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Moonisa: Abuja, 5.11.2008. Lo specchio della vittoria di Obama in Africa
06 Novembre 2008
 

La Cnn, annunciando che Barack Obama è presidente degli Stati Uniti, ha causato un’esplosione di gioia che, partendo da Chicago, si è estesa, all’istante, al resto del mondo; appena il network, che per tutta la sera aveva trasmesso le immagini del conteggio dei voti sui maxischermi, nel parco di Chicago, ha annunciato che Obama ha superato i 270 voti elettorali necessari per vincere, le centinaia di migliaia di persone, che si trovavano nelle strade della città, sono esplose in un boato di gioia. La stessa gioia è, simultaneamente, esplosa nel resto del mondo, ma in Africa è divampata come un vento incontenibile che è tutto da analizzare. In Abuja, la gente ha gridato di gioia, ha agitato bandiere e stendardi, ha scambiato con tutti e con chiunque gesti di vittoria e grida-sorrisi d’intesa gioiosa. Tutti sono, a distanza di poche ore dalla notizia, pervasi di un qualcosa che sembra come una sorta di luce che si traduce in giubilo e che intride tutte le occupazioni della routine quotidiana invariata. Ho l’impressione di trovarmi al cospetto di un popolo che fosse in attesa di buone notizie e che, avendole ricevute, non tema più il futuro. ‘Perché?’, mi domando e lo domando al mio steward, che sta impastando il pane.

La sua risposta è: «Because, besides being American, Obama is African and black. Today, all Africans, wherever going or working, congratulate each other, because a black man is going to rule America, the most powerful country in the world».

 

Questa risposta contiene piani di lettura e collegamenti storici e sociali tanto numerosi e poliedrici da pesare sul mio petto come un macigno. L’anamnesi ‘remota’ di queste parole di un Africano della Nigeria risiede nella macchia (per fortuna, lontana) dello schiavismo (perpetrato ai danni degli esseri umani dalla pelle scura), nello sradicamento di quel crimine ‘innominabile’ (da parte di un presidente Americano che ebbe il coraggio di ergersi contro quella vergogna immensa) e in ciò che la ‘insperata’-grandiosa sorpresa indicibile del miracolo-Obama incarna agli occhi dei popoli dalla pelle scura.

 

Abramo Lincoln, nel 1854, aveva sfidato il potere economico e l’ira vendicativa dei potentissimi proprietari delle piantagioni (mandate avanti dalla loro ‘proprietà’ più quotata: i ‘Negri’) e aveva dichiarato uomini liberi tutti gli schiavi da chiunque ‘comprati’ o ‘posseduti’, equiparandoli a qualunque altro essere umano (e agli stessi schiavisti che se ne sentirono oltremisura oltraggiati). Abramo Lincoln non ebbe paura; per cancellare la macchia obbrobriosa e vergognosa dello schiavismo, non esitò a mettere a repentaglio la sua stessa vita e la sicurezza di tutti gli Stati americani (che furono sconvolti da una terribile guerra fratricida). Non è possibile dimenticare, perciò, l’epicità sconvolgente del discorso che egli tenne in Illinois (e che rese famosa, da lì e per sempre, la Springfield odiata dagli schiavisti e quasi ‘venerata’ come simbolo da coloro che, per lavare quel marchio d’infamia, furono pronti a usare il loro stesso sangue).

154 anni dopo, lo stesso Illinois doveva essere ricordato per un evento senza precedenti per la gente dalla pelle scura; la stessa Springfield doveva essere teatro dell’apparizione di un uomo (un erede delle vittime del razzismo più orrendo e dello schiavismo) che, coniugando la sua bella faccia scura con la sua ‘americanità e con la sua ‘africanità’, posava i piedi saldamente per terra e annunciava agli Americani e al mondo che era pronto a ‘correre’ insieme ai candidati alla presidenza degli Stati Uniti. Obama, quel giorno, senza saperlo, prestava il suo volto, la sua voce, la sua personalità, il suo mondo di uomo, di cittadino, di politico a tutti coloro che, nel mondo e, soprattutto, in Africa, non avevano neppure osato sognare una simile opportunità. Il simbolo-Obama, da quel momento prese il volo nelle menti e nei cuori degli umili (di pelle nera e di pelle chiara) e compì il miracolo della speranza (e dell’antonomasia di essa); da quel momento, qualunque risultato diventava secondario rispetto al gesto che, da indomito e quasi impensabile, si era intrufolato nella categoria dei gesti ‘normali’.

«Sono qui davanti a voi, oggi, per annunciarvi che mi candido a diventare presidente degli Stati Uniti»: queste parole, pronunciate da Obama, a Springfield, sono il vero miracolo incredibile che, entrato, allora, nel cuore dei popoli africani, è esploso, oggi, in tutta la gamma infinita delle sfumature che possono essere definite ‘gioia’.

 

Più grande è la gioia di questa vittoria, più profondo è il disagio che adombra la sensibilità risvegliata (consapevole dei termometri-sprazzi di luce da opporre al buio accumulato). Il mondo intero è pieno di speranza, per la vittoria di ‘questo’ presidente degli USA (appena nato). Era una vittoria annunciata (e assolutamente non scontata)…; persino Karl Rove, l’artefice delle due vittorie di Bush, la prevedeva. Rupert Murdoch la temeva (come catalizzatore della crisi finanziaria internazionale). Altri la invocavano/scongiuravano (come un rilancio della sinistra nel mondo).

 

La vittoria di Obama può essere tutte le cose sperate e/o temute insieme o nessuna di esse. Non so cosa accadrà di preciso, ma so che ciò che è accaduto in America rappresenta un evento senza precedenti e che è avvenuto esattamente quando il mondo e la sua storia erano pronti a riceverlo. La crisi finanziaria mondiale peggiorerà? Niente di più facile, ma… dovremmo, forse, sperare in una recessione che scuota il mondo degli agi e del benessere ‘scontato’ e che dia agli esseri umani del mondo (e soprattutto dell’Occidente) un motivo di riflessione e di riconsiderazione delle sue ‘posizioni’ nei confronti delle risorse naturali e del consumo sostenibile (e ‘condivisibile’).

Le Sx varie si avvantaggeranno davvero? Ma quando ci sveglieremo dall’incubo delle vecchie ‘diciture’ di una politica che ha celebrato, nei vari decenni, la reiterazione inconsapevole dei suoi ‘funerali’? L’era delle ideologie è finita! ‘Destre’ e ‘sinistre’ vecchie sono parte dello stesso malessere endemico e doloroso (ovvero letale per la sopravvivenza della specie). Destre e sinistre nuove non nascano, per favore!!! Verdi, gialli, rossi, variopinti si uniscano nel partito degli ‘uomini’ che vogliono finalmente ‘ragionare’ e lasciarsi pervadere dal buonsenso (che non può e non deve perseguire le vie del tornaconto personale-comunale-provinciale-regionale-nazionale).

 

La gioia per la vittoria di Obama, negli USA, ha contagiato il mondo intero e ha riempito le strade e le case di città come Tokyo, perché? L’uomo del giorno, nel mondo intero, è Obama, perché?!? Perché il mondo è stanco della politica spicciola-casalinga-angusta-meschina-pettegola-disonesta-‘ristretta’; ha bisogno di orizzonti a misura di realtà planetaria; soffoca nell’assenza di orizzonti a misura di aria abbondante e scalpita nei meandri di trame-tranelli orditi nel nome delle divisioni partitiche pseudoideologiche. Il mondo osanna Obama, in quanto egli ha il coraggio di dire che si propone di lottare ‘perché i sogni non debbano essere messi in pericolo’; perché egli è un personaggio-più personaggi in uno; perché sa di essere il personaggio che è e indossa il suo ruolo con coerenza dignitosa e costantemente combaciante con le dissolvenze dei movimenti-azioni-parole; perché ha sposato il suo privato con il pubblico e ne rinnova i voti in ogni passo-gesto fuori e dentro i riflettori. Obama è Obama, perché è autentico e vero e ha un’interiorità proiettata naturalmente e quasi per inerzia verso gli altri: durante le varie altalene delle ‘proiezioni’-previsioni, in un momento di dubbio-verità, interrogandosi sull’eventualità di non farcela, si è preoccupato della “delusione” che avrebbe potuto causare a tanta gente (cose così accadono, in genere, soltanto ai ‘missionari’ predestinati a calamitare l’occhio attento dei popoli del mondo).

 

Il nuovo presidente degli USA è “il primo di una nuova generazione di presidenti” mondiali. Questa è la sensazione più o meno larvata o consapevole che ha percorso il mondo, accarezzandone le coscienze come fanno gli zefiri (quando increspano la superficie dei campi di grano giovane e verde sotto il sole). Povero Obama! Quanta della gente sensata vorrebbe essere nei suoi panni? Quanti degli Americani saggi vorrebbero essere in his shoes? La pressione cui dovrà resistere sarà unbearable; le issues che dovrà fronteggiare si annunciano ‘epiche’. Il suo cuore tremerà nel suo petto, al pensiero di ciò che lo attende, o confiderà in Dio e bilancerà bene i piedi sulla terra, proprio come nel momento in cui si preparava a pronunciare le fatidiche parole: “Sono qui davanti a voi…”? Credo nella seconda ipotesi, perché tutto ciò che sarebbe (o non sarebbe) seguito a quelle parole era già e definitivamente compendiato in esse. Il mondo gioisce, oggi; domani tratterrà il fiato, in attesa di vedere ‘questo’ presidente-sorpresa (tutto nuovo e ‘promettente’) muovere i primi passi-pedine (e, allora, si dividerà in sospiri di sollievo e brontolii di disapprovazione, come sempre accade, perché, purtroppo, non c’è decisione -seppure sacrosanta- che possa vedere gli uomini della terra uniti e concordi). Obama è stato appena eletto e, per ora, non possiamo fare altro che congratularci con lui e augurargli ogni bene (possa il cielo illuminarlo, perché egli sia all’altezza delle responsabilità gigantesche che gli sono appena cadute addosso). Il mondo è cambiato (o sta cambiando) e la grande America con esso. Auguriamo a Obama (e a noi stessi) che le forze oscure (sempre all’opera contro chi vuole il bene dell’umanità) siano precettate e neutralizzate (e tacciano per sempre).

 

Mio marito torna dal lavoro e chiede allo steward che cosa pensi della vittoria di Obama. Sunday risponde: «I’m happy! I’m very happy! I could not sleep, because I was watching the step by step news, and then I could not sleep because I was too happy and excited to do so. All over Africa the feeling is the same! This is a great day to us!»

 

Mi unisco al giubilo di Sunday, di Abuja, della Nigeria e dell’Africa tutta; a loro nome, auguro al neoeletto presidente americano lunga vita e una presidenza che l’umanità possa ricordare come un balsamo benefico.

 

Moonisa


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