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Silvano Martini. Tre tempi per un cielo/ 1. 
Frammenti di un discorso sull’arte
Gino Bogoni
Gino Bogoni 
25 Gennaio 2017
 

La voce di Silvano Martini giunge al lettore attraverso un’insolita cura, che impone di traversare i testi come un’opera organica. Non ci si muove agevolmente in queste sequenze testuali, prive di una frontiera collocabile, di un rintracciabile centro. Sequenza che mettono in guardia contro le esche del “bello” e del “sacro”: seduzioni che fanno abboccare non il concetto ma il facile entusiasmo. Sequenze testuali non misurabili e che lasciano cadere ogni strumento di misura. Perché a Martini non interessa comunicarci la distanza del confine con l’infinito, ma farci sapere che l’infinito c’è ed è insensato: un oltre abisso, un cielo dove tutto può precipitare. 

Flavio Ermini

 

 

Tra le finzioni uscite dal desiderio dell’uomo, la scultura rimane la meno distaccata dalla sua natura. La scultura è uno spazio reale dentro uno spazio reale. A differenza delle altre finzioni, dello spazio concreto ha tutte le dimensioni. Andare verso la scultura vuol dire semplicemente mettersi in contatto con un corpo portatore di sensazioni. Conoscere una parte di quella infinità di sensazioni che compongono la nostra esperienza. Forse sentiamo la scultura più vicina a noi perché possiede al massimo grado la connotazione della visibilità. La scultura ci riporta al peso del nostro corpo, alla tattilità, al respiro. È sempre un oggetto dove le pulsioni sono verificabili direttamente. Una struttura trasparente che ci mostra gli organi che ci sorreggono. Ci sta di fronte e la possiamo aggirare. E da ogni punto di osservazione possiamo ricavare altre idee di quel corpo simbolico e altre espressioni sempre mutevoli. Siamo all’interno del colore, della forza e della vastità di una corrente marina. E ne possiamo abbracciare tutti i caratteri identificanti.

Il nostro tempo corre convulsamente verso una progettazione non vigilata dal controllo e dall’ordine. Sembra voler far planare l’essere sulla piattaforma del nulla. Già il progressivo nullificarsi dell’essere nella prosecuzione del suo viaggio nell’esistenza è un dato di per sé limitante. Un freno all’entusiasmo. Un taglio netto alla cima dell’albero dell’arroganza. Il tempo precarietà indisturbata e realizzazione della propria fine, è a sua volta ora minacciato dall’uomo.

Il tempo come storia può subire improvvisamente un arresto per l’intervento della nostra Volontà. L’uomo, continuando a distruggere, può diventare il regista cosciente del proprio annientamento. Il discorso di ciascuno di noi, e naturalmente anche dell’artista, s’accentua sempre più nello spazio di sublimi cellette. La singolarità svincolata dal rapporto con le altre singolarità umane diventa un io sminuito, anche se talvolta appare sontuoso. Ogni postazione sembra confinare con l’inesistente. Si liberano luci dentro una notte che non conosce alterazioni.

L’uomo ode solo le parole che dice.

 

 

 

Silvano Martini, Tre tempi per un cielo

Frammenti di un discorso sull’arte

Anterem Edizioni, 1995, pp. 88

 

1 – segue


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