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Gordiano Lupi. “Così in pace come in guerra” 
Il primo libro di Guillermo Cabrera Infante
30 Ottobre 2010
 

Nel 1960, Cabrera Infante raccoglie i primi acerbi racconti scritti tra il 1949 e il 1958 mentre vive la Cuba di Batista nel volume Asì en la paz como en la guerra, edito in Italia da Mondadori nel 1963 con il titolo Così in pace come in guerra. Libro fantasma - nel senso che oggi è introvabile se non in poche copie ingiallite conservate in periferiche biblioteche - che descrive il disgusto di vivere sotto la tirannide, un disgusto che lo scrittore continuerà a provare anche dopo il 1959, fino a spingerlo all’esilio. Quattordici racconti e quindici istantanee che ci mostrano la crescita d’uno scrittore influenzato da Proust, Joyce e dai grandi della sua terra, uno scrittore in lotta contro un regime governato dal tiranno Batista che fa uccidere ragazzi per strada in una realtà politica da guerra quotidiana. Le istantanee vengono scritte alla vigilia della rivoluzione, nel febbraio del 1958, sotto la spinta emotiva della morte d’una ragazza, assassinata per strada, di notte, dagli sgherri del dittatore. Non è la prima volta che lo scrittore è costretto a vedere un ragazzo assassinato, prima era toccato al suo amico Joe Westbrook, morto a 19 anni, capelli biondi, volto ridotto a una maschera, a un calco di gesso; ma anche a “Chiqui” Hernández, titolare d’una palestra, un negro buono e forte, bastonato e assassinato dalla polizia di regime perché qualcuno aveva fatto la spia. Logico che le istantanee a suo tempo non le volesse pubblicare nessuno. Troppo pericoloso. Si prestò Carteles, ma solo un anno dopo, quando avanzava la liberazione, poi le riprodusse Lunes de Revolución, rivista diretta da Carlos Franqui.

Cabrera Infante aggiunge al volume altre tre nuove istantanee, soprattutto racconta la morte violenta di Enrique Hart, un altro amico, ma scrive nuove storie brevi per l’edizione del libro. Lo scrittore seleziona il materiale, inserisce racconti che sente ancora vicini, butta via le cose scritte prima dei vent’anni, cose sorpassate, prove d’uno stile che sta cambiando. Trovano posto racconti giovanili come “Le porte si aprono alle tre” (1949), pubblicato su Bohemia, una sorta di poesia scritta da un adolescente innamorato di niente. “E allora l’uomo dice” (1950) descrive miseria e promiscuità, un ambiente degradato dove lo scrittore è costretto a vivere una volta giunto all’Avana, cose che racconterà come romanzo di formazione ne L’Avana per un infante defunto. Ballata del mondo e del ferro (1951) è il mondo dei banditi e dei gangster ai tempi di Batista, ma è anche il racconto che gli costa la galera per attentato alla pubblica morale. A giudicarlo è un magistrato peggiore del personaggio, ma non sono tempi in cui è lecito raccontare storie con protagonisti turisti in preda a curiosità morbose. “Risacca” (1951) è un racconto profetico, lasciato senza revisione, ché al tempo l’autore era orgoglioso di aver previsto la rivoluzione e la vittoria delle classi povere sulla dittatura. Non sapeva ancora come sarebbe andata a finire. “Josefina” (1952) è un racconto sui postriboli, sul sesso a pagamento e sulla degradazione morale di certi ambienti. “Mosche e latte” (1953) racconta la vita di una ragazza di via Amargura invecchiata dietro le inferriate, attaccata alla macchina per cucire, un modo come un altro per narrare una storia di frustrazione sessuale. “Il mare” (1954) non piace più al suo autore, ma non viene cassato per merito di alcune immagini che meritano di essere lette e per la parodia a Il vecchio e il mare di Hemingway. “Buongiorno colibrì” (1955) è un falso autobiografico, come speso accade, immaginazione realistica senza mezzi termini. “Sciabole e Re Magi” (1956) è un racconto su commissione scritto per Carteles, la rivista della sua vita, dove scriveva di cinema e riceveva amiche disponibili, vero e proprio pied-à-terre letterario ed erotico. Cabrera Infante inserisce una serie di ricordi del passato, vorrebbe portare avanti un progetto che non arriverà mai in porto, questo sarebbe il primo racconto di una serie intitolata Nel patio, per narrare momenti della sua infanzia a Gibara. “Non domandarlo alle ostriche” è un racconto folcloristico basato su un personaggio reale di una ragazza vista sulla Calzada. “Aprile è il più crudele dei mesi”, “Jazz e mariguana” e “Strip-tease” sono stati scritti nella mattinata del 5 luglio 1958, ma sono profondamente diversi l’uno dall’altro. Aprile parla di suicidio, Jazz è uno scherzo fatto a un amico e Strip-tease è uno scherzo personale. Jazz, Strip-tease e le due ultime istantanee sono le sole cose nuove del libro, perché tutto il resto nel corso degli anni era già uscito su riviste. “Olofi” (1958) è il racconto che Cabrera Infante ama di più, forse perché è il più nuovo, ma soprattutto perché ha maggiori ambizioni letterarie. Olofi parla di perdita della verginità, adulterio, discriminazione razziale, tutti problemi sentiti nella Cuba del tempo. Si tratta di una critica alla borghesia come esempio dei vizi maggiori e delle contraddizioni più grandi. Olofi è il suo racconto preferito, ma subito dopo Cabrera Infante dice di amare Josefina e Aprile, ma pure tutte le istantanee, più vere e contemporanee alla realtà che sta vivendo. “Mosche e latte” è un racconto che detesta con tutto il cuore. Viene da chiedersi perché non l’abbia eliminato, ma è inutile cercare spiegazioni. Non è facile incontrare un autore che fa le classifiche e spiega i racconti nel breve spazio di un’introduzione.

Cabrera Infante afferma: «Il titolo del libro può sembrare una parodia del Paternostro, ma non è così. Volevo andare oltre. Le istantanee sorpassano e contraddicono i racconti, proprio perché la Rivoluzione modifica e spazza via la realtà che appariva nei racconti. Il libro si chiude con un’istantanea di vittoria: gli autori delle scritte sono stati sconfitti, ma le scritte rimangono sui muri: invincibili».

È un Cabrera Infante rivoluzionario quello che viene fuori dalle pagine di questo libro, forse per questo viene tradotto in Italia da Giuseppe Cintioli per Arnoldo Mondadori Editore. Lo scrittore di Gibara ci credeva ancora: vedere la fine del dittatore assassino lo rendeva entusiasta e pieno di fiducia per il futuro. La luna di miele della Rivoluzione, purtroppo, stava per finire…

 

Gordiano Lupi

 

Guillermo Cabrera Infante

Così in pace come in guerra

traduzione di Giuseppe Cintioli

Mondadori, Milano 1963, pagg. 178


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