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Vetrina/ Rosaria Chiariello. Morirei
17 Ottobre 2015
 

Morirei se alla voce del tuo dolore

dilatato il cuore mi perdessi

nel veder tremare la mia solitudine

sul fondo della tua anima

per sentire nelle mie lacrime

il tuo ascolto silente.

Vivrei di te lasciandomi svanire

baciando il vento scritto sull’onda

smossa dal turbamento del divenire.

Morirei se pensassi che alla fine

potendo respirare il tuo inizio

mi impedissi d’amarti nel vero

con la fragilità tremante della tua assenza.

Vivrei se capissi d’esser nata dal tuo amore

quando nessun amore vero nasce

se prima non si muore

 

Rosaria Chiariello

 

 

 

Nella sterminata galassia delle emozioni e dei sentimenti ama muoversi Rosaria Chiariello; i suoi stilemi ormai sono riconoscibili, forgiati con estrema cura e delicatezza, struggenti come in tale Morire.

Un lavorio inteso della parola rispecchia l’immenso tormento interiore nel rendere esplicito, in grafemi, tale suo sentire che, chiunque legga, sa che è autenticità. Il daimon platonico sembra la abbia pervasa (comunione che mette in contatto due anime, prese dal dio, en-thousiasmo); è una tensione continua, protratta sino allo spasmo: un abbandono in quanto ci si distacca da un bene o da una condizione inferiore o inautentica per salire -ascesi- verso una nuova dimensione, autenticità d'essere sé. Per questo si trema, il corpo stesso risente di questo sconvolgimento pervaso dall’alito vitale o pneuma. Bisogna, per innalzarci - e empaticamente congiungersi all’altro come possibilità di realizzarsi come un sé compiuto (dalla dualità all’uno) -, essere amore. Da qui il morire, il seppellire le vecchie abitudini, la vita trascorsa per viversi in modo completamente diverso, vero. È un incipit -vita nova- che ricorre nell’autentica poesia d’amore, di emozioni che alitano, che permeano chi vive tale sentimento, dilatando e aprendo nuovi orizzonti. Muore l’io per divenire sé. (Enrico Marco Cipollini)


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