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Iran. Un appello per in favore degli studenti arrestati
30 Marzo 2007
 

Qualche giorno fa il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi (foto) si è rivolta alla comunità internazionale chiedendo interventi e pressioni per ottenere la liberazione di alcune donne arrestate a Teheran. Era in corso il processo per una manifestazione del giugno scorso nella piazza Haft-e Tir di Teheran. Le donne erano “colpevoli” di essersi radunate di fronte al “tribunale rivoluzionario” dove il processo si stava celebrando. La polizia era intervenuta disperdendo i manifestanti. Una settantina di persone arrestate. Shirin Ebadi chiedeva a chi poteva di scrivere lettere al governo iraniano per esprimere dissenso e condanna (info@iranembassy.it fax: 06 86328492). Qualche risultato si è ottenuto: la maggior parte delle donne arrestate è stata scarcerata.

 

Non tutti, però. In carcere restano tanti studenti: “colpevoli” del grave reato di dissenso.

Farian Sabahi, che insegna “Islam e democrazia” all’università di Torino, dice: «Sono consapevole delle discriminazioni ai danni delle donne, sancite dal codice civile e penale in vigore nella Repubblica islamica; la nostra testimonianza vale la metà di quella di un uomo, in caso di morte violenta il risarcimento che spetta è inferiore rispetto a quando è ucciso un maschio, e ereditiamo il 50 per cento rispetto ai fratelli. La legge consente la poligamia, anche se formalmente con il permesso della prima moglie. Ottenere il divorzio non è facile e la custodia dei figli alla madre non è automatica. Eppure, rispetto all’ortodossia sunnita, l’Islam sciita è permeabile alle interpretazioni delle fonti e oggi molte giovani inseriscono nel contratto di matrimonio il diritto al divorzio. E la giurisprudenza recente permette ai giudici di affidare i minori al genitore “più competente”, e quindi sempre più spesso alle madri. Teologi iraniani della statura del grande ayatollah Montazeri e degli hojatoleslam Kadivar ed Eshkevari, annoverati nella schiera dei dissidenti, sostengono che le leggi devono adeguarsi ai cambiamenti. Alla società civile serve solidarietà».

 

Per questo Farian Sabahi chiede di aderire all’appello di Shirin Ebadi: «È importante non dimenticare i tanti studenti ancora in cella».

 

N.R.

(da Notizie radicali, 29 marzo 2007)


 
 
 
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