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“Sono un demonio che scrive ciò che sente” 
Yoani Sánchez intervista Wendy Guerra per 14ymedio
11 Dicembre 2014
 

Intervista di 14ymedio

a cura di Yoani Sánchez

 

Imbarcazioni che si incrociano nella notte e comunicano al loro passaggio, solo un cenno e una voce distante nell’oscurità, così, nell’oceano della vita ci incrociamo e comunichiamo, solo uno sguardo, una voce e poi l’oscurità e un silenzio.

Henry Wadsworth Longfellow

 

 

Tra tre giorni (oggi, per chi legge qui, ndr) compirò 44 anni e tra cinque verrà finalmente presentato all’Avana il film Todos se van, diretto da Sergio Cabrera, basato sul mio primo romanzo omonimo. Nel bel mezzo di tutti questi avvenimenti, Yoani mi scrive per farmi un cortese invito: in un paese in cui nessuno parla di me sulla stampa o in televisione, è lei con il suo giornale 14ymedio a decidere di fare il gran passo e chiedere di me da una parte all’altra del Malecón dell’Avana.

Io e Yoani viviamo nella stessa città, ma ci vediamo solo da lontano, e, come imbarcazioni che si incrociano nella notte ci mandiamo segnali di fumo e parole. Strizzatine d’occhio, disegni e un certo mistero di velato silenzio ci avvolgono dal muro di acqua e sale. Invito i miei lettori di Habáname a leggere la sua splendida intervista e a navigare in questa pubblicazione nata all’Avana.

Mille grazie a lei e ai suoi collaboratori per essere stati i primi a intervistarmi nella mia terra.

 

Qui per leggere l'intervista (di seguito la nostra traduzione, ndr).

 

Wendy Guerra

(Habáname, 8 dicembre 2014)

 

 

 

Sono un demonio che scrive ciò che sente”

Intervista alla scrittrice Wendy Guerra

 

Wendy Guerra è una rara avis in un paese in cui tutti sono alla ricerca di aggettivi definitivi e descrizioni estreme. Attrice, scrittrice, blogger e dell’Avana fino al midollo, riesce sempre a distinguersi. Sullo schermo televisivo, ce la ricorderemo; nelle pagine di un libro, la sua scrittura ci toccherà per sempre.

Oggi parliamo della sua opera letteraria e di quella ossessione tematica e vitale che Cuba ha rappresentato per lei.

 

Domanda. Il libro Posar desnuda en La Habana sorprende il lettore per la simbiosi perfetta tra la voce di Anaïs Nin e la tua. Qual è il processo creativo che permette di raggiungere questo effetto?

Risposta. Innanzitutto, ti ringrazio per aver iniziato questo scambio con una domanda di natura letteraria.

Sta tutto nel linguaggio. Ognuna delle fragranze che questo libro emana è poderosamente guidata dalla sua voce ed è proprio l’uso dei suoi modi di dire, del tratto discorsivo dell’autrice, che lo fanno traspirare e irrobustire. Ho trascorso dodici lunghi anni a studiare le fibre cubane di Anaïs Nin. Ho ottenuto diverse borse di studio in Francia e negli Stati Uniti per cercare indizi dell’impronta cubana della scrittrice. È stato il reparto delle Special Collections di UCLA a darmi l’opportunità di leggere i suoi diari senza censure e di esaminare minuziosamente le origini insulari di Anaïs.

Gli accenti persi e recuperati, i dolori endemici, il suo matrimonio a la Finca La Generala, la sua relazione con la sacarocracía (“saccarocrazia”... aristocrazia dello zucchero, ndt) cubana, il suo profondo sradicamento e il suo modo discolo di cavalcare insieme al padre, il pianista cubano Joaquín Nin Castellanos. La relazione con il fratello, il compositore e interprete Joaquín Nin Cullmell. Sua madre, la cantante lirica cubana Rosa Culmell, il duro esilio che la portò dal lusso alla povertà, dal dolore all’euforia…, tutto questo si è rivelato il clima perfetto per affrontare la scrittura di Posar desnuda en La Habana. Ciò che è venuto dopo è stato profondo rispetto nel completare le sue parole con le mie.

Ricordiamo che il Diario Cubano ha davvero poche pagine e il mio delirio è sempre stato quello di scrivere un apocrifo; congetture letterarie su ciò che potesse essere accaduto allora.

Padre-Cuba-Diario per entrambe sono stati, sono e saranno un tema tanto intimo quanto universale.

D. A quale nuovo progetto letterario stai lavorando ora?

R. Sto scrivendo un romanzo sulla paura. La sensazione di persecuzione che in molti abbiamo a Cuba, il panico che ci registrino le conversazioni, di essere osservati, perquisiti, inseguiti. Questa psicosi viaggia con noi. La espía del Arte (titolo del lavoro) avrà approssimativamente 100 pagine. Un pezzo breve carico di nevrosi e senso dell’umorismo, lo spettacolo umano-cubano allo scoperto, ciò che di noi è rimasto dopo la lunga osservazione, l’esibizione forzata.

Alcuni dei miei amici in esilio pensano che io sia la spia dell’arte cubana e che quando rientro a Cuba tramandi i loro segreti, consegnandoli tra rapporti o delazioni. A Cuba, invece, pensano che nasconda qualcosa, che trami qualcosa; sospettano di queste lunghe visite all’estero e credono che io sia la capobanda di qualcosa o la punta di lancia di qualcuno. Chi sono? Un demonio che scrive ciò che sente, confida nelle sue impressioni, riesce a tradurle e in questo risiede il suo pericolo. Scrivere o dire ciò che si pensa non va di moda.

 

Non è forse questo la letteratura, aprire ognuna delle porte sigillate per trovare la propria?”

L’altro progetto alle porte è uno studio su Ana Mendieta. Ana è stata la mia ispirazione letteraria e personale, ora incomincia il mio cammino verso il suo mistero. Sarà lungo, spenderò tutti i miei risparmi per trovarla, ma… non è forse questo la letteratura, aprire ognuna delle porte sigillate per trovare la propria?

D. In molti ti ricordiamo per le tue interpretazioni in varie serie e programmi televisivi. Dobbiamo rassegnarci a non vedere più questa tua espressione artistica?

R. Vicente Revuelta è stata la persona che ha messo in luce tutte le mie attitudini. Senza di lui non si sarebbe mai vista la mia capacità all’interpretazione che, per di più, considero limitata. Ogni cosa che ho fatto in televisione derivava da un percorso che lui ormai aveva tracciato come un tatuaggio nel mio intelletto. Quel ciclo è stato molto importante perché, per me, scrivere significa interpretare e grazie a questo esperimento rispetto il carattere e il senso dell’interpretazione… ma, no, non mi sentivo felice come attrice, è nella letteratura, dove studiare e crescere mi rende migliore, mi libera e mi definisce.

Vicente sapeva che Andrea Sarti (Galileo Galilei) poteva ripetere i testi e dilatarli. Io sono stata quell’attrice che metteva in discussione dall’interno ognuno dei monologhi e delle definizioni drammaturgiche. Io sono stata l’attrice che riuscì a scrivere e dettare il suo stesso personaggio.

Non a tutti i cubani è stato possibile essere persone, la maggior parte di noi si è trasformata in personaggio per guadagnarsi questa lunga corsa alla resistenza.

D. Dal punto di vista editoriale hai vissuto degli estremi. Da riconoscimenti come il premio della Editorial Bruguera e il premio Carbet des Lycéens 2009, alla scarsa attenzione alla tua opera da parte degli editori cubani. Cosa credi che ti manchi provare?

R. Voglio pubblicare a Cuba tutto ciò che è stato tradotto o pubblicato fuori dall’isola. Voglio portare la migliore letteratura della mia generazione nella mia patria, i cubani sono lettori eccellenti e meritano di poter attualizzare e alimentare questa loro brama di lettura. Voglio continuare con tutti i miei editori e che Cuba mi accompagni in questo processo. Voglio che mi accada ciò che sta accadendo a Leonardo Padura. Ogni volta che un suo libro esce in Francia o in Spagna, immediatamente il lettore cubano ha l’opportunità di leggerlo nella sua terra. I premi sono il mezzo per farti conoscere al mondo, essere pubblicato nella tua patria è il modo per affrontare la natura di ciò che fai e sei.

D. Hai avuto un incidente di censura al “Festival Santa Cruz de las Letras de Bolivia”. È stata una sorpresa o avevi previsto qualcosa?

R. Potrebbe sembrare una situazione distante ma tutto è così familiare per noi che possiamo perfino canticchiarlo come una canzone russa che parla della neve su una spiaggia cubana. Immagino che in questo momento quelli che hanno impedito la mia presentazione avranno motivo di discutere e accettare la censura, o di stare in silenzio e abbassare la testa. Lo strano è pensare che qualcosa detta in pubblico da una donna come me possa sbilanciare o danneggiare un sistema come questo… è così fragile?

 

“Lo strano è pensare che qualcosa detta in pubblico da una donna come me possa sbilanciare o danneggiare un sistema come questo… è così fragile?”

D. Il titolo di uno dei tuoi romanzi è molto rivelatore della situazione cubana. Todos se van, dice la copertina, e molti di noi si domandano: perché Wendy Guerra non se ne va da questo paese?

R. Quando ho visto la versione cinematografica di questo romanzo, diretta dal regista colombiano Sergio Cabrera, ho capito che questa non era una loro storia. È una storia di finzione che mi è sfuggita di mano e appartiene interamente alle persone che, come me, hanno patito lo Stato come un carnefice-intruso insediato al centro della relazione affettiva con ciò che di più sacro c’è: la famiglia. Il romanzo parla delle diserzioni dell’anima, non si tratta solo dello straziante esodo geografico, stiamo parlando della fuga degli affetti in nome di un ordine o di una responsabilità politica.

Io non voglio andare a restaurare uno spazio straniero del quale non mi sento parte. Nel mio caso specifico, desidero sentire che ognuna delle mie idee, incavolature o battaglie andranno a nutrire il restauro affettivo e umano di bambine come me, che siamo maturate senza riuscire a spiegarci perché siamo state abbandonate in cambio di una castrante e falsa felicità collettiva. Quel luogo in cui l’essere umano smette di avere importanza per trasformarsi in cifre.

Se non me ne sono andata è perché penso che le ferite, prima di essere curate, debbano essere chiamate per nome, riconosciute nello scenario del dolore. Un giorno, quando tutti torneranno, io me ne andrò in un paese all’altro lato del mondo a imparare a scrivere diari a distanza.

 

Yoani Sánchez

(da 14ymedio, 8 dicembre 2014)

Traduzioni di Silvia Bertoli


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