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Gianfranco Cercone. “Dolor y gloria” di Pedro Almodóvar
28 Maggio 2019
 

Quel capolavoro che è stato il film 8 e 1/2 di Federico Fellini, ha dimostrato le inesauribili possibilità dell'arte: che cioè l'arte può, quasi miracolosamente, scaturire anche dal terreno più arido. Infatti 8 e 1/2 raccontava, come si ricorderà, di un regista di successo in una profonda crisi creativa; che aveva a disposizione un produttore pronto a finanziare un suo nuovo film, anche dispendioso; ma che non sapeva più che film girare, forse non aveva nemmeno più voglia di girarlo. Si sentiva depresso e spento. E la soluzione della crisi, il clic interiore che riaccendeva l'ispirazione, era l'idea di fare un film proprio sulla sua crisi creativa, andando alle radici di quella crisi e, allo stesso tempo, descrivendo il senso di stagnazione di chi una crisi attraversa, e passa il tempo perso dietro a futili fantasie e a vecchi ricordi.

Ora, questa lezione di Fellini è evidentemente, patentemente, ripresa, ma anche assimilata, fatta propria, da Pedro Almodóvar nel suo film Dolor y gloria, presentato in questi giorni al festival di Cannes, e uscito contemporaneamente nelle sale italiane.

Anche lui racconta di un regista, in età matura se non anziana, afflitto da dolori fisici e morali (il mal di schiena, il senso di solitudine), ma soprattutto incapace di realizzare un nuovo film: spento nella creatività, proprio come il protagonista del film di Fellini.

E anche lui coltiva i suoi ricordi che, come per reazione, per una inconscia terapia, all'indebolita sensibilità presente, vanno al momento in cui la sua sensibilità era più viva, alle impressioni della realtà di quando era bambino, e in rapporto agli oggetti, alle persone, a lui più care: in primo luogo sua madre, con la quale per tutta la vita ha intrattenuto un rapporto drammatico, conflittuale, ma anche eccezionalmente intenso; i ragazzi, dai quali è stato precocemente attratto, tra i quali un giovane operaio, capitato in una specie di grotta in cui da bambino conviveva con la madre, per un lavoro di ristrutturazione, che quando si offrì nudo alla sua vista, lo turbò a tal punto da fargli perdere i sensi; e poi il cinema, le immagini delle dive americane che contemplava insieme ai suoi coetanei proiettate su un muro, in un cinema all'aperto; e poi i libri che ha iniziato a divorare già da bambino, e che continuano a tenergli compagnia nella maturità.

L'arte, più che un interesse, è la vocazione della sua esistenza. Ma che non basti più a farlo sentire vivo, lo dimostra il fatto che sempre più si affida alla droga, all'eroina, che, più che a fargli sopportare il mal di schiena, lo aiuta evidentemente a scuotere un sistema nervoso intorpidito. E quando la sniffa insieme a un attore dei suoi primi film, insieme hanno l'aria, bislacca ma soprattutto patetica, di due reduci, in fondi di due rottami.

Eppure Dolor y gloria non racconta di una decadenza inarrestabile, ma del principio di una rinascita. Perché quando il regista è attraversato dall'idea di fare un film incentrato su quei ricordi riattivati dalla crisi, sentirà risvegliare la propria creatività.

Va detto che Dolor y gloria è un film molto bello. Se Almodóvar è, almeno secondo la sua immagine più comune, autore di bizzarrie, di eccessi, di trasgressioni, qui si apprezza la misura realistica con cui sono evocati fatti e personaggi.

Non soltanto la figura del regista è interpretata da Antonio Banderas con equilibrio e con sottigliezza. Ma anche le figure del presente e del passato – che si tratti del giovane operaio: un uomo semplice, ingenuo, ma che sembra voler sedurre il protagonista quando era ancora un bambino; della madre anziana, resa particolarmente tenera dall'età, eppure di un cattolicesimo così tetragono per cui manifesta ancora al figlio la sua delusione per il fatto che lui è omosessuale; o di un suo ex-amante, che dopo una separazione drammatica di tanti anni prima, riappare nella sua vita, e riaccende l'allegria di un tempo e anche un fremito di sensualità – sono tutte figure, su cui magari il film non si sofferma a lungo, ma che hanno quel tanto di ambiguità che ce le fa sempre risultare reali.

Da non perdere.

 

Gianfranco Cercone

(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 25 maggio 2019
»»
QUI la scheda audio)


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