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Peter Brun: 60.000 bambini etiopi muoiono per sete
25 Maggio 2008
 

Sì, purtroppo è così. La situazione in Etiopia è estremamente drammatica. E mentre ci preoccupiamo giustamente per l’ex Birmania e per il terremoto in Cina, una ‘città’ di bambini, circa sessantamila stanno morendo perché gli manca da bere. È terribile, ma è così. E noi, uomini e donne del Vecchio e del Nuovo Mondo, che facciamo? Aspettiamo queste morti per stracciarci ancora una volta le vesti di un ‘vestito’ che di civile non ha più niente nemmeno l’ombra! Cari Signori! E anche questa mia non può essere che una semplice denuncia che forse anche molti di voi conoscono già. E dietro quei bambini etiopi ci stanno 6 milioni di persone che avranno, speriamo di no, questo stesso destino per la crisi alimentare di quello sfortunato paese del Corno d’Africa.

Lì, si hanno più di 100 bambini che muoiono prima di aver compiuto un anno ogni 1.000 nati vivi raggiungendo un tasso di mortalità infantile tra più alti del mondo. Più del 5% di questi bambini che sopravvivono sono malnutriti e per le stesse ragioni ben 250.000 al di sotto dei 5 anni muoiono ogni anno. Altri 140.000 invece muoiono a causa della polmonite. In verità solo ¼ delle famiglie ha accesso all’acqua potabile e solo il 6% ha servizi igienici adeguati (s’intende è un eufemismo…) di cui potersi servire. Si stima che siano circa 2.500.000 le persone che hanno urgente bisogno di fornitura d’acqua potabile.

 

L’Etiopia ha più di 4.500.000 di bambini orfani dei quali almeno 720.000 hanno perso uno dei genitori per l’HIV/AIDS.

E di quelli che riescono a sopravvivere nonostante tutto, la vita non riserva che gravi difficoltà d’ogni genere. Specie se sono orfani perché sono soli e abbandonati e non hanno chi li cura e chi li aiuta finendo spesso per ammalarsi e deperire e quindi scomparire tristemente. Rimanendo solo come una fredda e terribile statistica per il loro Stato e per il ‘nostro’ mondo.

Che dire ‘Signori della Corte’ dei Paesi sviluppati e del G8 o G20 che vorrete… con tutte le nostre potenzialità economiche buttate nel mondo militare – e che sono lì ben presenti di fronte a tutti noi, se almeno vogliamo guardarle in faccia con i loro numeri a sei e a 9 zeri –, lasciando però queste creature, come del resto tantissime altre in altre parti del mondo a morire perché noi, sì noi, popoli ‘evoluti e civili’ abbiamo deciso che loro debbono morire per permettere a noi di andare avanti nella vita che conduciamo a loro spese, tutto sommato. Mi vergogno di me e mi vergogno di noi, cari Signori che siamo. Perché oggi, capaci di rivolgere tanta attenzione alla ricerca sul cancro, a tutte le malattie che ci perseguitano anche da noi, in effetti, è un ulteriore gesto di egoismo perché vogliamo sopravvivere meglio e di più, noi. Non loro. Di loro ci disturba invece il loro modo di presentarsi nelle nostre case tramite le nostre televisioni, disturbandoci al quanto proprio perché l’ora in cui ce li fanno vedere questi bambini così denutriti e ricoperti di mosche, è al momento in cui siamo a tavola imbandita con i nostri cari mentre mangiamo dei buoni pasti succulenti…

 

Lo so che è facile a dire queste cose. Molto. È troppo facile. Ci sto male. M’indigno. Ci soffro ma non serve a niente. Forse sarebbe meglio che non sprecassi energie nemmeno per soffrire ma facessi qualcosa di più di concreto. Chissà, forse è vero, ma sono confuso. Potrei partire per andare in Etiopia a portare dell’acqua a questi bambini e salvarne alcuni, mentre d’intorno ci sarebbe uno sterminato campo di morti. Però non ho il coraggio di lasciare il mio lavoro, di lasciare questa vita borghese e di giocarmi tutto, proprio la mia vita, per andare lì a portare loro qualcosa che li possa far sopravvivere. Ma non sono un medico e nemmeno un infermiere. È una scusa, ovviamente. Sono solo un ‘impiegato’ che ci sta male e chissà poi se potrebbe essere possibile rivolgersi all’O.N.U. o alla F.A.O. o all’ U.N.I.C.E.F. per chiedere: «Eccomi, sono qui, voglio partire!». E forse non me ne darebbero nemmeno l’opportunità… potrei allora partire con una missione laica o religiosa che si voglia e lì aggregarmi per condividere un aiuto per questi cari bambini che stanno morendo…

 

Domani, fra qualche decennio, avremo ancora i ‘nostri figli o nipoti o bis nipoti’ d’Occidente o d’Oriente, del Nord più che del Sud del mondo, in questa nostra condizione, a domandarsi ancora come risolvere questa piaga dell’umanità? Mi auguro di no, ma se non saremmo noi, i ‘genitori o nonni o bis nonni’ di oggi a porre le condizioni perché questo ‘paesaggio umano’ cambi, non cambierà mai. Se non ‘alleveremo’ noi queste nuove generazioni con una logica diversa, questi uomini e donne del futuro, vorrà dire che già loro sono già falliti come noi oggi. Falliti verso questo dramma dell’ingiustizia sociale a tutti i livelli…

  

Come creare coscienze e menti e braccia perché il mondo cambi, quando si vede già oggi, su questi nostri modestissimi ‘fronti’ sociali nazionali e internazionali di qua e di là dall’oceano, un altissimo livello di emarginazione, di povertà, di solitudini, di malati, di tristezze di ogni genere tali da farci sperare poco, molto poco? Che tristezza cari lettori, che tristezza!!!

 

Peter Brun


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