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Bruna Spagnuolo: Banchettano gli sciacalli sulle spoglie dei vinti (3)
20 Dicembre 2008
 

L’ONU e le ferite (divenute cicatrici infette)

che non potranno guarire senza appropriata ‘chirurgia’…

 

Il genocidio ruandese avrebbe potuto essere evitato… L’ONU avrebbe potuto prevenirlo (e non lo fece)!!! Ciò è un macigno moltiplicato per infinite migliaia di macigni, che si moltiplicano a loro volta per un milione di vittime e pesano più dell’intero mondo e di tutti i pianeti messi insieme (sulla coscienza di qualche creatura aliena- responsabile- cui mi rifiuto di riconoscere l’appartenenza al genere umano). Chi-come-quando mai potrà perdonare a quel qualcuno (o più d’uno) il mancato gesto preventivo di un massacro senza confronto, che ha irrigato la terra con plasma umano e con il rantolo estremo dell’agonia ripetuta per migliaia e migliaia e migliaia… di volte. L’allora comandante delle forze ONU in Rwanda, il maggiore generale canadese Romeo Dallaire, inviò all’ONU una richiesta urgente d’intervento, via fax. Un pezzo di detto fax diceva: «Dal momento dell’arrivo della MINUAR, (l’informatore) ha ricevuto l’ordine di compilare l’elenco di tutti i Tutsi di Kigali. Egli sospetta che sia in vista della loro eliminazione. Dice che, per fare un esempio, le sue truppe in venti minuti potrebbero ammazzare fino a mille Tutsi./ …/ l’informatore è disposto a fornire l’indicazione di un grande deposito che ospita almeno centotrentacinque armi… Era pronto a condurci sul posto questa notte- se gli avessimo dato le seguenti garanzie: chiede che lui e la sua famiglia siano posti sotto la nostra protezione». Il messaggio militare-marziale e rispettoso, in quel punto diveniva preciso, urgente e pressante nei limiti consentiti dai gradi e dalla posizione, ma, alla faccia di tutto ciò, nessuno si degnò di dargli la giusta importanza: il Dipartimento per le Missioni di Pace dell’Onu, in New York, non degnò di alcuna richiesta d'intervento né la Segreteria Generale né il Consiglio di Sicurezza, ignorando pari pari l’informativa doverosa e coscienziosa del comandante di quel particolare contingente (che attese invano il cenno che aspettava, per uscire con i suoi uomini, prendere dei provvedimenti e bloccare l’allestimento del mattatoio più spaventoso della storia). Mi domando come abbia potuto un uomo abituato al comando (come un generale) sopportare una simile onta (quando essa implicava il genocidio abnorme che poi accadde e che i Posteri potranno soltanto ingigantire e mai sminuire) e perché, in barba all’ubbidienza imposta da divisa e gradi, egli non abbia potuto (o saputo) prescindere dagli ordini (peraltro mai arrivati) e agire (in nome di Dio!). Ci sono assurdità che la ragione non potrà mai accettare e questa è una di esse e ci sono azioni di singoli o di pochi che marchiano a fuoco interi popoli e più popoli, in un colpo solo.

Quell’azionaccia innominabile di quel particolare dipartimento dell’ONU ha marchiato l’intera organizzazione ONU, tutta l’America e tutto l’Occidente come colpevoli di condannabile indifferenza di fronte a cose-eventi che non interferiscano con il loro mondo, i loro cuori e le loro tasche. I 2.500 uomini di cui Dallaire disponeva, un mese dopo l’inizio di quel gigantesco massacro, erano ridotti a 500: i rapporti continuarono a piovere alla Commissione per i Diritti Umani, sempre più pressanti, ma gli USA posero un veto irremovibile e malefico che portò il Consiglio di Sicurezza a non riconoscere il genocidio in Rwanda: esso era sotto gli occhi del mondo intero, ma, se gli USA dicevano che non c’era, per il Consiglio di Sicurezza non c’era. A chi e a cosa poteva (e può) servire un simile Consiglio di Sicurezza (e, soprattutto, di quale sicurezza si faceva garante?). E la Commissione per i Diritti Umani, quanto si poteva (e si può) battere e per i diritti di chi? E ancora: se l’ONU era formato da vari organismi-compartimenti e nessuno di essi ha realmente avuto la possibilità di ‘contare’ qualcosa e di difendere un milione di vite umane, quanta possibilità può avere veramente ogni organismo separatamente da tutto il carrozzone mastodontico dell’Onu…? A che cosa serve averlo ‘congegnato’ con varie e specifiche ‘accezioni’? Mi piacerebbe sapere che almeno un ‘ramo’, per piccolo che sia, potrebbe dissentire e lottare al fianco dei miseri più miseri e dei dimenticati, ma non vedo spiragli. Il Rwanda era un mattatoio generale e nessuno muoveva un dito. Varie nazioni inviarono i loro contingenti solo per proteggere i loro cittadini. La Francia, che, anni prima, aveva addestrato le FAR, non solo non fermò i massacri, ma addirittura, all’arrivo delle FPR tutsi, appoggiò gli Hutu in ritirata. Gli Usa (resi ‘timorosi’ dal massacro dei soldati americani avvenuto cinque mesi prima, nella battaglia di Mogadiscio) si decisero a parlare di genocidio soltanto due mesi dopo, ma riconosco loro il diritto di libertà di pensiero (che non riconosco, invece, all’ONU, che come diritti dovrebbe ‘adottare’- e non lasciare ‘orfani’- quelli del mondo e come religione dovrebbe avere la difesa della vita umana). Anche l’ONU, probabilmente, era stato bloccato dal timore di andare a parare in un altro fallimento (con tanto di morti) come quello dell’operazione Ristore Hope patita in Somalia come UNISOM, ma la cosa offre poca consolazione, alla luce dello sterminio ‘senza quartiere’ che fu permesso in Rwanda (definito genocidio anche da papa Giovanni Paolo II e stigmatizzante -per ‘connivenza’- parecchi cattolici, che non avrebbero difeso la gente all’80% cristiana).

Il contingente ONU (lì e allora chiamato UNAMIR) fu in Rwanda fino al 1996 (per assistere e proteggere le popolazioni dal massacro), ma la verità è che si rese utile soltanto quando il genocidio si fermò (per inerzia tutta sua). Il biasimo generale che tutto ciò guadagnò all’ONU fu la causa del ritiro della missione nel Marzo ’96, ma, se la vergogna fu grande, il tributo di sangue pagato dai caschi blu pesa sulla bilancia del bene e, in qualche modo, rincuora. È vero che nulla di ciò che avrebbe potuto essere fatto dall’ONU accadde in tempo, ma è vero anche che alcuni suoi uomini persero la vita: 22 caschi blu lasciarono le loro giovani vite in quell’amara e insanguinata terra d’Africa, che non era la loro patria, in una guerra, che non era la loro guerra, e, insieme a loro, tre osservatori militari, un membro civile della polizia in collaborazione con l’ONU e un interprete. Immagino i loro spiriti aggirarsi, oggi, tra gli stessi spettacoli terribili, affiancare gl’innocenti in fuga in Congo e tentare di farsi scudo davanti a loro; immagino anche che essi abbiano nostalgia dei loro corpi mortali, nel sostare accanto ai corpi della gente ammazzata, soltanto perché non possono accompagnare la preghiera al sollievo e al calore delle lacrime (che sono ancora e sempre la trasparenza vera delle anime…).

Quella del genocidio ruandese fu una pagina-epigrafe per la giustizia (che parve estinta del tutto), perché sia mandanti che esecutori dei genocidi trovarono scampo, in gran numero, negli Stati confinanti (vedi l’allora Zaire -oggi Repubblica Democratica del Congo- e Burundi) che, infettati dagli stessi malesseri razziali, hanno pagato (e ancora pagano) un ‘fio’ terribile (per aver nutrito la serpe in seno): vedi la prima e la seconda guerra del Congo (1996/1997- 1998/2005), la guerra civile del Burundi (1993/2005) e i terribili accadimenti odierni in Congo. Quei tempi bui resteranno a vergogna di singoli e di collettività consapevoli e inconsapevoli, anche perché, a più di dieci anni, i criminali autori delle stragi non sono stati chiamati a rispondere di ciò che hanno commesso. Ancora una volta l’Occidente non sa come risalire la china della vergogna, perché continua a precipitare senza mai toccare il fondo: alcuni di quei criminali sono ospitati e protetti da qualche paese occidentale (uno di questi -indovinate un po’?- è la Gran Bretagna, che camuffa la sua mala fede con la ‘scusa’ ben nota di mancanza di trattati di estradizione con il Rwanda e che deve avere motivi nascosti sicuramente non imparentati con i diritti umani e con i valori ad essi legati).

L’ONU, purtroppo, così com’è, può portare avanti la sua funzione (disarmament/ peacemaking/ peace-building/ peacekeeping) soltanto a livello strategico e diplomatico, ma non potrà mai realizzare i fini nobili che si prefigge (justice/ human rights/ international law); sarà sempre e soltanto in condizione di prevenire nient’altro che scaramucce senza importanza, perché, di fronte al divampare di conflitti veri (e di stragi in cui il sangue scorre a fiumi e le vite umane vengono mietute come grano maturo e annientate come falene falcidiate) si trova a dover subire e tacere (e a fare la figura dello scarafaggio o della tartaruga caduti sul dorso). Un'Onu che, di fronte a popoli meno evoluti e bellicosi (con i quali soltanto la forza è efficace) deve bendarsi gli occhi e farsi i fatti suoi (come gli omertosi di fronte alle mafie più efferate e temute) è causa persa in partenza. La pace è un bene prezioso (il solo che permetta alla vita di fiorire e di elevarsi, nel benessere –sperabilmente equo– fino ad apprezzare la bellezza fatta arte multiforme) ed è, purtroppo, anche un bene raro: come si può pretendere di difenderlo (dai criminali privi di etica di sorta) senza fare nulla e soltanto (ove possibile) a parole (o tacendo e stando a guardare)? La pace, proprio perché è così preziosa, va difesa (specialmente là dove vige la legge della violenza e del mors tua vita mea) e va difesa da forze internazionali soltanto, senza ‘guida’ di Stati particolari, che possano suscitare nelle nazioni ospitanti la sensazione di ‘invasione’. Occorre un'ONU che sia ‘forza’ internazionale e non ‘debolezza’ internazionale (ma che sia anche sganciata da influenze-interessi-nazionalismi): perché essere presenti in una terra martoriata se si può soltanto assistere alla sistematica mortificazione di tutti i diritti umani esistenti (ivi inclusi quelli a respirare, ad esistere e a sopravvivere)? Che significato hanno dei ‘militari’ che agli occhi della gente delle nazioni ospitanti sembrano tutti uguali/ che differenza fa che appartengano a varie nazioni e non a una soltanto, se tutti indossano la stessa divisa e lo stesso atteggiamento di ‘non interferenza’ che, di fronte a prevaricazioni orrende (non impedite), diviene ‘connivenza’? Io credo che quei meravigliosi giovani bene addestrati meritino di non dover ‘subire’ la vista di spettacoli indicibili e indecenti senza avere voce in capitolo e senza poter muovere un muscolo o intervenire efficacemente; credo che meritino di poter cambiare le piccole e grandi cose che possano fare la differenza tra la loro presenza e la loro assenza nelle terre ospitanti. I caschi blu (siano essi singole unità/ gruppi o interi plotoni), allo stato presente dei fatti, quando assistono a violenze sulle donne o su qualunque parte dell’umanità, devono fare finta di non essere dove sono e di non vedere (per obbedire a ordini di non interferenza con le faccende ‘locali’); come non domandarsi: “Perché ce li mandano, allora?” Sono sicura che i giovani siano orgogliosi di indossare quel casco e quella divisa (per gli ideali belli di cui si fanno stendardo) e che rendano loro merito, facendosi vento di interventi benefici e di crescita, in tempi di pace, ma sono altrettanto sicura che, in molte circostanze, di fronte a luoghi dove Dio sembra assente e il demonio incistato nelle manifestazioni umane, soffrano terribilmente di non poter fare il dovere che è un must per qualsiasi soldato. Il Darfur è un altro dei luoghi-prova lampante dell’inadeguatezza dell’ONU attuale. Una forza internazionale, cioè l’ONU, occorre come il pane al mondo, ma deve essere ‘rinnovata’ nelle ‘posizioni’ essenziali del suo rapporto con i popoli da salvare (prima e al di sopra di tutto) anche ‘fisicamente’ (quando vengono trucidati), ma di questo argomento parlerò in altra sede (tutta all’ONU dedicata).

 

 

Conclusione-APPELLO

 

Gli argomenti trattati in questo articolo sono difficili da comprendere e molto più difficili da accettare. Sono sicura di una cosa, però: nessuno dei lettori (uno su uno/ dieci su dieci di essi) approverà la violenza e il genocidio. Forte di questa consapevolezza, mi accingo a scrivere la presente breve conclusione. Questo è un periodo in cui la gente si appresta a ‘programmare’ l’acquisto dei regali natalizi; a coloro che pensano di regalare (ai loro figli o ad altre persone) dei cellulari, vorrei chiedere un grosso favore: “Regalate telefoni di generazioni meno recenti, che hanno ottime prestazioni all the same e che non conoscono ancora l’uso dell’insanguinato coltan. Comprate articoli di alta tecnologia che abbiano buone prestazioni e che non siano delle ultime generazioni”. So che cosa sto chiedendo alla gente… Una richiesta di questo tipo può sembrare cosa di poco conto a chi la legga superficialmente e, soprattutto, a chi non abbia figli appartenenti alle varie fasi dell’età evolutiva. ‘Quelli’ (cioè coloro che hanno detti figli), se dovessero decidere di accettare questo appello, si troveranno, di colpo, mutati in tanti Don Chisciotte (se non in Sancio Panza o addirittura in Ronzinante), perché avranno di fronte apparentemente dei ragazzini-adolescenti-giovani e basta, ma, in realtà, dovranno combattere tutte le forze invincibili (?) che stanno dietro le richieste dei loro figli e vi assicuro che non sono né poche né trascurabili. Tutte le ditte produttrici e gli esperti del marketing accanito (fatto di gente che sa che cosa fa e di ‘fior fiori’ di psicologi bene edotti sull’inconscio infantile-adolescenziale-giovanile e su tutte le sue implicazioni anche oniriche) uniranno le loro forze, per ‘sconfiggere’ il genitore coraggioso di turno (che voglia dissociarsi da ciò che avviene in Congo e insegnare al proprio figlio ‘una qualche lezione’) e, per quanto strano possa sembrare, sarà come se tutti quegli esperti fossero proprio lì, nella sua casa, a sorridere al ragazzo in questione, a incoraggiarlo e dargli ‘voce in capitolo’ e, soprattutto, a dare torto al genitore, deridendolo e facendolo sentire inadeguato-superato-barbagianni e fuori contesto.

So, perciò, alla luce di tutto questo, che cosa sto chiedendo (a chi si appresti a regalare articoli tecnologici ai propri figli), invitandoli allo ‘sciopero’-‘astinenza’ dal coltan… Non mi faccio molte illusioni, in ogni caso, ma conto sui lettori di Tellusfolio (che appartengono a una cerchia di gente abituata a usare le proprie meningi e a non lasciarle arrugginire sotto il flusso di un’inerzia indotta e subdola alla pari dell’ipnosi) e… sulle sorprese buone che le nuove generazioni hanno in serbo (per fortuna e il più delle volte) per i più vecchi (un po’ scoraggiati).

I giovani hanno il dono della sensibilità e sanno, a volte, captare l’essenza delle cose: a loro volgo la mente (e un anelito di speranza grande quanto il Congo tutto/ tutta l’Africa/ tutta l’Italia/ tutto il mondo/ tutti i Natali/ tutte le Epifanie/ tutti i Carnevali/ tutti i San Valentino/ tutte le feste della mamma e del papà/ tutte le feste del mondo/ tutto l’universo…). Ci sono, però, anche ‘giovinezze’ avulse da ‘tacche’-età: ai ‘giovani’ da zero a cento anni auguro, anche se con molto anticipo, buon Natale e… natali- alba imminenti di ere più giuste (e più ‘eque’).

 

 

Gli argomenti trattati in questo articolo possono essere approfonditi nella relativa bibliografia. Ecco quella internazionale:

Barnett Michael, Eyewitness to a Genocide: The United Nations and Rwanda, ed. Cornell University Press, 2002

Dallaire Roméo, Power Samantha, Shake Hands with the Devil: The Failure of Humanity in Rwanda, ed. Carroll & Graf, 2004

Des Forges Liebhafsky Alison, Des Forges Alison, Leave None to Tell the Story: Genocide in Rwanda, ed. Human Rights Watch, 1999

Gourevitch Philip , Desideriamo informarla che domani verremo uccisi con le nostre famiglie, ed. Einaudi, 2000, (inchiesta)

Hatzfeld Jean, A colpi di machete. La parola agli esecutori del genocidio in Ruanda, ed. Bompiani, 2004, (inchiesta)

Hilibagiza Immaculee, Left to Tell: Discovering God Amidst the Rwandan Holocaust, ed. Hay House, 2007

Hilibagiza Immaculée, Viva per raccontare, Ed. Corbaccio, ottobre 2007

Jansen Hanna, Ti seguirò oltre mille colline. Un'infanzia africana, ed. TEA, 2005, (testimonianza)

Keitetsi China, Una bambina soldato, Ed. Marsilio, 2008, 

Khan Shaharyan M., Robinson Mary, The Shallow Graves of Rwanda, ed. I. B. Tauris, 2001

Kuperman Alan J., The Limits of Humanitarian Intervention: Genocide in Rwanda, ed. Brookings Institution Press, 2001

Melvern Linda, Conspiracy to Murder: The Rwanda Genocide and the International Community, ed. Verso, 2004

Melvern Linda, A People Betrayed: The Role of the West in Rwanda's Genocide , ed. Zed Books, 2000

Mukagasana Yolande, La morte non mi ha voluta, ed. la Meridiana, 1998, (testimonianza)

Prunier Gérard, The Rwanda Crisis. History of a genocide, ed. Columbia University Press, 1997

Rittner Carol, Roth John K., Whitworth Wendy, Genocide in Rwanda: Complicity of the Churches?, ed. Paragon House, 2004

Sibomana André, J'accuse per il Rwanda. Ultima intervista a un testimone scomodo, ed. EGA, 2004, (testimonianza)

Tadjo Véronique, L'ombra di Imana, ed. Ilisso, 2005

Wallis Andrew, Silent Accomplice: The Untold Story of France's Role in the Rwandan Genocide, ed. I. B. Tauris, 2007

 

Ecco la bibliografia nazionale:

Costa Pierantonio e Scalettari Luciano, La lista del console: cento giorni un milione di morti, ed. Paoline, 2004, (testimonianza)

D'Angelo Augusto, Il sangue del Ruanda. Processo per genocidio al vescovo Misago, ed. EMI, 2001, (testimonianza)

Fusaschi Michela, Hutu-Tutsi. Alle radici del genocidio rwandese, ed. Bollati Boringhieri, 2000, (saggio)

Scaglione Daniele, Istruzioni per un genocidio. Rwanda: cronache di un massacro evitabile, ed. EGA, 2003, (saggio)

Sormani Paolo, Non si sa mai perché si torna, ed. Colibrì, 2001

Trevisani Ivana, Lo sguardo oltre le mille colline, ed. Baldini Castoldi Dalai, 2004, (testimonianza)

 

Ed ecco i film correlati:

Accadde in aprile, film di Raoul Peck con Idris Elba e Debra Winger. Produzione USA / FRANCIA / RUANDA 2005

100 Days, film di Nick Hughes. Produzione Regno Unito / Ruanda 2001

Frontline: Ghosts of Rwanda, documentario. Produzione 2004

Hotel Rwanda, Un film di Terry George. Con Don Cheadle, Sophie Okonedo, Nick Nolte, Joaquin Phoenix, Roberto Citran. Genere Drammatico, colore, 121 minuti. Produzione Canada, Gran Bretagna, Italia, Sudafrica 2004

Rwanda: Living Forgiveness, cortometraggio. Produzione 2005

Shooting Dogs, film di Michael Caton-Jones. Produzione Regno Unito / Germania 2005

The Diary of Immaculee, cortometraggio documentario di Peter LeDonne. Produzione USA 2006


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