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Asmae Dachan. “Allah, la Siria, Bashar e basta?”, recensione dell’opera di Alberto Savioli
20 Novembre 2018
 

Il conflitto siriano ha stravolto molte vite. La Siria che abbiamo conosciuto non esiste più e non tornerà come un tempo”. Sono parole tratte dall’ultimo capito del libro di Alberto Savioli Allah, la Siria, Bashar e basta? Vent’anni di vita custoditi in un racconto, BiancaeVolta edizioni, le conclusioni di un’opera articolata, fondamentale per chi vuole conoscere e comprendere la crisi siriana. C’è un velo di amarezza che l’autore non nasconde, perché per Alberto (lo chiamo per nome perché siamo amici) la Siria non è un posto qualunque di cui parlare, ma un Paese che per vent’anni ha fatto parte della sua vita. Luoghi, personaggi, aneddoti di una terra dalla storia millenaria, dove la modernità dei grandi centri urbani dà le spalle alle aree rurali più remote, dove sopravvivono tradizioni antiche, fatte di codici ed equilibri delicati. Alberto osserva, chiede, riflette e scrive con uno stile delicato e allo stesso tempo semplice, ritraendo i profili dei siriani che per molti anni sono stati la sua seconda famiglia. Questo legame con la Siria, professionale, ma anche umano, porta l’autore a vivere un’esperienza totalizzante. Prima di essere un fine saggista, Alberto è uno stimato archeologo, un ricercatore. La professionalità che mette nel suo lavoro, le ore di scavi, di studio, di viaggio, è la stessa con cui scrive per vent’anni. Annotazioni, riflessioni, perplessità che per lungo tempo restano chiuse sui suoi taccuini, per diventare poi una sorta di reperto prezioso, uno spaccato di quella Siria che “non tornerà come un tempo”.

Alberto racconta della sua graduale presa di coscienza di tutti quei retroscena che scandivano la vita dei siriani. In apparenza tutto andava bene ed era bellissimo, ma andando a fondo, con la stessa delicatezza e attenzione dell’archeologo chino sugli scavi, l’autore scopre gradualmente il significato di certi silenzi, di certi gesti, di alcune parole. Scopre la Siria segreta, quella che solo uno sguardo attento, che va oltre all’amore per le bellezze e la cultura del Paese mediorientale, può scorgere. Alberto coglie le contraddizioni e le speranze dei siriani che incontra sul suo lungo cammino, fino a vivere e condividere con loro il dolore per quei sogni di libertà e cambiamento che si sgretolano sotto il peso dell’oppressione e le devastazioni portate dalla guerra e dal terrorismo. Forse nessuna testimonianza può essere autentica come la sua, perché Alberto la Siria l’ha vissuta, l’ha capita e l’ha amata.

Allah, la Siria, Bashar e basta” è uno slogan che i sostenitori del regime hanno gridato forte per contrastare il canto di libertà di chi invece gridava “Il popolo vuole la caduta del regime”. Il titolo del libro di Alberto non è solo una citazione, ma anche una presa di coscienza dello stato attuale delle cose. Il volume è davvero un reperto prezioso da studiare e custodire, un’opera importante per chi vuole capire cosa è successo in Siria negli ultimi sette anni, ma anche come era la Siria prima, cosa ha portato a tanta esasperazione e violenza e perché si è arrivati a un conflitto internazionale sulla pelle dei siriani. Come le opere d’arte di cui Alberto si occupa da sempre, che parlano ai cuori e raccontano il passato, proiettandolo nel presente, questo volume sussurra verità nascoste e parla alle coscienze, offrendo ai lettori tutti gli strumenti per capire anche cosa ne sarà della Siria e dei siriani quando le bombe cesseranno i loro boati, ma nel Paese continueranno a riecheggiare i lamenti delle vittime di tortura, delle madri dei desaparecidos, degli orfani, delle vittime di abusi, dei giovani che hanno creduto e lottato per il sacro ideale della libertà e si sono trovati a stringere i corpi esanimi dei loro amici morti ammazzati. La Siria, allo stato attuale, sembra destinata a rinascere non dalle sue ceneri, ma sui cadaveri dei suoi stessi figli, senza la prospettiva di alcuna giustizia. Alberto lo racconta ricordando le tante donne e i tanti uomini che ha incontrato sul suo cammino, giovani pieni di sogni e speranza, portati vai dal fragore disumano della guerra.

Mi permetto di aprire una parentesi personale. Tante volte, durante la lettura di questo volume di oltre 650 pagine, mi sono fermata a sospirare, perché attraverso le parole, gli occhi, l’esperienza di Alberto ho scoperto una Siria che non ho mai conosciuto e questa scoperta mi ha appassionata, addolorata e commossa. L’opera per molte sere è stata la mia finestra sulla Siria, su un passato che per certi versi dovrebbe appartenermi, ma che di fatto, da siriana nata e cresciuta in Italia, non ho mai vissuto.

Le pagine di questo libro hanno tutte la stessa grammatura, ma ho faticato a girarne alcune, tanto erano cariche di dolore e sconforto, da sembrare estremamente pesanti. Alberto parla di personaggi che sono entrati anche nella mia vita, cambiandola per sempre, di sogni che ho condiviso e che hanno fatto battere il mio cuore, di ferite di cui non porto fisicamente alcun segno, ma che da siriana mi lacerano il cuore. Sì, il conflitto in Siria ha sconvolto molte vite, anche la mia. Non riesco a ricordare com’erano le mie giornate prima del 2011, prima che la parola libertà venisse accostata alla parola Siria e si scoperchiasse il vaso di Pandora. Attraverso quest’opera Alberto ha permesso anche a me di acquisire nuovi strumenti per interrogare la mia parte siriana, ma anche per conquistare quella distanza imprescindibile per avere una visione di insieme che permette di riconoscere errori e mancanze. So già che riprenderò il mano questo libro ogni volta che verrò assalita dalla nostalgia. Leggerò di una Siria che non ho conosciuto, ma ho imparato ad amare profondamente. Mi sembrerà di tuffarmi nel calore di quella terra e di quei familiari lontani, di sentire le melodie degli ud suonati nelle case col cortile interno, dove i suoni riecheggiano anche di notte. Stringerò al petto questo libro ogni volta che avrò bisogno di ricongiungermi con le mie radici recise.

Stanotte è il 6 novembre del 2018. Ho iniziato a rielaborare queste parole diverse settimane fa, forse mesi, ma come una Penelope disperata ho scritto e cancellato, incapace di proseguire, incerta della mia stessa scrittura. Negli ultimi mesi ho tentato di strapparmi il cuore e di buttare in mare la mia anima siriana, di allontanarmi da tutto questo, senza mai riuscirci. Adesso forse sto iniziando a rielaborare il mio lutto per un ideale che è stato ucciso, ma leggendo le pagine di Alberto, mi sento meno sola.

 

Asmae Dachan

(da Diario di Siria, 6 novembre 2018)


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