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Yoani Sánchez. Materia da cartomanti
04 Settembre 2012
 

Un giorno i miei nipoti mi chiederanno: “Come si chiamava? Gastro… Mastro?”. E mi darà fastidio il loro oblio, la loro leggerezza… ma quando volterò le spalle riderò sollevata, soddisfatta.

 

 

Ha lunghissime unghie di plastica e dispone le carte in un angolo di strada avanera per leggere il destino a chi paga un peso convertibile per consulto. Le chiedono di tutto: case, amori, viaggi all’estero e problemi con la giustizia. Ma nel corso di questa settimana i suoi clienti ripeterono in varie occasioni uno stesso interrogativo: È vivo Fidel Castro? Questa cosa un po’ la sorprese, perché da mesi nessuno chiedeva notizie dell’Assente in Capo. Ricordò subito dopo che era arrivato agosto e che si avvicinava il compleanno dell’ex Presidente, quindi cominciò a capire il perché di tanta curiosità. Il primo a chiedere notizie fu un signore dai capelli bianchi che masticava un sigaro, dopo si fece avanti una donna sposata con un impresario straniero e più tardi un ragazzino imberbe con aspetto da rockettaro.

Le carte sono infide e nessun cartomante che si rispetti fa pronostici senza tener conto della sua intuizione. “Simbolicamente già non esiste, ma ancora respira”, fu la frase che uscì dalle sue labbra come se fosse stata dettata da un’altra dimensione. Alla mezzanotte di quello stesso giorno, interruppero i programmi televisivi per trasmettere un omaggio in occasione dell’ottantaseiesimo compleanno di Fidel Castro. Erano solo immagini di archivio, testimonianze dei suoi migliori momenti quando governava un’intera Isola dal finestrino della sua jeep. Le immagini erano accompagnate da una musica sdolcinata e voci molto acute, che alcuni interpretarono come un’invocazione religiosa. Per tutto il giorno non comparve dal vivo, né in diretta davanti alle telecamere della televisione, neppure inviò un messaggio ai suoi sostenitori. La signora con il calice d’acqua e le carte tirò un sospiro di sollievo. La sua profezia non era stata così errata. Quell’uomo vive, ma tutto quel che simboleggiava sta svanendo.

Non è facile incontrare nella storia contemporanea una persona che è stata data per morta più volte di Fidel Castro. Una delle ragioni per questa ossessione in merito alla sua scomparsa è l’eccessivo peso che ha avuto in quest’ultimo mezzo secolo cubano, la sproporzionata preminenza della volontà personale del Leader Maximo nei nostri avvenimenti quotidiani, siano trascendentali o banali. Un poema apologetico del 1959, che imitava la Marcia Trionfale di Rubén Darío, imputava al giovane barbudo il merito assoluto e indiscutibile di tutti i successi della rivoluziona trionfante, sia i già consolidati come i futuri. In tutto questo tempo la propaganda ufficiale si è incaricata di mantenere l’illusione per cui tutto era dovuto alla “geniale guida dell’invincibile Comandante in Capo”. Ricordo che nella seconda metà degli anni Novanta, quando furono aperti all’Avana diversi ristoranti vegetariani, una giornalista del Notiziario Nazionale televisivo affermò davanti alle telecamere che potevamo sfruttare la nuova opportunità grazie a un’idea di Fidel Castro. Un amico, che di solito pensa al contrario del governo, fece questa domanda ironica: Quindi siamo stati oltre 40 anni senza ristoranti vegetariani per colpa del Comandante?

Dal 31 luglio 2006, la salute giocò un brutto scherzo al dirigente storico che si vide obbligato a trasferire il comando al fratello Raúl Castro. Il fidelismo cominciò a diluirsi, ma molto lentamente. Tutto questo perché le caratteristiche singolari del processo rivoluzionario cubano non sono stati frutto di un’analisi collettiva di un partito e neppure rigoroso compimento della dottrina marxista leninista, ma erano essenzialmente capricci di un uomo capace di concentrare sulla sua persona il potere assoluto. E i suoi capricci comprendevano tutte le sfere della vita nazionale: l’allevamento del bestiame, l’industria zuccheriera, l’educazione, la salute pubblica, la cultura, la difesa, il turismo, la religione. In ogni settore della vita nazionale ha lasciato la sua impronta con l’intromissione e l’aggressività di chi -coltello alla mano - si dispone a segnare gli alberi di un bosco, tutti i tronchi che formano un bosco, non importa spessore o grandezza.

Adesso il simbolo sta svanendo, senza spaventi, ma con sollievo, per noi che abbiamo dovuto sopportarlo nei momenti di maggiore vitalità. Forse respirerà ancora per qualche anno, ma si sta spegnendo la curiosità di sapere se il suo ostinato cuore batta ancora.

 

Yoani Sánchez

(dal Blog Cuba Libre, El País, 15 agosto 2012)

Traduzione di Gordiano Lupi


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