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Gianfranco Cercone. “L'estate addosso” di Gabriele Muccino
18 Settembre 2016
 

Ammetto di essermi accostato all'ultimo film di Gabriele Muccino, L'estate addosso, con un pregiudizio: che cioè idealizzasse, edulcorasse, i grandi temi che affronta: la gioventù, l'amore in gioventù e la libertà sessuale.

Non posso dire che dalla visione del film quel pregiudizio sia stato completamente smentito. Però nel film c'è almeno un personaggio, un adolescente, Marco, dal cui punto di vista è raccontata l'intera vicenda; che, grazie alla finezza con cui è raccontato, al senso di verità che trasmette, è un antidoto al partito preso, ideologico, che a momenti condiziona il film.

Di cosa tratta L'estate addosso?

È il racconto di una vacanza estiva, prima a San Francisco, poi a Cuba e poi a New York, nel corso della quale un ragazzo, che ha appena concluso gli esami di maturità, scopre la cultura, i costumi libertari di San Francisco; il valore dell'amicizia; si innamora e sperimenta il dolore dell'amore respinto. È insomma quel che si dice un “viaggio di iniziazione”, nel quale Marco affronta, forse per la prima volta nella sua vita con quella intensità, certi momenti, certe esperienze capitali nella vita di ogni uomo.

Incontri per lui decisivi, sono quelli con una ragazza, sua compagna di scuola, che aveva sempre evitato durante l'anno scolastico, forse perché la trovava scostante, altera, e insomma se ne sentiva respinto, e alla quale si trova giocoforza seduto accanto durante il volo per San Francisco; e con una coppia omosessuale di ragazzi americani che ospitano i due italiani a casa loro, a San Francisco appunto, e che sono quantomai espansivi, affettuosi, tolleranti e affiatati tra loro.

È proprio nel loro caso che scatta nel film la trappola dell'ideologia. Muccino ha evidentemente voluto esprimersi a favore della libertà sessuale, li ha descritti con uno sguardo pieno di simpatia; ha raccontato, attraverso dei flashback, il dolore causato loro dall'omofobia delle famiglie e del paese di appartenenza, e cioè dell'America profonda.

Ma uno sguardo davvero spregiudicato sarebbe quello che vedesse omosessuali ed eterosessuali alla stessa stregua, nelle loro virtù e nei loro difetti, quando è il caso anche nelle loro bassezze. (E aveva forse ragione lo scrittore Gore Vidale, tra i primi a scrivere esplicitamente in America di questi temi, quando sosteneva che gli omosessuali e gli eterosessuali non esistono; omosessuali ed eterosessuali sono gli atti sessuali e non le persone; quegli atti che, nel film di Muccino, per quanto riguarda la coppia dei due uomini, non sono rappresentati).

Ma l'irrealtà di quei due personaggi, che hanno un po' un sapore alla Walt Disney, si giustifica forse con il fatto che sono visti perlopiù dall'esterno, dallo sguardo di Marco, che attraverso di loro scopre San Francisco. Ed è proprio lui e la sua compagna di viaggio che, come anticipavo, costituiscono il cuore autentico del film.

La ragazza ha una ripulsa moralistica, cattolica, nei confronti dei due ospiti, ma allo stesso tempo, con una dissociazione che risulta tipicamente italiana, simpatizza con loro e finisce per innamorarsi di uno dei due.

Ma è soprattutto Marco, con i suoi sconforti e i suoi entusiasmi, la sua tenerezza e i suoi furori, la sua confusione e le sue improvvise determinazioni, contraddittorio perché artisticamente “vivo”, a incarnare poeticamente un'estate che è allo stesso tempo felice e crudele, come spiega la canzone di Jovanotti che fa parte della colonna sonora del film.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 17 settembre 2016
»» QUI la scheda audio)


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