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Silvano Martini. Tre tempi per un cielo/ 6. 
Frammenti di un discorso sull’arte
Gorgio G. Adami
Gorgio G. Adami 
01 Marzo 2017
 

Siamo in prossimità del dolmen e della piroga. Del semplice accostamento di pietre e del semplice svuotamento di un tronco. Siamo agli elementi primi. Come la terra, il fuoco, l’acqua, l’aria. Siamo a una purezza anteriore all’architettura delle sintassi evolute. In un tempo che precede i ritrovati di qualsiasi civilizzazione. Là dove scienza e poesia si fondono. Travolgendo limitazioni e confini, false autonomie e divergenti finalità. È quel tipo di scrittura che si conquista dopo aver compiuto il periplo del mondo. Ed essere ritornati al luogo di partenza. Entrando dalla parte opposta e quella dalla quale ci si era allontanati. Impadronirsi di una scrittura elementare, dopo aver lungamente sperimentato, significa caricare ogni segno di un grande potenziale. La parola è il risultato del rapporto fra due brevi segmenti incrociati. La conseguenza del sommarsi di angoli opposti variamente distribuiti sul piano della tela. L’avventura esistenziale è situabile fra lo zero e i 180 grazi. Fra questi estremi, attraverso un vastissimo ventaglio di angoli, si svolgono tutti i capitoli di una storia o di moltissime storie individuali. Si formano tutti gli intrecci e tutte le visioni. Tutte le acquisizioni e tutte le perdite. Questo alfabeto lineare porta in se stesso norme e statuti. Li vive nella concretezza del suo esserci. Il segno ha conquistato una forza propria e una propria autonomia.

Questo periodare affrancato si sposta a masse da un punto all’altro della tela. Si nota nel quadro un esodo di elementi comunicanti. Non parlano più le singole voci. Rappresentate dalle singole posizionalità segniche. Il quadro non sussiste come somma di presenze distinte. Ma come estesa coralità. È un concatenamento verbale che conferisce unità all’insieme. Ed è questo insieme che ci fa riflettere sul valore delle singole presenze. La globalità del discorso ci fa vedere i lemmi necessari a produrlo. L’edificio rileva la qualità dei materiali scelti per innalzarlo. Dal testo al fonema è il capovolgimento operato. Con un raggiungimento particolare. Prima vi era un unisono ottenuto facendo leva sull’immobilità dei componenti il tutto. Ora l’unisono è raggiunto ricorrendo all’estrema mobilità di questi componenti. Con questo ulteriore risultato. La tela fa vedere una fluttuazione di fondo, che prima non esisteva. L’insieme è posto nell’abisso di una dinamica che sembra inghiottirlo. Nei gorghi di un sommovimento profondo, che l’occhio attento riesce a cogliere nelle sue varie sfaccettature. Una forza endogena promuove le forme e le mutazioni di questa immensa epidermide. Tatuata da una selva di elementi semplici. O ripetuti binomi vaganti nello spazio. E generatori, per spontanea fusione, di strutture ondulate e instabili. Sotto la pellicola dell’evidenza fenomenica, si avverte l’intrecciarsi di sinuose articolazioni. Seguire questi movimenti è come radiografare un corpo per esaltarne i fasci muscolari e le impalcature ossee. È come seguire le fasi di uno sviluppo incessante. Conoscere gli infiniti stadi metamorfici della materia. Sul piano della rappresentazione, questo fatto svela anfratti e crepe, avvallamenti e fessurazioni, alvei e meandri. La frontale e apparente staticità di questa grafia leggerissima cede sotto la spinta dell’attenzione. E lascia intravedere l’occulto e l’imprevedibile. Sotto la glacialità di forme scarnificate fanno la loro apparizione gli scatti del movimento, le orologerie del divenire, tutte le potenze dell’essere. Il tempo si appropria di questo spazio primario. Lo comprime e lo distende. Lo grava e lo fa respirare. Lo accerchia e lo libera. Il tempo appoggia sul suo viso questa maschera inafferrabile. Si adorna della sua verità. Dietro queste poderose galassie stanno il calcolo matematico e l’emozione incoercibile. Al di là di ogni parziale definizione di questo moto costante, traspare il fondo opaco dell’essere. Intuibile come matematismo e amatematismo. Legge e curva immaginativa. Solarità e pagina selenica.

 

 

 

Silvano Martini, Tre tempi per un cielo

Frammenti di un discorso sull’arte

Anterem Edizioni, 1995, pp. 88

 

6 – fine


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