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Lidia Menapace. Se e come riformare la Costituzione
Mario Mauro, Ministro della Difesa
Mario Mauro, Ministro della Difesa 
08 Maggio 2013
 
   La Costituzione può essere riformata e la procedura per tale operazione è prevista dalla Costituzione stessa con differenti vincoli e modi e maggioranze.
   A conclusione di dette procedure è sempre previsto un referendum popolare confermativo. Per poter votare informato il popolo deve poter seguire tutti i passi delle proposte riforme, che dunque debbono essere pubblici.
   Non tutto però è sottoponibile a riforma: ad esempio non la forma repubblicana dello stato. E a mio parere anche il divieto di ricostituzione in qualsiasi forma del partito fascista.
   Alcune opzioni non sono sottoponibili a riforma unilaterale: ad esempio i trattati internazionali, mettiamo: i Patti Lateranensi, che contengono il Concordato tra Repubblica italiana e Stato della Città del Vaticano. Se si volesse levare il Concordato, come avrebbero voluto anche molti cattolici moderati, quando Craxi ne fece col Vaticano una riforma, sarebbe lecito e non una forma di lotta o persecuzione religiosa. Concordati non esistono né in Austria, né in Gemania, né negli USA o in America Latina e la Chiesa cattolica ha sempre usato proporre e richiedere Concordati nei paesi nei quali non giudica sufficienti le garanzie democratiche generalmente previste. Comunque da noi non lo si potrebbe fare senza una procedura d'accordo con lo Stato della città del Vaticano.
   Ho fatto questi esempi per far vedere che i moltissimi padri e le poche madri della Costituzione non erano dei pazzi/e convint/e di fare una cosa perfetta e immodificabile, quindi misero in previsione anche le procedure per modificare il testo costituzionale. Ma poiché l'Italia aveva una storia di stato nazionale molto recente e fragile e una esperienza di cancellazione della democrazia ancora più recente duratura e drammatica, i padri e le madri citati/e or ora, pensarono bene di proporre una procedura piuttosto lunga complessa e garantita. Penso che davvero abbiano pensato bene. Chi propone di modificare la Costituzione si adegui al volere originario e si sottoponga al lungo percorso previsto nelle commissioni e in aula e garantisca che sia pubblico come tutto il lavoro parlamentare, che per questo può essere seguito controllato giudicato arricchito vagliato dal dibattito popolare nei partiti sindacati movimenti associazioni, dopo essere stato illustrato dai mezzi di informazione.
   Qualsiasi procedura che preveda scorciatoie e surroghe o salti può essere lecitamente sospettata di non volere una riforma, bensì magari una qualche controriforma o intenda sfigurare la Costituzione in qualche suo punto importante.
   E siccome i primi 12 articoli della Costituzione sono considerati i tratti identificativi del volto della Repubblica, i tratti della sua identità storica, vige in proposito il patto politico di tener fuori dalle riforme proprio quegli articoli. Ad esempio chi dice stupidamente che il lavoro sarebbe un “bene comune” nega l'art. 1 della Costituzione che ne fa solennemente il fondamento del diritto di cittadinanza e quindi a sua volta un diritto costituzionale intangibile, checché ne pensasse la ministra Fornero. Chi -come l'attuale ministro della Difesa- arrischia -appena nominato- una personale interpretazione molto estensiva dell'art. 11, fa una cosa che non gli compete, essendo magari materia da Corte costituzionale e dovrebbe essere rinviato a domicilio, perché le sue parole sono ben più gravi di quelle che la Biancofiore ha detto, come di solito straparlando, sui gay.
   Una Convenzione fatta di non parlamentari, nominata attraverso designazioni interpartitiche, che lavora non si sa quanto, non si sa dove, non si sa su che ordine del giorno, presieduta dal noto cultore di diritto costituzionale che risponde al nome di Silvio Berlusconi, sarebbe un modo immediato di mettere fuori legge il governo Letta.
 
Lidia Menapace

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