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Alberto Figliolia. Carlo Galetti, lo scoiattolo dei Navigli
16 Gennaio 2017
 

Polvere e fango. Solleone e pioggia. Correre al buio, nella nebbia, fra intemperie e fame e sete. Questo era il ciclismo dei pionieri: epico, romantico, fatica e gloria.

Carlo Galetti (Galletti per l'anagrafe) fu uno dei suoi più appassionati e appassionanti pionieri. Lo scoiattolo dei Navigli lo chiamavano. Difatti era nato a Corsico, tagliata in due dal Naviglio Grande, con le verdi acque dirette verso l'antico e poetico porto di Milano, ossia la Darsena. Il Carlo tracciò un'autentica epopea in quegli anni eroici della bicicletta arrivando secondo dietro Luigi Ganna nella prima edizione del Giro d'Italia (1909) e vincendo poi la seconda e la terza a livello individuale e la quarta corsa con la formula a squadre (Atala).

Il Galetti – piccolo, forte, astuto – investì i suoi guadagni in una tipografia, dal cui stabilimento sarebbe uscito il volumetto, La vita sportiva di Carlo Galetti, a firma di Emilio Colombo, che celebrava le gesta del corridore del paese del Sud-Ovest milanese. A sua volta Emilio Colombo era un pioniere: calciatore nella U.S. Milanese prima, direttore poi della Gazzetta dello Sport e del Guerin Sportivo. Grazie alla sua prosa fiorita ed evocativa rivivono, in quel prezioso libro datato 1911, le avventurose gesta di Galetti e con lui quelle degli antagonisti, amici e rivali: Eberardo Pavesi, il breriano Avocatt in bicicletta; il possente varesino Luigi Ganna, quello che alla domanda su quale impressione avesse provato dopo il suo trionfo al Giro aveva risposto... “L’impressione più viva l'è che me brüsa tant 'l cü!”; l'astigiano Giovanni Gerbi, il celeberrimo Diavolo rosso, atleta da tregenda e dagli infiniti aneddoti.

La bicicletta conosceva la sua prima diffusione di massa, il ciclismo assumeva da subito le vesti della leggenda (ben più del calcio) e il Bel Paese veniva percorso in lungo e in largo e conosciuto anche per merito delle due ruote e dei suoi indefessi ambasciatori, neri di polvere e imperlati di sudore, scossi da brividi di freddo o bruciati dal sole, già ammantati di epos.

Galetti, il viluppo di muscoli sottili ma di acciaio, piccola maglia, carne sobria, occhi di vivacità e mani tutte nervi sui manubri... Non vi era certo bisogno della televisione per lanciare al galoppo fantasia e immaginazione.

Nel 2015 è uscito sul Galetti un esaustivo libro curato da tre “tifosi” di ciclismo, e suoi storici, ricercatori e collezionisti DOC, vale a dire Paolo Migliavacca, Lorenzo Papetti e Adelelmo Portioli. Un volume che ha il merito di ricostruire per intero la carriera del ciclista corsichese, riportando tutte le gare da lui corse e il risultando conseguito, contribuendo a ricostruire l'ambiente e il clima in cui era cresciuto il nostro eroe dei pedali e corredando il tutto con la riproduzione di una splendida serie di fotografie e documenti.

Si trascorre in tal modo dalla Corsico all'inizio del Novecento alle primissime gare, sempre di quegli anni, cui Galetti aveva partecipato (26 agosto 1882 la sua data di nascita), dalla Milano-Sanremo al Giro di Sicilia e al Giro d'Italia – la corsa per eccellenza – con tappe di oltre 400 km, distacchi abissali, ritiri di massa (nell'edizione del 1914 degli 81 corridori partiti da Milano i sopravvissuti dopo la prima tappa furono 37 e alla fine soltanto 8 avrebbero saputo concludere l'impegno agonistico). Poi, il bagno di sangue della Grande Guerra... Il ritorno alla vita e alle gare... Anche se il momento migliore era ormai passato. Tuttavia il piccolo e scaltro Galetti, fatto di acciaio sottile, agile e potente, resistente e tenace, si toglierà la soddisfazione di gareggiare ancora alla Milano-Sanremo alla veneranda, per un ciclista, età di 48 e di 49 anni: nel 1930 arriverà nella classica delle classiche prove di un giorno 51°, a 57' dal vincitore e lasciando a 1 h 17' l'ultimo, mentre nel 1931 giungerà 69° al traguardo. Tuttora il più anziano partecipante a quel vero campionato del mondo primaverile su strada che è la Milano-Sanremo. Senza calcoli di sorta, né economici né d'alcun altro genere, soltanto e semplicemente pura passione e gioia di correre.

... dopo Savona, mentre l'uragano imperversava sbattendo sui visi a folate rovesci d'acqua... rannicchiato sul telaio, tutto chiuso in costume nero, non ricoperto da impermeabile, Galetti apriva la strada ai due altri corridori. I piccoli e vivaci occhi fissi avanti; la bocca chiusa come quella di un nuotatore; il viso lucido e gocciolante, il piccolo superstite della vecchia guardia spingeva senza posa, irrigidendo i muscoli delle gambe nerborute ad ogni colpo di pedale...”, la prosa immaginifica è ancora di Emilio Colombo, l'anno è il 1915, il respiro del tutto conradiano.

 

Alberto Figliolia


 
 
 
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