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Black Deep Throat, Gola profonda nera
01 Giugno 2006
 

Gola profonda nera

di Guido Zurli

Edizioni Mosaico Media, 2006


Torna visibile un piccolo cult come Black Deep Throat di Albert Moore (1976), un film che inganna sin dal titolo e dal nome anglofono del regista. La pellicola non ha niente a che vedere con La vera gola profonda (Deep Throat) di Gerard Damiano (1972) con Linda Lovelace, Harry Reems e Dolly Sharp. Il film non è un sequel neppure apocrifo del celebre porno a base di ripetute fellatio, ma si approfitta di un titolo e di un’ammiccante copertina per promettere scene che nella pellicola non ci sono. Un altro inganno è sul nome del regista che non è americano ma si tratta del modesto Guido Zurli alla sua prima prova nel cinema erotico. Ne La vera gola profonda una geniale intuizione di Damiano inventa il personaggio di una donna con il clitoride in gola che raggiunge l’orgasmo praticando sesso orale. Damiano è un ottimo regista che mescola scene hard con parti ironiche, alterna sequenze di fellatio a missili in partenza, fuochi d’artificio e campane. Damiano porta nelle sale Gola profonda e rende fruibile il cinema porno a un pubblico normale che ne decreta il grande successo internazionale. Deep Throat si merita una lunga citazione pure da parte del Mereghetti che le assegna ben due stelle e lo definisce «una simpatica porcellonata, più divertente della maggior parte dei porno che si fanno oggi».

Gola profonda nera sfrutta solo il titolo e il successo di Deep Throat, ma non ha proprio niente a che vedere con quel film e neppure con i successivi tentativi di imitazione più o meno riusciti. Il solo motivo di interesse per un appassionato è costituito dal debutto italiano della transessuale Ajita Wilson, protagonista assoluta nei panni della disinibita giornalista Claudine. Gli altri interpreti sono: Ronaldo Mardenbro (Paul), Patrizia Webley (l’italiana Patrizia De Rossi) (Angelica), Agnes Kalpagos (Françoise), Giovanni De Angelis (si fa chiamare Johnny) e Ivano Staccioli (José Depardieu). La regia, davvero poco ispirata, è di Guido Zurli, buon documentarista e valido sceneggiatore, ma come autore di film erotici lascia parecchio a desiderare. Il film è sceneggiato dal regista con la collaborazione di Vito Bruschini, la fotografia (molto scura) è di Alfredo Lupo, le musiche (monotone e insistenti) sono di Alberto Baldan Bembo, il montaggio (fiacco) è di Erminia Mariani. Produce Dick Randall per Spectacular Film e distribuisce Manta. La trama racconta le vicissitudini erotiche di Claudine, giovane giornalista di colore che lavora a un’inchiesta sull’attore José Depardieu, sospettato di organizzare festini a base di sesso e droga. Claudine scopre che le serate a luce rossa in casa Depardieu non sono solo un fatto di sesso, perché ci sono persone che muoiono e che vengono distrutte dalla droga. L’incontro con la giovanissima Maria rivela una triste realtà, quando il padre della ragazza mostra alla giornalista come quei farabutti hanno ridotto la figlia. Claudine diventa amica di Françoise, una donna dai gusti lesbici molto vicina a Depardieu, e grazie a lei penetra nel covo dove si svolgono gli incontri proibiti per scattare alcune foto che servono da prova. La giornalista però soffre di un grave problema psicologico: quando sente dentro sé una musica si trasforma in una ninfomane e si porta a letto il primo uomo che incontra. Claudine è stata vittima di un trauma infantile quando vide sua madre a letto con un uomo bianco che subito dopo provò a violentarla. La ragazza non venne stuprata solo perché uccise l’uomo (forse un amante fisso della madre) con un colpo di pistola. A un certo punto la giornalista subisce un ricatto ed entra in casa Depardieu dove viene legata, mascherata con un cappuccio nero e quindi inserita in un terribile gioco erotico. In un imprevisto finale vediamo il padrone di casa mentre apre una porta e libera qualcosa che terrorizza Claudine, ma non si comprende bene di cosa si tratta, forse è una belva feroce. Il film termina con il cappuccio che viene tolto dal volto di Claudine mentre la donna grida tutto il suo spavento e secondo me il film è sostanzialmente mozzo.

Gli esterni della pellicola sono girati a Parigi e vediamo interminabili panoramiche dei Campi Elisi, la Torre Eiffel, le fontane di Versailles, la place de l’Etoile e l’Arco di Trionfo, la Senna e i battelli, il quartiere di Pigalle e chi più ne ha più ne metta. L’ufficio del turismo parigino è forse tra gli sponsor della pellicola, insieme al solito J & B e l’acqua Ferrarelle che compaiono spesso come pubblicità indirette. I dialoghi sono impostati al limite del ridicolo, da pessimo fotoromanzo, e anche se gli attori vengono doppiati (Staccioli lo fa da solo) la recitazione è a livelli dilettanteschi. I luoghi comuni sul sesso la fanno da padrone e si cercano pure assurde spiegazioni psicologiche per le situazioni più impensate. Patrizia Webley contende la scena ad Ajita Wilson in alcune parti lesbiche ma pure lei non è una grande attrice ed è mal diretta nelle sequenze erotiche. Salverei solo Ivano Staccioli che è un cattivo abbastanza credibile, pure se recita battute di pessimo livello come: «I film che faccio sono la copia della mia vita». Ajita Wilson si cala piuttosto goffamente in un personaggio che pare un plagio mal riuscito della Emanuelle interpretata da Laura Gemser e diretta molto bene da Joe D’Amato. Si spoglia molto e in maniera poco plastica, mostra un corpo abbondante ma poco sensuale, un seno al silicone e un sedere enorme, ma soprattutto si nota che è tutto finto. Ajita Wilson si mostra spesso nuda quando la musica che sente la obbliga a soddisfare pulsioni erotiche irrefrenabili. Ci sono anche alcune parti lesbiche appena accennate, prima tra lei e Agnes Kalpagos (Françoise) e subito dopo con Patrizia Webley (l’amica Angelica). Non manca una masturbazione che lo spettatore intuisce appena perché si vede solo il volto eccitato dell’attrice e c’è anche una scena di violenza carnale tra Ajita e il suo capo. Qui la sceneggiatura raggiunge il culmine del ridicolo quando la giornalista si rifugia a casa dell’amica Angelica e dopo essersi lavata esclama: «Mi ci voleva proprio una bella doccia per rimettermi in sesto!». Come se bastasse un bagno per far passare il trauma di una violenza carnale e come se fosse sufficiente far l’amore con una lesbica per dimenticare un sopruso maschile… Per finire citiamo un’interessante parte di cinema nel cinema con Ajita intenta a guardare una pellicola di kung-fu accanto a uno spettatore che ci prova e le tocca le lunghe gambe. Guido Zurli è un regista che non sa gestire il materiale erotico che si trova tra le mani e la giunonica transessuale Ajita Wilson naufraga nel mediocre livello di una pellicola da dimenticare.

Gola profonda nera è importante solo come cult al negativo, come trash senza limiti, inconsapevole della sua bruttezza, che si trascina stancamente per quasi un’ora e mezza. Ajita Wilson nasce come uomo e il suo vero nome è Gorge, ma la sua evidente omosessualità la porta presto a esibirsi come travestito nel distretto a luci rosse di New York. Subito dopo arriva il cambio di sesso e ha inizio la carriera nel cinema come Ajita Wilson. La maggior parte delle pellicole che interpreta sono hard-core, ma in Europa viene impiegata anche in alcuni soft-core di scarso livello e pure nella commedia erotica in parti di basso profilo. Ajita Wilson diventa una sorta di Emanuelle transessuale che si sforza di imitare Laura Gemser in una serie di pellicole sempre più spinte. Muore a Roma nel 1987, dopo undici anni di cinema non certo memorabile, a causa di un’emorragia cerebrale in seguito a un incidente stradale. Dopo la sua morte si diffonde la voce che la sua transessualità fosse solo una trovata pubblicitaria, ma basta guardare bene il corpo di Ajita per rendersi conto che si tratta di un uomo operato. Il pomo d’Adamo è molto evidente, il sedere e i fianchi sono troppo mascolini, i tratti del viso marcati e l’altezza fuori proporzione per una vera donna. Ajita Wilson può anche scatenare le fantasie erotiche di un uomo, ma resta solo una transessuale dal fisico slanciato, le lunghe gambe e un grande seno al silicone. Ajita rappresenta il primo caso di transessuale nel mondo del cinema, ma stanno per entrare in scena anche le italiane Eva Robins (Roberto Coatti) e Maurizia Paradiso.

Il DVD edito da Mosaico Media è di pessima qualità visiva e presenta una pellicola con evidenti differenze di colorazione che a tratti vanno dal giallo opaco al rosso porpora. La masterizzazione in digitale non è certo perfetta. Per non parlare degli extra che sono addirittura inesistenti. Quattro scarne paginette informative su Ajita Wilson accompagnano un’edizione molto spartana di un film modesto.


Gordiano Lupi


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