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Giuseppe Leocata. Oggi più vicini o più lontani rispetto a ieri? L’effetto del Covid.
20 Dicembre 2021
 

Affrontiamo la problematica dell’impatto della pandemia su due realtà particolari: il mondo della scuola e quello del lavoro, in relazione alle conseguenze dovute al ricorso ‘obbligato’ alle cosiddette nuove tecnologie. Queste hanno senz’altro giovato all’essere umano per migliorare sia il suo apprendimento didattico sia alcune attività lavorative e - per certi versi - anche per migliorare la sua qualità della vita, non vanno - quindi - demonizzate ma utilizzate a servizio dell’Uomo. Da medico, però, non credo molto ad un utilizzo indiscriminato dell’informatica in medicina, il rapporto umano ed empatico tra paziente e medico non potrà mai essere sostituito dalla ‘telemedicina’ a meno di non snaturarlo e renderlo impersonale.

 

LA SOCIETÀ

È opportuno iniziare con alcune considerazioni sul Covid e su come ha condizionato il vissuto individuale e collettivo delle persone nella nostra società. Le statistiche elaborate descrivono che chi è entrato in contatto con il virus ha una probabilità di sintomi depressivi fino a 5 volte rispetto alla popolazione generale. Metà delle persone contagiate ha disturbi psichiatrici (42% di ansia o insonnia, 28% di disturbo post-traumatico da stress e 20% di disturbo ossessivo-compulsivo). La crisi economica da Covid ha incrementato il disagio mentale nella popolazione: il rischio di depressione raddoppia in chi ha un reddito inferiore ai 15mila euro/anno e triplica nei disoccupati. Ad alto rischio sono: donne (più predisposte a depressione e più toccate da ripercussioni sociali e lavorative), giovani (per modifiche della loro vita di relazione e per gli effetti della crisi sull’occupazione) e anziani (più fragili di fronte a contagi e disturbi mentali) (Oggisalute 28.01.21, È allarme 'sindemia’ 1 mln nuovi casi disagio mentale, AdnKronos).

Ciò che ha reso il nostro tempo un’arena di aperta e libera discussione non ha reso gli scambi più proficui. Al contrario, ha accresciuto il distanziamento, ineluttabile in condizioni di pandemia e di infodemia. La rete, quella sede di discussione globale che è lo scenario iperconnesso (‘riunione di condominio generalizzata’), è diventata, infatti, un’alternativa, sedentaria e molto più comoda, alla lotta libera. Quello che potrebbe essere un luogo per scambiare chiacchiere e battute, proposte e
richieste, idee e ragioni tra individui pensanti, volenti, conviventi è spesso un ring dove si scambiano colpi e si combatte da gladiatori” (Bruno Mastroianni, Litigando si impara. Disinnescare l’odio online con la disputa felice, Franco Cesati Editore, 2020).
In questo contesto da ‘Circo Massimo’ o da ‘condominio’ rientra a pieno una breve riflessione su ottusità e stupidità. In un recente articolo per Psyche “Perché le persone intelligenti possono fare cose molto stupide”, Luca Angelini scrive che l’ottusità (costituzionale e generale mancanza di capacità di capire) è diversa dalla stupidità. Questa è un fallimento cognitivo molto specifico. Accade quando non si hanno gli strumenti concettuali giusti per un particolare compito. Il risultato è l’incapacità di rendersi conto di cosa stia accadendo e la conseguente tendenza ad infilare a forza i fatti in caselle sbagliate. Evitare diventa più difficile da emendare se si accoppia alla testardaggine.

Evitare la trappola della stupidità non è facile. Esserne consapevoli, però, è già un primo passo e dovrebbe spingerci, ad es., a non pensare che i titoli di studio o la posizione sociale siano sufficienti a mettercene al riparo o a conferire patenti si superiorità. Dovrebbe farci anche riflettere sui condizionamenti del gruppo prima di puntare il dito contro i singoli. La popolazione è stata bombardata da notizie sulla diffusione della pandemia da parte dei media e ciò ha determinato una situazione di costante allarme, uno stato di ansia da malattia. I successi nella lotta al Covid non sono stati spesso da una lunga sequela di ‘però’. Per il mondo dell’informazione questa pandemia ha rappresentato e ancora rappresenta un grande business, sia sul versante “sì vax” sia su quello “no vax”. Bisogna che la popolazione sia informata e da persone competenti che hanno a cuore il fine ultimo che non è vendere giornali o format televisivi o ancora portare voti a uno o all’altro schieramento politico, ma creare una coscienza collettiva nel nostro Paese. (Newsletter@sanitàinformazione.it SALUTE 06.04.21 - “Psico-pandemia, le ragioni per cui non riusciamo a vincere la battaglia contro il virus” di Chiara Stella Scarano). E il pensiero corre alla frase di Ivo Salvini (Roberto Benigni) nel finale del film La voce della luna di Federico Fellini: “Eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire”.

 

LA SCUOLA

Iniziamo con un’analisi del mondo della scuola e dei cambiamenti imposti dal Covid. Questa, quando vengono rispettate le norme, è un luogo sicuro. I 4/5 degli studenti hanno avuto un contagio in ambiente domestico.

Questa pandemia è paragonabile a una guerra la quale - dal punto di vista delle relazioni, dei rapporti e di quanto sta incidendo nella vita a cui eravamo abituati - ha un impatto devastante. Sono aumentati in modo esponenziale i disturbi del comportamento alimentare. Chi era in uno stato di debolezza, fragilità e difficoltà ne ha sofferto ancora di più, sono aumentati gli incidenti domestici, le violenze dentro casa (abusi sui minori non rilevati soprattutto perché gli insegnanti non hanno visto gli alunni di persona). La politica dovrebbe riflettere su un nuovo modo di pensare la società e bisogna approfittare delle opportunità che ha portato la pandemia e ridare finalmente centralità all’età evolutiva e alla formazione che sono l’unico investimento per il futuro. (“Riapertura scuole, Villani (SIP): se vengono rispettate le norme non c’è rischio” - Doctor news, 26.04.21)

In questo periodo accade che ha bisogno di un tablet o di un computer ma non ce l’ha e se ce l’ha non sa come utilizzarlo per consultare il registro elettronico il fascicolo sanitario. Le classi più svantaggiate sono state molto penalizzate e hanno avuto limitato accesso alla formazione universitaria. Per la scuola, si potrebbe pensare a un ‘comodato d’uso’ gratuito di un computer o della connessione a internet a chi ne avesse bisogno ma anche a momenti di formazione per le esigenze dei ragazzi e famiglie tramite figure educative per aiutare gli studenti a coltivare i loro interessi e a sviluppare relazioni sane e le famiglie in un percorso nuovo (“Servono educatori per le famiglie: il divario digitale resterà un ricordo” - Cristina Vercellone - il cittadino di Lodi, 20.11.21).

Luca Angelini su Il Foglio di poco tempo fa ha intervistato Marco Lodoli sulla Dad e la scuola italiana. Lodoli afferma che il problema di fondo della scuola è quello di riuscire a coinvolgere maggiormente i ragazzi, che ormai vivono dentro modalità comunicative quasi ignote ai loro professori, specie quelli oltre i 50 anni. Probabilmente l’insuccesso di questi due anni in Dad è stato quello di esasperare al massimo la passività degli studenti. La cultura non è una materia su cui essere interrogati cercando di rubacchiare un buon voto, ma un’esperienza conoscitiva, un passo avanti verso se stessi e verso la vita. La nostra scuola sembra sprofondare in un bizantinismo burocratico, in una marea crescente di carte da compilare, relazioni da stilare, crocette da apporre in cui è facile affogare.

La scuola e l’università sono luoghi di incontro e di socializzazione, in questi ambiti ragazze e ragazzi non solo acquisiscono gli strumenti necessari per orientarsi nel mondo, ma imparano anche a vivere insieme agli altri, condividendo con loro esperienze, sogni, paure e fragilità. Quando si è collegati su Zoom o su altre piattaforme online, vengono meno l'entusiasmo e la forza che si comunicano quando si è in presenza e anche il confronto, che a volte è scontro, ma che è sempre alla base dell'apprendimento.

Vanno, comunque, segnalati anche degli aspetti positivi della Dad. Questa ha permesso di seguire le lezioni a ragazzi che soffrono di ansia sociale o vittime di bullismo e ad altri affetti da gravi malattie; essa ha anche permesso di seguire le lezioni evitando di passare ogni giorno tante ore in treno e di spendere molto in biglietti o abbonamenti, così come di non pagare un affitto in un’altra
città (Michela Marzano, “L’altra faccia della Dad. Appello degli studenti universitari” – La Repubblica, 03.08.21).

Questo in un Paese dove mancano i ‘Campus universitari’ per accogliere gli studenti. La crisi in alcune situazioni ha rafforzato i legami fra insegnanti e genitori cosa che fa aumentare il tasso di frequenza degli studenti e alla fine determina risultati migliori. Ha imposto l’uso delle tecnologie a una categoria professionale che era stata lenta ad adottarli. Essa, inoltre, può portare alla adozione di sistemi più flessibili per rendere più facile garantire - a chi è bloccato su argomenti specifici - il tempo e l’aiuto di cui ha bisogno, nonché la libertà di andare avanti rapidamente una volta superato ciò che lo stava rallentando (Attualità - Istruzione - Come il Covid-19 sta cambiando la scuola - The Economist, Regno Unito - Internazionale 1416, 02.07.21).

 

IL LAVORO

Si sta assistendo a una progressiva scomposizione del lavoro con le tecnologie informatiche e anche con lo smart working. Il virtuale finirà con lo smembrare non soltanto le realtà produttive e di servizi e i settori amministrativi delle realtà produttive ma anche i diversi contesti sociali (soltanto ad esempio: lavoratori che operano ciascuno isolato dagli altri tra le mura domestiche, madri che - tra una faccenda domestica e l’altra o mentre accudiscono i figli - svolgono altre attività di lavoro senza tempi, modi e luoghi definiti..., ‘amici’ virtuali e solo sui social network). «Il virus ha accelerato la transizione della comunità globale verso una società contactless nella quale ancora non sappiamo come comportarci e non sappiamo dove porterà...» (C. Rocca, La Stampa, 18.04.2020). Ma i cambiamenti modificheranno anche la struttura urbanistica e sociale delle metropoli e avranno un impatto anche sulla salute e sul benessere dei lavoratori. «Senza i colletti bianchi, i centri urbani stanno diventando città fantasma. Per decenni, gli urbanisti hanno predicato politiche di addensamento per salvaguardare l’ambiente. Ma il modo migliore per contenere il Covid è la disaggregazione. Grazie alla tecnologia, aziende, servizi e consumi saranno svincolati dal tessuto urbano. Due pilastri del vivere in città – la cultura e il lavoro – ne soffriranno. Le città post-Covid dovranno trovare il modo di giustificare il prezzo e i rischi del vivere assieme» (F. Guerrera, La Repubblica, 05.09.2020).

Il problema concreto che si pone, quindi, per la gestione della salute principalmente dei lavoratori - ‘invisibili’ e che utilizzano ‘attrezzature munite di videoterminale’ - da parte dei medici competenti aziendali dovrebbe essere quello di ripensare alla ‘sorveglianza sanitaria da D.Lgs. 81/08 con un approccio globale che non si può limitare al ’visitificio’ inerente soltanto all’apparato visivo per l’affaticamento visivo e a quello osteo-muscolo-scheletrico da posture incongrue. Bisogna domandarsi se e come il Covid ha modificato qualcosa in questa attività per i lavoratori.

Grande è stata ed è la confusione circa la sorveglianza sanitaria. Non viene pensata una prassi diversa e forse più tutelante per i lavoratori e la società. Vanno cambiate le regole del “mercato “delle visite mediche con gare al ribasso, lontane da logiche di professionalità e di servizio. Sono da pensare altre regole più garantiste delle parti in gioco, magari medici competenti (o meglio aziende) con un rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione simile a quello dei medici di medicina generale…

È più utile al lavoratore, ai lavoratori, all’impresa e alla società in genere che ci sia una figura di formazione medica che si occupi maggiormente degli altri aspetti correlati al lavoro e alle sue nuove forme. Il medico competente aziendale, valorizzando la sua autonomia, si dovrebbe occupare degli aspetti sanitari globali, psicologici e sociali correlati alla specifica attività lavorativa del singolo e del gruppo di lavoratori, dell’organizzazione del lavoro, della solitudine e dell’isolamento lavorativo, della mancanza di relazioni o dei rapporti conflittuali e della competitività
‘malata’ nel luogo di lavoro, dello stress lavoro-correlato, delle problematiche connesse con gli spostamenti casa-lavoro e viceversa e lavoro a casa da soli (telelavoro con maggiori tutele rispetto allo smart working), oltre che degli aspetti ergonomici del posto di lavoro (igiene del lavoro in generale) (Giuseppe Leocata, “Il virus e il lavoro invisibile” – Salute Internazionale, 01.02.21).

Aziende e dipendenti stanno correndo incontro allo smart working, le prime per aumentare la produttività e ridurre i costi, i secondi per conciliare meglio privato e lavoro (direi una illusione per i secondi). Secondo il Politecnico di Milano, su 18 milioni di dipendenti in Italia, poco meno di un terzo (5,35 milioni) alterneranno lavoro fuori e dentro l’azienda. Un indicatore interessante è l’accelerazione rispetto alle intese tra grandi imprese e sindacato. Appena finirà lo stato di emergenza, le aziende saranno obbligate a stipulare accordi individuali di smart working con i dipendenti. Il sindacato, dal canto suo, cerca di strappare qualche tutela in più per tutti. I lavoratori si pongono in maniera diversa nei confronti dello smart working. I giovani preferiscono non rinunciare all’ufficio perché amano la socialità, hanno bisogno di imparare - stando a distanza è difficile - e poi abitano di solito in case condivise con genitori o coetanei. Gli over 50 con figli ormai grandi hanno l’esigenza di trasferire conoscenze ai colleghi più giovani. I più interessati allo smart working, invece, sono i genitori con figli piccoli o nonni a carico, i dipendenti con hobby e passioni extralavorative o semplicemente, quelli con la residenza distante dall’ufficio.

Dal punto di vista dell’igiene del lavoro, si può affermare che la scrivania diventerà un lusso per i lavoratori, essi dovranno prenotarsi gli spazi, a partire dal parcheggio, con una app, scegliendo – a seconda delle necessità - tra l’ufficio classico, la sala riunioni, l’area coworking aperta agli esterni. I sistemi di sanificazione dovranno, inoltre, essere efficienti visto l’alternarsi di più persone alla stessa postazione. In alternativa, i grandi gruppi, poi, stanno cercando di attrezzare sedi distaccate per chi abita nelle aree limitrofe, oppure di dare l’opportunità ai dipendenti di appoggiarsi a spazi di coworking. A livello dei singoli, infine, sono da affrontare le problematiche connesse alla fornitura a parte delle imprese di mezzi di lavoro adeguati (computer fisso o portatile, sedile e scrivania ergonomiche) in genere non previsti nello smart working, così come gli straordinari e i buoni pasto (“L’INCHIESTA - Smartworking, la rivoluzione d’ottobre. Niente sarà come prima - Se tutto andrà bene con i vaccini, in autunno si rivedrà la normalità in ufficio. Ma non sarà un ritorno al passato: su 18 milioni di dipendenti quasi un terzo alternerà il lavoro dentro e fuori sede”, Rita Querzè, sette corriere.it, 02.04.21).

 

Giuseppe Leocata


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