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Alfonso Navarra. Vienna: grande pressione per il bando delle armi nucleari
10 Dicembre 2014
   

Vienna – La Conferenza sull’Impatto Umanitario delle Armi Nucleari, tenutasi a Vienna l’8 e il 9 dicembre 2014, per organizzazione del governo austriaco, ha offerto principalmente agli Stati non nucleari un luogo di scambio e di confronto, nello sforzo di fondarlo su documentazione attendibile, sull’impatto devastante dell’esplosione delle armi nucleari.

Ma si è tenuto conto anche dei contributi della società civile, in particolare del forum organizzato sempre a Vienna da ICAN a ridosso della stessa, il 6 e 7 dicembre. (L’intervento più applaudito non a caso è stato quello di una giovane rappresentante della Campagna internazionale per abolire le armi nucleari – ICAN).

L’ampia partecipazione a questa conferenza, circa 160 Stati dei cinque continenti, allargatasi quest’anno persino agli Stati nucleari (USA, Regno Unito, Cina), ed agli Stati della condivisione nucleare NATO (il governo italiano, ad esempio, stavolta era presente), ha dimostrato che le catastrofiche conseguenze di un’esplosione nucleare, ed ancor più di una guerra nucleare anche su scala limitata, costituiscono una preoccupazione comune a tutti gli uomini e le donne che abbiano un minimo di testa sulle spalle.

L’intervento di apertura del Ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz (foto), “il padrone di casa”, ha sottolineato ancora una volta che la questione nucleare non è un relitto del passato: «Esistono ancora più di 16.000 testate nucleari – distribuite tra i 14 paesi e attraverso gli oceani – molti dei quali in allerta e pronti per l’uso con brevissimo preavviso. E dobbiamo essere chiari: fino a quando esisteranno armi nucleari, il rischio del loro uso – di proposito o per caso – rimane reale».

Vi è quindi stata una evoluzione rispetto alla considerazione, al centro delle precedenti conferenze di Oslo (marzo 2013) e Nayarit (febbraio 2014), che nessuno Stato, nessuna organizzazione internazionale sarebbero in grado di affrontare l’emergenza umanitaria immediata causata dalla detonazione di un’arma nucleare, né sarebbero in grado di fornire assistenza adeguata alle vittime.

Il focus si è spostato alla probabilità che una guerra nucleare possa avvenire per incidente o per errore, senza che ci si possa affidare con sicurezza ai “sistemi di command e control” per evitarla.

Un ruolo fondamentale per questa consapevolezza lo ha avuto l’intervento di Eric Schlosser, l’autore di Command and control, il libro-inchiesta che ricostruisce la storia delle armi nucleari negli Stati Uniti, le dottrine militari sul loro possibile impiego, i rischi di conflitto nucleare che il mondo ha corso e gli incidenti che hanno coinvolto armi nucleari verificatisi nel corso degli anni. È una denuncia efficace del loro pericolo e rafforza in modo riteniamo decisivo gli argomenti a favore della loro messa al bando.

Dovrebbe quindi risultare ovvio che gli sforzi dell’umanità dovrebbero essere indirizzati prioritariamente e principalmente nell’eliminare questa minaccia. L’unico modo per garantire che le armi nucleari non vengano mai più usate è di prevederne l’eliminazione totale partendo dalla loro proibizione giuridica. Ma nonostante tutti gli Stati, comprese le Potenze nucleari, parlino di necessità del disarmo nucleare si continua a rimandare gli impegni del Trattato di Non Proliferazione (il famoso articolo sesto sulle “trattative in buona fede” degli Stati nucleari) e a ostacolare il bando giuridico internazionale delle armi nucleari.

La proibizione giuridica delle armi nucleari è una assoluta necessità e questo sta sempre più emergendo nella consapevolezza collettiva anche a livello di governi. Molti Stati latino-americani la invocano apertamente nei loro interventi e con una decisione che impressiona. La richiesta si leva anche dalla maggioranza degli Stati in Africa. Ma non è il caso, a quanto costatiamo, della “tiepida” e “timida” Europa.

Registriamo che quasi tutti gli Stati si sono iscritti a parlare, e questo è stato indice di una grande volontà di partecipare e di contare.

Quello che avremmo voluto sentire, nella sintesi del ministro austriaco, che ha concluso alle 19:20 i lavori della conferenza, è una dichiarazione, chiara ed esplicita, a nome della maggioranza degli Stati presenti, che si sono pronunciati in tal senso: le armi nucleari devono esser messe al bando in modo inequivocabile e giuridicamente vincolante, e questa proibizione è la premessa necessaria per la successiva eliminazione degli arsenali nucleari.

Se non si è capito male, Sebastian Kurz (non abbiamo ancora sotto gli occhi il comunicato scritto ufficiale) si è invece limitato ad affermare che appoggerà questa richiesta, proveniente dal basso in modo inequivocabile, nella sede internazionale realmente decisiva, cioè la sessione di revisione del Trattato di non proliferazione del 2015, in cui aiuterà a porre all’ordine del giorno l’inizio di negoziati in tal senso.

Comunque si tratta, quella del bando delle armi nucleari, di una questione che non riguarda solo i governi, ma ogni cittadino e cittadina di questo nostro mondo interconnesso ed interdipendente. Aumentando la consapevolezza delle catastrofiche conseguenze che inevitabilmente si produrrebbero con il continuare a “scherzare con il fuoco atomico”, la società civile ha un ruolo cruciale da svolgere, a fianco dei governi, nell’assunzione delle proprie responsabilità.

Dobbiamo fare lo sforzo di lavorare insieme, fianco a fianco, per liberare, con una azione coordinata, il mondo, non solo il nostro cortile di casa, dalla minaccia posta dalle armi nucleari come responsabilità verso le future generazioni ed anche come salvaguardia del senso del passato comune, che è costituente essenziale della nostra umanizzazione, della nostra facoltà di pensiero.

Un intervento sicuramente “storico” è stato quello di Silvano Maria Tomasi, Nunzio Apostolico della Santa Sede, che ha portato un messaggio di Papa Francesco: la Chiesa Cattolica non è contraria solo all’uso delle armi nucleari, ma anche alla loro stessa detenzione.

Questo intervento può essere collegato al fatto che, come si è accennato, nei lavori di questa conferenza, con i discorsi delle delegazioni latino-americane, ed in particolare con il discorso del delegato dell’Ecuador, si è affacciata la nuova ipotesi strategica di impostare la proibizione delle armi come attuazione del diritto alla sopravvivenza, che esige il dovere immediato ed inderogabile di rimuovere gli ordigni che la mettono a rischio.

La “Carta per un mondo libero dalle armi nucleari” che i “disarmisti esigenti” hanno elaborato (e che si vuole fare discutere e approvare dalla Rete di scuole che simulano le Nazioni Unite) costituisce un modo per sperimentare un nuovo approccio culturale che forse potrebbe sbloccare le trappole che hanno finora impantanato e rallentato i negoziati sul disarmo.

Attualmente tutti i ragionamenti partono dalla necessità del disarmo nucleare (si veda il discorso di Obama a Praga nel 2009), non dalla sua obbligatorietà: si permette quindi, da parte della comunità internazionale, che alcuni soggetti vantino il diritto di minacciare l’uso delle armi nucleari al fine di evitarne l’uso.

Occorre invece escludere in radice, come anche il Papa ci invita a fare, ogni possibilità di giustificare la cosiddetta deterrenza: non si deve, lo ribadiamo, scherzare con il fuoco atomico, pensare di poter mettere tra parentesi il diritto di sopravvivere, ricorrere, ipocritamente, a mezzi illeciti, alla minaccia di distruzione, per ottenere obiettivi leciti…

Menzioniamo, per concludere, anche l’iniziativa di discussione, negli ambiti pacifisti e nonviolenti, sulle risultanze della conferenza che si terrà a Roma, per organizzazione della WILPF, il 16 dicembre 2014, presso il CESV, via Liberiana, 14, con inizio alle ore 17:00.

Sarebbe importante che servisse a sprovincializzare la nostra visuale, che spesso non va oltre ciò che ci tocca direttamente e da vicino: non possiamo pensare, quando ci sbattiamo sopra il muso, ammesso poi che lo facciamo veramente, solo alle bombe e alle basi che ci sono in Italia, dobbiamo renderci conto che abituiamo in un mondo che hanno fatto diventare una polveriera che prima o poi salterà in aria.

Opporci alle B-61 di Ghedi ed Aviano, come del resto alle altri basi militari “offensive”, deve avvenire con questa ottica ampia, rivolta alla costruzione organizzata internazionalmente della comune umanità, riuscendo a non restare impantanati nella logica logica localistica di chi non vuole spazzatura radioattiva nel suo quartiere essenzialmente perché degraderebbe il suo piccolo ambiente e la sua piccola, illusoria, sicurezza.

Come ci invita a fare “ESIGETE!”, dobbiamo pensare, agendo anche localmente ma coordinati globalmente, all’avvenire di tutti, ad un avvenire dell’Umanità fondata sull’emulazione, non sulla competizione, ad uscire dai nostri piccoli “ego” per occuparci di perpetuare la fiaccola della vita da cui proveniamo.

 

Ringrazio per il loro aiuto:

I “disarmisti esigenti” (in particolare Luigi Mosca e Giovanna Pagani) che si riconoscono nell’appello lanciato da Stéphane Hessel ed Albert Jacquard. In Italia facciamo riferimento alla petizione on line rinvenibile a questa pagina.

Adesioni anche sui siti: Energia felice; Campagna di Obiezione di Coscienza alle Spese Militari; Lega Internazionale Donne per la Pace e la Libertà.

 

Alfonso Navarra


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