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Donatella Poretti. Pietro Milio, un galantuomo liberale
21 Giugno 2010
 

Pietro -o Piero lo chiamavano tutti- era un signore d'altri tempi, un galantuomo siciliano la cui professione di avvocato, di garantista e di rispetto della legge aveva caratterizzato tutta la sua vita.

Si candidò con i Radicali in un collegio uninominale nella sua terra e grazie alla mancata presentazione della candidatura del centrodestra vinse le elezioni, per la legislatura 1996-2001 fu l'unico rappresentante in Senato per la Lista Pannella. Non aveva una storia di militanza radicale, ma per quella legislatura fu radicale a tutto tondo e da liberale qual era non fece mancare il suo apporto in Parlamento. Le battaglie garantiste e per la giustizia giusta erano quelle a lui più vicine, essere l'avvocato di Bruno Contrada non era solo una faccenda professionale, c'era di più e quando ne parlava la passione superava il rapporto cliente-avvocato. La terra di Sciascia, quella dell'antimafia e quella dei corleonesi e dei palermitani era la sua terra, era il sangue che scorreva nelle vene dell'avvocato galantuomo.

Ci conoscemmo casualmente ad un incontro pubblico, io ero una novellina tra i militanti radicali e con questo spirito collaboravo con Radio Radicale. Qualche giorno prima su un quotidiano fiorentino era stata pubblicata una lettera di un internato dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino che denunciava violenze e condizioni di vita inaccettabili. Gli accennai e gli chiesi se era interessato ad approfondire, subito disse di sì. Mi lessi la legge e il regolamento penitenziario sulle visite ispettive dei parlamentari nelle carceri, ne avevo sentito parlare ma non ero mai entrata in carcere e neanche lui aveva mai oltrepassato la sala colloqui dove erano detenuti alcuni dei suoi assistiti.

La mattina alle 8 eravamo davanti ad un cancello enorme, da un enorme muro di cinta sbucava dalla nebbia una villa medicea, entrammo nel primo manicomio criminale. Nessuno dei due conosceva l'esistenza, pensavamo che la legge Basaglia avesse posto fine all'istituzionalizzazione dei matti, invece scoprimmo un mondo. Sei strutture per mille-millecinquecento internati, ancora i letti di contenzione, nessuna cura, la fatiscenza dei luoghi e la mancanza di prospettiva. Uomini trattati come avanzi di una società che non li reclama. Ci appassionammo, li visitammo tutti e da Reggio Emilia a Castiglione delle Stiviere, da Aversa a Napoli, da Barcellona Pozzo di Gotto fino a Montelupo trovammo malati che invece che da medici e infermieri erano in cura presso gli agenti penitenziari. Un viaggio che trovava la sorpresa dei direttori e di quel piccolo mondo che non riceveva visite dall'esterno. Milio era un avvocato e un penalista, ne discutemmo a lungo durante i viaggi che ci portarono anche in altre carceri “normali”. Io ero sicuramente più scatenata e non trovavo riformabile l'istituto Opg: era solo da chiudere, uno scandalo. Piero era più moderato e meno irruento di me, mi ascoltò e concordò nella necessità di rivedere il tutto. Mise in piedi un gruppo di lavoro di criminologi, psichiatri e giuristi e scrisse un buon disegno di legge. Una proposta praticabile che poneva l'accento sull'aspetto sanitario di quelle strutture. In Parlamento sull'argomento ne sono stati depositati solo due: il suo e uno scritto dalle Regioni Toscana, Emilia Romagna e altre. Inoltre una proposta di Franco Corleone che poneva fine alla non imputabilità e che quindi nei fatti eliminava il possibile ricorso agli Opg. Da allora nessun altro ha più scritto una proposta di legge sulla materia.

Ogni volta che uscivamo dai luoghi disastrati delle carceri e dei manicomi criminali, riusciva a trovare lo spazio per riportare alla sua famiglia un pensiero tipico del luogo, non faceva mai mancare anche a me un pensiero. Era sempre proiettato per prestare attenzione agli altri, non sono mai riuscita a cogliere in lui un secondo fine per un suo interessamento, non ha mai strumentalizzato niente e nessuno. Era generoso e con questo spirito si faceva seguire da me e mi seguiva anche nelle mie strampalate idee di parlare uno ad uno con gli internati...

Finita la legislatura, ci allontanammo, abitavamo lontani ma una telefonata di tanto in tanto ci riavvicinava. Non comprese la Rosa nel Pugno e l'alleanza con il centrosinistra, anzi non sopportava i “comunisti”! Ma siccome era un liberale galantuomo, non era a suo agio neppure con questo centrodestra... Ci siamo rivisti in Senato, incredibilmente ero io la senatrice, ma a lui dovevo tanta esperienza, tante chiacchierate, tanti chilometri in giro per l'Italia. E anche se ci eravamo persi di vista quando potevo lo ricordavo e così era avvenuto alla presentazione di un libro di un direttore penitenziario, il giorno dopo l'avevo incontrato e avevamo riso di quel ricordo. Sono passate un paio di settimane sono tornata all'Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, il cappellano me ne ha parlato e pochi giorni dopo Piero ci ha lasciato.

Il suo cuore così grande non ha retto. Viveva tra i radicali sapendo di non esserlo, o almeno lui così pensava, lui era un liberale. Ma quell'andare alla radice, quel cercare la soluzione senza nascondersi dietro ai paraventi di ideologie o pagine scritte da altri era il suo modo di essere Radicale.

 

Donatella Poretti


 
 
 
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