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Beatrice Lamwaka. Pentole vuote 
La marcia delle donne in Uganda
22 Maggio 2011
 

Kampala, Uganda Rita Achiro, direttrice esecutiva dell’Uganda Women’s Network, dice che la marcia di protesta di centinaia di donne della scorsa settimana non mirava a minacciare il governo: era la richiesta pacifica allo stesso di essere responsabile. «È per questo che vestiamo di bianco», ha spiegato il suo gruppo in un comunicato stampa, «perché il bianco è il colore della pace». Le donne hanno consegnato il comunicato a Margaret Sekaggya, un’avvocata ugandese che è attualmente la speciale inviata delle Nazioni Unite per i difensori dei diritti umani e che ha promesso di portare il documento alla Commissione NU per i diritti umani a Ginevra.

Durante la manifestazione, le donne hanno chiesto giustizia e pace e protestato per gli aumenti dei prezzi del cibo e del carburante, e per la brutalità mostrata di recente dalla polizia ed altre forze di sicurezza. Indossando appunto il bianco della pace, hanno battuto su pentole vuote con bastoncini o cucchiai di legno mentre entravano a Kampala, la capitale dell’Uganda. «La pentola vuota dice che le donne non hanno cibo», commenta Ruth Odhiambo, direttrice esecutiva del Centro di scambio interculturale di Isis-Women’s International. Il costo del granoturco, un alimento di base in Uganda, è aumentato del 114% durante l’ultimo anno. Le dimostranti hanno anche condannato l’eccessivo uso di forza impiegato nel disperdere le persone che protestano a causa dell’inflazione.

Sui loro cartelli si leggeva: “Per un paese senza pane le pallottole non possono essere cibo”, “Smettete di sparare ai nostri bambini”, “Le donne ugandesi vogliono la pace”, “Rispettate i corpi delle donne durante gli arresti”.

La violenza è cresciuta in modo esponenziale, qui, sin dalla metà di aprile quando la gente dell’Uganda ha cominciato a protestare per la situazione economica, incoraggiati dal gruppo Attivisti per il cambiamento. Le azioni organizzate si chiamavano “Cammina per andare al lavoro”. Le forze governative hanno ucciso 10 persone durante queste proteste, secondo i dati forniti da Human Rights Watch, e la polizia ammette che più di 100 persone sono rimaste ferite, mentre 600 sono state arrestate in tutto il paese. Un’attivista della marcia delle donne, il cui nome non è fornito per ragioni di sicurezza, spiega che non c’è nessuno a cui chiedere aiuto: «Abbiamo parlato al governo per dire che le donne ugandesi sono stanche del gas lacrimogeno e della violenza, e che abbiamo paura della polizia: non possiamo affidarci alla polizia quando abbiamo bisogno di aiuto».

Il capo della polizia ugandese, Kale Kayihura, è apparso in televisione per annunciare che la polizia sta rispondendo alla richiesta del Parlamento di usare minor brutalità contro i dimostranti. Il presidente Yoweri Museveni ha invece continuato a ripetere che nessuna protesta rovescerà il suo governo, al potere dal 1986, un governo che secondo i difensori dei diritti umani dovrebbe aprire un’inchiesta sul comportamento delle forze dell’ordine. Nel mezzo del lievitare dei prezzi, le spese del governo hanno attratto attenzione: le spese per le campagne elettorali in Uganda non sono registrate ufficialmente ma Andrew Mwenda, editore del settimanale The Indipendent, stima che il partito di governo abbia speso circa 350 milioni di dollari (in buona parte fondi statali) per assicurarsi il seggio presidenziale nelle elezioni dello scorso febbraio. Nel frattempo, secondo i dati dell’Unicef, più della metà della popolazione ugandese vive sotto la soglia di povertà di un dollaro e venticinque centesimi al giorno. Le aderenti alla Federazione internazionale delle avvocate stanno nel frattempo ricordando al governo che esiste una Costituzione: «Lo stato ha l’obbligo di rispettare, promuovere, proteggere e soddisfare i diritti dei suoi cittadini, come sta scritto sulla Costituzione del 1995 e su altri trattati regionali ed internazionali di cui l’Uganda è firmatario».

Prima della marcia delle pentole vuote, la polizia ha ripetutamente avvisato le dimostranti di non fare dichiarazioni politiche. Una di esse, Jessica Nkuuhe, commenta: «Ma il cibo che vogliamo mettere sulla tavola è politica. Il gas lacrimogeno, i prezzi del carburante: sono tutte dichiarazioni politiche».

 

Beatrice Lamwaka

(per Global Press Institute, 18/05/2011)

Trad. e adattamento Maria G. Di Rienzo

(da Lunanuvola's Blog, 20 maggio 2011)


 
 
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