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Franco Morelli e le sue “genti” 
di Gianni Cerioli
15 Aprile 2014
 

Sarebbe piaciuta a Pier Paolo Pasolini la “Via Crucis dei poveri emarginati” di Franco Morelli. Per Pasolini i personaggi che s’incontrano sullo schermo si muovono con una paradossale leggerezza gravata dal peso di un’esistenza scomoda, figli ripudiati di una società che li rifiuta. Un mondo duro, affrontato con molta dignità, con un atteggiamento che impedisce di accettare di realizzarsi, spingendolo in basso fino alla morte. L’immagine simbolo di questo personaggio meraviglioso nel suo continuo oscillamento tra riso e malumore, tra paradosso e realtà, è lui stesso ad offrircelo. Caparbietà e tragicità, nello sguardo di Accattone, si eleva ad un livello dell’immaginario umano, in un miscuglio di grandezza, poesia e dannazione.

Così il segno di Franco Morelli racconta la “Via Crucis del povero operaio”, tra dramma e poesia. (M. Paola Forlani)

 

 

 

Ricordare un autore a dieci anni dalla morte è, nella maggior parte dei casi, una verifica di quanto dell'artista viva ancora nel ricordo degli appassionati oppure di quanto le sue ricerche originali abbiano contribuito a modificare i territori sempre mutevoli dell'arte. Se questo avviene nella quasi totalità delle situazioni, non vale nel caso di Franco Morelli, nato a Ferrara il 28 agosto 1925 ed ivi morto il 16 aprile 2004, per il quale, la fama presso il grande pubblico inizia solo dopo la sua morte grazie alla volontà e all'impegno della vedova e di don Franco Patruno che ha visto in lui il migliore illustratore ferrarese del secondo Novecento.

Franco Morelli ha tenuto un atteggiamento di tale distacco dalle mode e dagli stilemi del mercato dell'arte da rasentare la totale indifferenza nei loro confronti. Questo l'ha spinto a tenere le proprie opere presso di sé non permettendo loro di andare per il mondo. Eppure la sua vita non era cominciata in questo modo. Anzi, tutto lasciava presagire un impegno avanti lettera di ben altro avvenire.

Nato da una famiglia di modestissime condizioni economiche, ben presto la sua esistenza si incrocia con vicissitudini che ne condizionano fortemente le sorti. La prima è la malattia che lo colpisce ancora bambino. Sono, infatti, gli esiti della poliomielite che gli impediscono di usare la mano destra. “La battaglia con la sua mano sinistra”, come lui si esprime, è violenta e senza sconti di sorta. Soltanto un esercizio costante, lungo, sfibrante lo porta a quel grado di maestria che gli riconosciamo.

L'altra vicenda sfortunata è quella di perdere il padre, morto per un incidente sul lavoro, quando Franco è troppo giovane per essere di aiuto alla madre e al fratello, più giovane di lui di due anni. Il nonno si cura della crescita dei nipoti ma troppo presto viene a mancare. Morelli, che frequenta il primo anno dell'Istituto d'arte Dosso Dossi, deve interrompere la frequenza e cercarsi un lavoro.

L'abbandono forzato degli studi non lo induce a recedere dalla convinzione di essere un artista ma lo convince anzi a strutturare una sua formazione autonoma da autodidatta. In tal modo per noi riesce difficile seguire, anche solo in via ipotetica, la sua evoluzione come pittore ed illustratore. Accanto a riferimenti palesi ne emergono altri del tutto inattesi, rivelatori di dissonanze rispetto ad un contesto locale ma portatori di una finezza del tutto imprevista.

L'impegno profuso nella formazione del Circolo Artistico Dilettanti nel 1945, appena terminato il secondo conflitto mondiale, è la rivendicazione sua e di tutti i giovani che non hanno potuto avere degli studi regolari e che reclamano una loro presenza nel mondo. La decisione che matura alla fine degli anni Cinquanta di non far vedere più nulla di quanto produce viene mantenuta in pieno. Solo per questo noi oggi possiamo entrare nella sua opera a piene mani e ricercare intermittenze e connessioni. È un percorso che dobbiamo scoprire con il riguardo e la consapevolezza di trovarci ad essere esploratori di uno spazio di cui non abbiamo coordinate di sorta, ma che non è mai stato alterato da nessun altro viaggiatore.

In una nota manoscritta del 26 novembre 1984 Morelli se la prende con quanti obiettano alla sua ostinazione di non mostrare al pubblico i suoi lavori. I motivi profondi hanno origine non solo nella situazione psicofisica in cui l'autore è venuto a trovarsi ma sono soprattutto da ricercarsi nella convinzione della sua autonomia pienamente raggiunta. Nel brano che riporto quasi integralmente, è l'autore stesso a svelare il rapporto che lo tiene legato alle “creature” cui ha dato vita.

 

Voglio la mia “gente” costantemente vicina per guardarla quando ne ho voglia, sentirmela mia perché a lei ho dato forma e vita, perché mi incoraggi a proseguire e mi confermi la ragione del mio operare e delle centinaia di ore che io “butto” a profusione. E sono schiere di genti che mi salutano e mi parlano, che mi fanno pensare e che mi conciliano con me stesso e spesso mi esaltano fino alla lode... Se avessi venduto, oggi mi mancherebbero, e malamente potrei per loro rallegrarmi del tempo che con segni ho arrestato e firmato di mio pugno. Penso di avere dato vita un po' a tutto quello che entra nell'ambito della mia conoscenza e del mio pensiero. Dalle moltitudini di chi ha bisogno, alle schiere di chi è sazio di tutto; dagli angeli del paradiso ai demoni dell'inferno; dai santi ai maledetti da Dio; ho dato forma e vita alle genti del borgo, ai ricchi dei castelli; ai buffoni dei circhi e al pianto dei derelitti; a schiere di preti pingui e sazi e ad eserciti di poveri affamati; ai mestieri usati e a moderne categorie di lavoro; ai ministri fasulli e a governanti intimiditi; a mostri immaginari e ad esseri orripilanti; a squarciati nel corpo e a lacerati nell'anima; a fantasiosi sognatori e a freddi nel calcolo; a animi intelligenti e a scolari tonti; ad anatomie innumerevoli e a drappi pieghettati; a crocifissi presi da ogni lato e a redenti nel nome di Dio, a storie antiche e a fatti del giorno d'oggi; a messaggi per sordi e ad avvertimenti per chi si ostina a non capire; a Marie in lagrime e a Natali di giubilo; a colori e toni e mezze tinte di ogni genere e a chi più ne ha più ne metta... Migliaia e migliaia sono le creature mie alle quali ho dato segno e forma e che mi sorreggono nei tanti momenti di tristezza e che, solo a volte, riescono perfino a farmi capire che non sono nato solo per morire, ma che ho avuto vita per dedicarmi esclusivamente a loro, se mi fosse premuto il ricordo di chi verrà per un tantino di dovuta gratitudine.

 

A queste sue creature va dunque aggiunto il povero Cristo derelitto di queste quattordici tavole della Via Crucis inedita del 1987. In effetti all'interno della produzione di Morelli vi sono due viae crucis presenti. Esiste una serie completa, datata 1979, fatta a matita su fogli riquadrati (mm 660x485) e questa, che viene esposta, disegnata a penna biro su carta (mm 700x500). La serie del 1979 rispetta i canoni figurativi più tradizionali del tragitto di Cristo dal Pretorio al Calvario. La sua specificità è semmai quella di centrare l'azione sul volto del Cristo in un primo piano dal valore metonimico accentuato. È una caratteristica che si trova anche in altri artisti ferraresi del periodo. La serie del 1987 scardina invece i rapporti iconici della tradizione pur mantenendo sullo sfondo i rapporti narrativi della passione. Se quella è pensata ancora per una sua collocazione all'interno di una chiesa questa non lo è più. La figurazione tiene conto del progresso continuo che Morelli ha scoperto come illustratore della Commedia dantesca e dell'importanza del tratteggio come elemento espressivo fondamentale. Accanto a questo stanno però le infinite mediazioni e rielaborazioni di tanta illustrazione popolare e satirica dell'Ottocento e del Novecento.

L'occasione del decennale, la vicenda esistenziale di Morelli, i riti della Settimana Santa, tutto porta ad una riflessione sul tema della morte e dell'arte. Quello che resta dell'arte di chi è scomparso e allo stesso modo l'azione della morte all'interno dell'arte delle immagini, fanno sì che le cose del mondo diventino non più soggette alle relazioni profane d'uso con cui quotidianamente le trattiamo ma ristabiliscano una sorta di relazione sacrale con le cose stesse, ridonando loro quel mistero che era stato smarrito. La Via Crucis di Morelli non è quindi solo il rinvio ad un tema figurativo. È la forza di una riflessione che va ben oltre la distruzione simbolica del mondo visibile che l'arte realizza con i suoi artifici e il dispiegamento delle sue forme.


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