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Anna Lanzetta. I luoghi di Dante: Il Battistero
29 Maggio 2021
 

Il Battistero è uno dei luoghi più affascinanti di Firenze. Dante lo definì il mio bel San Giovanni e vi fu battezzato il Sabato Santo del 26 marzo 1266.

Edificato nell’XI secolo, sui resti di costruzioni romane tra cui, una ricca domus del I secolo d.C., il Battistero, capolavoro dell’architettura romanica a Firenze, ritenuto in origine un tempio dedicato al dio Marte, fu consacrato a San Giovanni Battista, patrono della città. La data di fondazione è assai incerta, si pensa al IV-V secolo d.C. con rimaneggiamenti nel VII secolo, durante la dominazione longobarda, forse in seguito alla conversione al cristianesimo della regina Teodolinda.

La sua ristrutturazione dei sec. XI e XII, che riguardò l’attuale forma della costruzione, conservò i caratteri della misura, della geometria e del ricco rivestimento marmoreo tipici dell’antica cultura romana.

Dal 1059 al 1128, il Battistero fu cattedrale di Firenze, il tempio della Repubblica Fiorentina, dove, oltre alle funzioni religiose, si svolgevano importanti cerimonie civili. Qui avevano luogo le benedizioni per le truppe che partivano per le varie guerre e i festeggiamenti per coloro che tornavano vincitori; alle pareti del tempio venivano appese le bandiere catturate al nemico e i diversi trofei di guerra.

Lo spazio, che occupa attualmente l’edificio, testimonia l’evoluzione che caratterizzò la Firenze medievale. All’inizio infatti, il Battistero era collocato all’esterno della cerchia delle mura (e questo ci fa capire le dimensioni minime del primo nucleo della città), ma fu poi compreso, insieme al Duomo, nella “quarta cerchia” delle mura, fatta costruire da Matilde di Canossa. In origine era circondato da altri edifici, che vennero però abbattuti nel XIV e XV secolo, per creare l’attuale piazza San Giovanni.

 

L’architettura esterna

Il Battistero è un monumento all’arte e le porte in bronzo, che lo adornano, ne sono una chiara testimonianza. I temi che esse rappresentano, sono per il popolo una lettura della storia dell’umanità e della sua redenzione.

La Porta più antica è quella che guarda verso la Loggia del Bigallo, modellata da Andrea Pisano, dal 1330 al 1336, su commissione dell’Arte dei Mercatanti o di Calimala, sotto la cui tutela era il Battistero.

È divisa in 28 formelle, di cui 20 raffigurano la vita di San Giovanni Battista e le rimanenti le Virtù Teologali e le Virtù Cardinali. Nelle formelle quadrate, c’è l’uso del quadrilobo, cornici tipiche dell’arte gotica, che modernizzavano la tipologia dei portali romanici. Da notare nelle colonne, scolpiti in bassorilievo, due rettangoli che rappresentano due misure di lunghezza in uso nel Medioevo: il piede longobardo (detto piede di Liutprando, usato fino al XIII secolo) e il braccio fiorentino. In Europa, prima dell’adozione del sistema metrico, erano utilizzate, per determinare le distanze, alcune misure basate sul confronto tra parti del corpo umano. Anche se diverse da paese a paese, corrispondevano, in genere, alla lunghezza di un dito (pollice), di un piede o dell’avambraccio. Le braccia fiorentine equivalevano a circa 58 centimetri. Fra le altre misure lineari della Firenze antica incontriamo il soldo (corrispondente a mezzo braccio), il denaro (la ventesima parte di un soldo) e la canna (multiplo del braccio). Per evitare frodi o differenze nella misurazione, a Firenze la lunghezza ufficiale del braccio a panno era scolpita nella pietra, visibile ancora oggi, in via de’ Cerchi.

La Porta nord detta anche Porta alla Croce, è la prima delle due realizzate da Lorenzo Ghiberti (1378-1455). Nel 1401, fu indetto un concorso per scegliere l’artista che l’avrebbe poi eseguita e, per l’occasione, i mercanti-committenti fissarono anche le regole: il tempo d’esecuzione non doveva superare l’arco di un anno, il tema della formella bronzea per concorrere, doveva rappresentare il Sacrificio di Isacco, la cornice doveva essere mistilinea (un compasso gotico con 4 lobi e angoli acuti sul modello della prima porta), il materiale doveva essere utilizzato con risparmio, a dimostrazione di quanto fosse forte allora l’ingerenza dei committenti. Molti artisti parteciparono al concorso, e tra questi Filippo Brunelleschi. La commissione formata da 34 giudici (di cui 30 periti), orafi, pittori, scultori e 4 consoli di Calimala, valutò i lavori dei 7 concorrenti e scelse la formella del Ghiberti, anche perché al momento, il lavoro di Brunelleschi non fu capito per l’utilizzo di elementi innovativi, quali la prospettiva. In seguito, le formelle dei due artisti sono state esposte l’una accanto all’altra al Museo del Bargello.

Il lavoro impegnò tutta la bottega del Ghiberti composta da giovani artisti tra i quali Donatello e Paolo Uccello (1397-1475). Ghiberti ripeté lo schema della prima porta, usando 28 riquadri, dove svolse il tema del Nuovo Testamento. I venti riquadri superiori rappresentano Storie evangeliche dall’Annunciazione alla Pentecoste, gli altri Evangelisti e Dottori della Chiesa. Gli artisti usavano spesso inserire l’autoritratto nelle proprie opere e anche Ghiberti ci ha lasciato il proprio, riconoscibile per il vistoso copricapo, considerato il primo ritratto realistico del Quattrocento. Visto il notevole risultato della porta Nord, l’Arte dei Mercanti affidò allo stesso Ghiberti, e questa volta senza concorso, la realizzazione della terza e ultima porta, Porta est. L’artista impiegò 27 anni (1425-57) coadiuvato da altri artisti, e tra questi: il figlio Vittorio, Michelozzo (1396-1472) e Benozzo Gozzoli (1421-1497). Ghiberti rappresentò in dieci pannelli di forma rettangolare, 37 temi tratti dall’Antico Testamento, proseguendo il ciclo decorativo iniziato nelle altre porte, predisposto dal grande umanista Leonardo Bruni (1370-1444).

La Porta, capolavoro del Ghiberti, colpisce per le ampie composizioni, ricche di figure, di architetture e di paesaggi tipici del Rinascimento. Gioiello di bellezza e di preziosità, fu definita da Michelangelo “Porta del Paradiso” e i committenti decisero di istallarla di fronte al Duomo al posto dell’esistente porta orientale. Il tema rappresentato, è quello della Salvezza fondata sulla tradizione patristica latina e greca. Iniziando dall’alto in basso e da sinistra a destra, le scene principali di ciascun pannello sono: la Creazione di Adamo ed Eva, il Peccato originale, Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso terrestre; Caino e Abele lavorano nei campi, uccisione di Abele; storie di Noè; apparizione degli Angeli ad Abramo, sacrificio d’Isacco; storie di Esaù e Giacobbe; Giuseppe venduto ai mercanti, la tazza d’oro ritrovata nel sacco di Beniamino, Giuseppe si fa riconoscere dai fratelli; Mosè riceve le tavole della legge sul monte Sinai; il popolo d’Israele attraversa il Giordano, presa di Gerico, Battaglia contro i Filistei; David vince il gigante Golia; Salomone riceve nel gran tempio la regina di Saba. In questa formella, lo sposalizio della regina di Saba con il Re Salomone è una chiara allusione al tentativo fiorentino del 1439 di riconciliare le Chiese d’Oriente e d’Occidente. La formella con le storie di Giuseppe si può interpretare come un’allusione al ritorno di Cosimo I dall’esilio, in cui egli è paragonato a Giuseppe che, tradito dai fratelli, diventa poi il loro salvatore.

La porta del Paradiso, è completata da 28 nicchie con Profeti e Sibille e da 24 tondi con ritratti di personaggi celebri. Nella striscia centrale a sinistra, in basso, ritorna, con la testina calva, l’autoritratto del Ghiberti nella sua maturità. In uno dei sodi orizzontali si legge: Laurentii Cionis de Ghibertis opus mira Arte fabricatum cioè: Fatto con l’arte ammirabile di Lorenzo Cioni dei Ghiberti.

Ai lati della porta, si trovano antiche colonne in porfido, donate dai Pisani ai Fiorentini nel 1117 per l’aiuto ricevuto durante la guerra delle Baleari. Scrive il Secchioni: Secondo la leggenda, le due colonne possedevano una virtù particolare, una forza misteriosa trasmessa dall’arte magica degli Arabi. Chi avendo subito un torto, si fosse posto “dietro” una delle colonne, avrebbe visto materializzarsi nel marmo l’immagine del colpevole. I pisani non vollero concedere agli amici-nemici una cosa così pregiata e “affocarono” i due fusti, così che il fuoco purificatore avrebbe tolto ogni possibilità di magia. Le due colonne avvolte in ricchi broccati furono prese dai fiorentini che si lasciarono ingannare da questa parvenza di amicizia: questo dette origine al soprannome di “fiorentini ciechi”. Comunque i fiorentini risaputo il fatto ci andarono lo stesso “coi piedi di piombo” e per evitare ogni utilizzo improprio, posero i due fusti addossati al muro della Porta del Paradiso, in maniera tale che nessuno potesse mettendosi dietro di esse svelare volti “sospetti”.

La porta che noi oggi ammiriamo è una copia, l’originale si trova nel Museo dell’Opera del Duomo.

 

L’architettura interna

Il Battistero ha pianta ottagonale, con un diametro di 25,60 m, quasi la metà di quello della cupola del Duomo (non a caso si dice che la cupola di Brunelleschi potrebbe contenere l’intero Battistero).

L’ottagono rappresenta l’ottavo giorno, quello in cui Cristo risorge e vive in eterno, ed è associato, fin dall’epoca paleocristiana, al rito del battesimo. La necessità, a quel tempo, di un edificio di vaste dimensioni, si spiega con l’esigenza di accogliere la folla che doveva assistere al rito. I battesimi, che si svolgevano due volte l’anno fino al 1450 circa, il Sabato Santo e il sabato prima della Pentecoste, servivano anche come censimento per i nati in Firenze per cui si poneva in un bacile una fava nera per ogni nato maschio, e una fava bianca per ogni femmina. Le fave erano presenti presso i popoli antichi sia per i riti funebri che come segni di buon auspicio. Erano utilizzate nei riti propiziatori dagli antichi egizi, dagli antichi greci e dal mondo romanico. La fava era considerata una pianta funesta per il suo fiore bianco maculato di nero, colore raro nel mondo vegetale. La macchia nera lascia interpretare la forma della “tau” greca, prima lettera della parola tanatos che significa morte. Il consumo delle fave, sia per tradizioni che ritualità devozionali è stato tramandato sino ai giorni nostri con feste e riti.

Nell’antichità, le opere d’arte inserite nei luoghi sacri, fungevano per i credenti come un libro aperto, per istruire su ciò che era male e ciò che era bene, tale è la funzione del bellissimo mosaico, realizzato su fondo dorato, posto all’interno della cupola del Battistero, la cui costruzione risale alla seconda metà del XIII secolo. Il mosaico è una tecnica pittorica che consiste nell’accostare, fissandole alla malta del muro, migliaia di piccole tessere colorate. Nella cupola del Battistero, esse disegnano una gigantesca figura di Cristo Giudicante, di tipo ancora fortemente bizantino. Il tema del Giudizio universale fu scelto per indicare che la giustizia divina è inesorabile; lo stesso tema ritorna con la tecnica dell’affresco (metodo di pittura murale “a fresco”, cioè su uno strato fresco di intonaco, con colori stemperati in acqua), nella cupola del Brunelleschi. Ai piedi del Cristo è rappresentata la resurrezione dei morti, alla sua destra i giusti sono accolti in cielo dai patriarchi biblici, alla sua sinistra è collocato l’Inferno con i diavoli. Sono inoltre raffigurate: storie della Genesi, di Giuseppe, di Maria, di Cristo e di San Giovanni Battista. Probabilmente, per la realizzazione di questo mosaico furono impiegate maestranze veneziane, coadiuvate da importanti artisti fiorentini che fornirono i cartoni, come Coppo di Marcovaldo (ca. 1225 – ca. 1276), Meliore (seconda metà del XIII secolo), il Maestro della Maddalena (1250-1290 ca.) e Cimabue (1240-1302).

La costruzione dell’edificio si protrasse per lungo tempo e molti furono gli artisti che vi lavorarono. Nel 1128, l’edificio diventò il Battistero cittadino e intorno alla metà dello stesso secolo venne eseguito il rivestimento esterno in marmo. Il pavimento, realizzato nel 1209, è decorato con marmi a tarsia che riproducono motivi di tappeti orientali, e orientaleggianti sono anche parecchie delle figure umane o animali raffigurate sul pavimento stesso. Si dice che il bellissimo pavimento a mosaico, formato da tasselli di marmo verdi, bianchi, rossi e neri, abbia ispirato per secoli l’arte dei setaioli di Firenze. Le Arti ebbero un ruolo fondamentale nella costruzione dei monumenti e hanno lasciato su di essi il proprio simbolo; infatti anche all’interno del Battistero, il coperchio del sarcofago di Guccio de’ Medici, gonfaloniere di Firenze nel 1299, è decorato con l’Arme Medicea e col simbolo dell’Arte della Lana, visibile anche all’esterno su di una finestra. La “scarsella”, abside del Battistero, a pianta rettangolare, venne realizzata nel 1202 e verso il 1220, furono realizzati i mosaici.

L’interno del Battistero, che nella struttura ricorda gli edifici classici e in particolare il Pantheon, ha subito varie modifiche. Nel 1576, in occasione del battesimo dell’erede maschio del Granduca Francesco I de’ Medici, Bernardo Buontalenti ricostruì il fonte battesimale, distruggendo i battezzatoi medievali ricordati da Dante:

Non mi parean men ampi né maggiori

che que’ che son nel mio bel San Giovanni,

fatti per loco d’i battezzatori;

l’un de li quali, ancor non è molt’anni,

rupp’io per un che dentro v’annegava.

(Inferno, XIX, 16-20)

Pare che il giovane, a cui Dante si riferisce, si chiamasse Antonio di Baldinaccio de’ Cavicciuli e che vi fosse caduto mentre stava giocando con degli amici.

Il Battistero è decorato da 18 colonne: 12 di granito orientale, 5 di cipollino orientale; l’unica, scanalata in marmo bianco, pare sorreggesse la statua di Marte, primo protettore di Firenze, al Ponte Vecchio: È comunque curioso scoprire che, secondo una leggenda, la colonna scannellata di marmo bianco che si trova all’interno del Battistero all’altezza della Porta del Paradiso, sia quella utilizzata ai tempi di Carlo Magno per sostenere la statua di Marte ovvero Teodorico (E. L. Pecchioni).

Nel Medioevo i luoghi della fede sono stati luoghi anche di testimonianze scientifiche e soprattutto astronomiche. La Cattedrale di Santa Maria del Fiore, il Campanile di Giotto e il Battistero di San Giovanni ne offrono un esempio. Sul pavimento del Battistero, vicino alla Porta d’Oro, è visibile una rara testimonianza del sistema cosmico tolemaico per indicare il solstizio d’estate. Già intorno all’anno 1000, esisteva nel Battistero un orologio solare: attraverso un foro praticato nella cupola, i raggi solari colpivano nel corso dell’anno i segni dello zodiaco su una lastra di marmo collocata presso la porta nord. Sulla lastra è riportato il verso palindromo (dal greco πάλιν, indietro e δρóμος, corsa) col significato “che corre all’indietro”, una sequenza di caratteri che, letta a rovescio, rimane identica) en giro torte sol ciclos et rotor igne che vuol significare: io sole col fuoco faccio girare tortamente i cerchi e giro anch’io. La lastra, costruita da Strozzo Strozzi (950ca.-1012) nell’XI secolo con il sole al centro dei dodici segni zodiacali, fu spostata nel XIII secolo, in seguito al rifacimento del pavimento.

Se all’interno del Battistero, si guarda in alto, si vede un’apertura sormontata da una piccola “lanterna”. Come dice anche il Villani, alla base di quella lanterna c’era un foro che a mezzogiorno preciso lasciava passare un raggio di sole che andava a colpire il centro di quello zodiaco proprio nel giorno di San Giovanni, cioè il 24 giugno di ogni anno. Tutto ciò ci fa pensare che esistesse una prima scuola di astronomia nella nostra Firenze già nell’Alto Medioevo. Forse nelle notti terse e fredde del primo millennio, seguendo l’insegnamento arabo, Strozzo Strozzi con gli altri scienziati fiorentini avrà scrutato da una torre vicina al Battistero, la moltitudine stellare per capire il mistero dell’universo (E. L. Pecchioni).

 

Anna Lanzetta*

 

 

* Dal mio libro Firenze nel cuore”. Visitare la Firenze medievale per scoprire la Firenze di oggi. Il Centro storico, Morgana Edizioni, 2012.


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