglienza rispettosa delle radici e delle culture migranti.

In questa terribile logica del capitale, il lavoratore e lo stesso migrante sono destinati a divenire, non appena abbiano accumulato un po' di benessere economico e sociale, i peggiori antagonisti di una qualsiasi idea di solidarietà verso chi fosse rimasto indietro.

 

Vi siete mai chiesti perché i nostri giovani dottori agli inizi della carriera subiscano impunemente anni di sfruttamento ignobile del sistema sanitario baronale e statale? Perché quando anche a loro si spalancheranno le porte della sicurezza economica e professionale non abbiano alcuno scrupolo a frodare le tasse, ad avere onorari da capogiro, perché “finalmente è arrivato il loro turno”, e possano così essere i fedeli conservatori e riproduttori della specie.

E così che i lavoratori, affabulati da questa ignobile cultura, non riescono ad avere coscienza che il vero avversario è sempre lo stesso - il profitto esasperato ed elevato a dogma del capitale - mimetizzatosi nella minacciata crescita e pressione dei poveri e delle loro pretese di uguaglianza e dignità. È per questo che viene additata la economia cinese come la peggiore competitrice - sleale, per di più - delle sicurezze dei lavoratori occidentali, facendo sparire la realtà della delocalizzazione di molte fabbriche nostrane proprio in quelle regioni, perché la manodopera è sfruttabile con maggiori profitti e benefici e senza alcun controllo ed ostacolo. Tant'è che tanto si abbaia contro l'oriente, ma nulla si pronuncia contro la sua pratica di violazione costante dei diritti umani e dei lavoratori.

 

Mario Ciancarella

 

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