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Giamblico, dai numeri agli Dei.
Pitagora
Pitagora 
20 Febbraio 2006
 

Il Corpus Pythagoricum giamblicheo. Giamblico (Calcide, 250-320 ca. d.C.) compose un «insieme di nove, o forse dieci trattati costituenti un corpus unitario solo in parte conservatesi». Si tratta della Summa pitagorica, raccolta adesso in un unico volume (Bompiani, 2006) nella collana “Il pensiero occidentale” della Bompiani, diretta da Giovanni Reale (nella traduzione di Francesco Romano, curatore anche di un «Introduzione», delle note e degli apparati al volume). Oltre alla «Vita di Pitagora» (Libro I dell’intero corpus), questa Summa contiene altri quattro scritti: «L’esortazione alla filosofia» (Libro II), «La scienza matematica comune» (Libro III), L’«Introduzione all’aritmetica di Nicomaco» (Libro IV) e la «Teologia dell’aritmetica». Lo scopo dell’opera, afferma Romano nella sua «Introduzione» è quello di «Potere leggere e fruire in modo editorialmente unitario, ovvero in un unico volume, tutti gli scritti fondamentali del grande filosofo neoplatonico se si prescinde dal De mysteriis che merita un discorso a parte».

La scienza matematica. Ci sono gli enti intellegibili e gli enti sensibili. «Gli enti matematici sono incorporei e in se sussistenti, e intermedi fra le essenze indivisibili e quelle divisibili nei corpi». Se esistono gli enti matematici, esisterà anche una scienza di essi. «La scienza matematica è conoscenza intermedia, in quanto è più composita di quella dell’intelletto, essendo una conoscenza dianoetica, e riunisce molte cose in una medesima cosa, e si serve, più che l’intelletto, di procedimenti discorsivi ed esplicativi, e di forme e concetti intermedi e assolutamente non limitati, bensì capaci di determinare il limite nell’illimitato, e fornire chiarezza in cose che si presentano nient’affatto di comune dominio» dichiara Giamblico. Gli esseri umani, dunque, devono essere educati a questa scienza matematica. Pitagora, apprendiamo dalla Vita che ne ha scritto Giamblico: «Intraprese il suo insegnamento che era di tipo simbolico e assolutamente simile a quegli insegnamenti egiziani, in cui egli era stato educato». L’educazione alla matematica sarà, perciò, di tipo simbolico. In particolare: «Ciò che si trova semplicemente in una posizione intermedia fra le forme intellegibili e quelle sensibili costituisce il genere comune di questa scienza [la matematica; nota mia], genere che contiene in sé tutte le diverse specie, quante e quali siano, e che da un lato partecipa dei generi primari dell’essere, ma dall’altro lato abbraccia in se stesso i generi dei sensibili pur superandoli per purezza e precisione e sottigliezza e incorporeità,e contiene in sé ogni specie di potenza, sia quelle che elevano verso i veri enti, sia quelle che fanno piombare nel divenire,e parimenti ogni specie di conoscenza». Per cui: «Bisogna assumerla [la scienza matematica; nota mia] tenendosi lontani dai corpi e dal divenire, purificati da immagini e sensazioni,e familiarizzati con gli incorporei in sé e che fanno uso continuo dello studio dei concetti». La scienza matematica –simbolica– debitamente coltivata conduce alla contemplazione degli incorporei. Giamblico salda pitagorismo e platonismo in un nesso pressoché indissolubile fornendo una sintesi unitaria che servirà pure agli scopi dell’imperatore Giuliano l’Apostata, quando questi vorrà dare una nuova vita al paganesimo cercando di rimetterlo a fondamento dell’intera vita politica dell’Impero. Una sintesi unitaria, inoltre, che farà dello stesso Giamblico, il quale fu scolaro di Porfirio, un’esponente della scuola siriaca del neoplatonismo.

I numeri. La filosofia di Giamblico è, più che altro, una teologia. Egli, nella «Scienza matematica comune» dice: «La prima cosa da contemplare di ogni ente e della sua singola proprietà, qualunque essa sia, è l’aspetto teologico, cioè il suo adattarsi all’essenza e alla potenza degli dei, e al loro ordine e alle loro azioni in virtù di un adeguato processo di assimilazione». L’essenza degli dei è costituita dai numeri. È questi che occorre contemplare. In principio ci sono l’1 e il molteplice cioè il limitato e l’illimitato oppure l’identico e il diverso. Da questi due principi: «Nascono, come da due elementi del tutto differenti, prima le proprietà dei numeri in virtù della contrarietà fra il 2 e l’1, e poi anche tutte le cose del mondo in virtù della loro partecipazione e assimilazione a quelle: tutte le altre cose infatti sembrano imitare il numero, mentre il numero trae da sé i suoi propri principi cioè l’unità e la diade». Ed ancora, a differenza di Platone, afferma Giamblico: «L’1 non può essere chiamato né bello né buono, perché è al di sopra sia del bello che del bene». Dunque, per Giamblico è solamente attraverso i numeri che potranno essere contemplati quegli dei che sorreggono tutta quanta l’armonia del cosmo.

La scienza teologica. La Summa pitagorica di Giamblico, perciò, tratteggia un percorso filosofico destinato ad assumere una grande importanza. Gli innesti platonici nel tessuto, mutuato dalle dottrine di Pitagora e dei pitagorici, sono evidenti. Bastino due esempi tra tutti: Giamblico, ad un certo punto dell’«Introduzione all’aritmetica di Nicomaco» dichiara: «Tra i principi del mondo il dio demiurgo non genera, ma assume la materia che è anch’essa eterna, per plasmarla e trasformarla in mondo per mezzo delle forme e dei rapporti numerici»[corsivo mio]. Ed ancora nell’«Esortazione alla filosofia» dice: «In noi dimorano tre specie di anime, con la prima ragioniamo, con la seconda siamo impetuosi, con la terza abbiamo appetiti». Si potrebbe anche continuare ma è chiaro che per Giamblico non si tratta, in questi come negli altri casi, propriamente di innesti. Come osserva Francesco Romano per Giamblico in realtà la «Filosofia neoplatonica… coincide con l’autentica filosofia pitagorica». Ed effettivamente, il tentativo compiuto da Giamblico è sintomatico in maniera distinta dell’operazione compiuta da tutto il pensiero della Tarda Antichità. L’età classica dei greci aveva riconosciuto alla ricerca il valore più alto fra tutti. Con la Tarda Antichità: la ricerca viene subordinata ad un fine pratico. Le tre grandi scuole filosofiche del periodo post-aristotelico (stoicismo, epicureismo, scetticismo) affermeranno che questo fine non potrà più possedere un valore che gli sia fornito dalla ricerca stessa. Per i filosofi Tardo Antichi (come Giamblico) ogni valore verrà dato dalla religione. In questo senso, Giamblico considererà allora pitagorismo e platonismo come due punti di passaggio, o piuttosto due gradini. Da ora in poi, infatti, la filosofia stenderà davanti a se una lunga scala che dal sensibile arriva sino a Dio.

Questa Summa pitagorica avrà, dunque, la funzione di unificare due tradizioni di pensiero –la pitagorica e la platonica, appunto– disposte già di per sé in un edificio che avrà per cuspide proprio la scienza teologica.


Gianfranco Cordì


 
 
 
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