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Ernesto Morales Licea. Sotto la Pelle del Vero Nicanor 
Intervista all’attore cubano Luis Alberto García
10 Novembre 2010
 

La televisione non riflette la realtà del paese

Quel che manca è la volontà politica e l’onesta per risolvere i nostri problemi e per affrontarli senza ipocrisia

Voglio una stampa che mi racconti il paese in cui vivo. Che mi informi. Ma che lo faccia senza nascondermi errori e senza camuffare cifre

Yoani Sánchez è nota in tutto il mondo, mentre una persona che vive davanti a casa sua non la conosce. Tutto questo è umiliante per i cubani

 

 

Luis Alberto García è un attore che si sta impegnando a fondo per favorire un cambiamento culturale della sua terra. Non credo che esista un solo cubano che non abbia visto il suo volto in televisione, al cinema o sul palcoscenico di un teatro. Lui è uno degli attori più noti del panorama nazionale. Ha interpretato quasi 80 film, tra lungometraggi e cortometraggi, pellicole cubane e produzioni con l’estero. Una cifra astronomica per una piccola realtà come Cuba. Citiamo soltanto lavori importanti come Clandestinos di Fernando Pérez e Adorables Mentiras di Gerardo Chijona, passando per Guantanamera di Tomás Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío, terminando con il recente El Premio Flaco di Juan Carlos Cremata. Luis Alberto García è un attore di gran livello intellettuale, amato dal pubblico e rispettato dai colleghi, che ha deciso di impegnarsi in progetti che vanno oltre il cinema e la televisione. Il suo personaggio più recente - che gli sta regalando notorietà internazionale e al tempo stesso alcuni problemi con gli ambienti ufficiali - è quello di Nicanor O´Donnell, protagonista di alcuni cortometraggi diretti da Eduardo del Llano. La serie è una diretta filiazione dei racconti scritti dal regista e pubblicati anche in Italia - sotto il titolo Unplagged - da un piccolo editore milanese. Si tratta di un prodotto underground che i cubani consumano con avidità, pure se la circolazione clandestina non garantisce grande fruibilità. Sono state molte le discussioni prodotte dalla serie di cortometraggi, soprattutto su Internet.

Luis Alberto García, “il vero Nicanor”, l’uomo che incarna il personaggio con sopraffina bravura, vive in un appartamento di Ciudad de la Habana, ed è un ottimo padre - come si può vedere dalle foto - perché addormenta e alimenta un piccolo figlio di appena due mesi che ha chiamato con l’emblematico nome di Vida. Ho realizzato una breve intervista con il più noto attore cubano che ha risposto con grande ironia, intelligenza e onestà.

Luis Alberto, in un’intervista rilasciata a Edmundo García per “La notte si muove”, hai detto che non ti riconosci nei serial cubani e tanto meno nella televisione nazionale. Ho letto una tua dichiarazione dove affermi che la televisione non riflette la realtà del paese. Vuoi spiegarci questa tua posizione?

L’errore di fondo è sempre stato quello di pensare Cuba come una fortezza assediata, filosofia assurda trasmessa e propagata da chi ci governa da oltre cinquant’anni.

Un’idea forte, diffusa in ogni persona, impone di non lavare i panni sporchi in pubblico, per non indebolire il processo rivoluzionario. Chi ci comanda ha sempre avuto questo pensiero, dal Discorso agli intellettuali di Fidel Castro in poi.

A partire dal 1961, dal famoso All’interno della Rivoluzione tutto è concesso, contro la Rivoluzione niente!, cominciarono a sorgere migliaia di interrogativi: Chi decide se un’opera d’arte è contraria o favorevole alla Rivoluzione? Chi decide se un prodotto fa il bene del processo sociale?

Tutto questo mi è sempre sembrato un po’ assurdo, e con il tempo la vita ha dimostrato che un pensiero simile è dannoso. L’espressione funziona bene come slogan inserito in un discorso, è una grande frase difficile da mettere in pratica. Se un ragazzo di Ciego de Ávila scrive un’opera teatrale deve farla leggere a Fidel perché decida se è dentro o fuori della Rivoluzione? Tutto ciò è assurdo. Non solo, esiste un problema più grande: dopo le parole di Fidel arrivano le interpretazioni delle parole di Fidel, visto che ogni persona che ha occupato un posto chiave nella cultura di questo paese, ha avuto un pensiero diverso che dipendeva dai suoi pregiudizi e dal suo livello culturale.

Cosa si è pensato di fare, allora? Invece di valutare opera per opera e autore per autore, si è detto: Nelle opere d’arte non vanno menzionati i difetti del paese, gli errori della Rivoluzione e i problemi della nostra società, perché significherebbe fornire armi ai nostri nemici. E siccome siamo un paese sotto embargo economico, dare armi ai nostri nemici significa che un’opera capace di mostrare le cose che non vanno, le cose cattive di questo paese, è un’opera che automaticamente si schiera a fianco del nemico. Tutto questo è un’assurdità. Non si può chiedere all’arte di non riflettere il mondo contemporaneo. L’artista non ha altra alternativa che parlare di quel che vede, di quel che lo circonda, di quanto buona o cattiva sia la sua realtà. Non si possono chiedere pere a un olmo.

Ecco quel che mi succede come attore: il riflesso della realtà che vivo è così distante da quel che vedo nei serial e nei programmi televisivi, che non mi ci riconosco, non trovo nessun punto di contatto. Non ha senso che in questo paese ci dicano sin da bambini che non dobbiamo mentire, che dobbiamo dire la verità, se quando diventiamo adulti ci suggeriscono: Sì, ma non tutta la verità. Oppure aggiungono quella frase terribile: Non tutte le verità sono per tutti gli orecchi.

Si tratta di una cultura oscurantista, intollerabile perché nasconde la realtà alle persone.

Io, per esempio, non sto chiedendo cos’è accaduto con i morti dell’Ospedale Psichiatrico Mazorra, l’anno scorso. Il quotidiano del mio paese ha detto che si doveva aprire un’inchiesta per conoscere le cause e punire i colpevoli… ma dov’è questa inchiesta?

Ancora mi sto chiedendo cos’è successo ai poliziotti che hanno preso a botte i giocatori della squadra Industriales nello stadio di Sancti Spíritus, scena registrata da diversi telefoni e pubblicata su Internet. Qualcuno l’altro giorno mi ha detto: “Sono stati puniti”. Bene, però io ho tutto il diritto di sapere, come cittadino di questo paese, vorrei che mi fornissero i nomi di chi è stato punito e per quanto tempo, perché una cosa simile non accada mai più. Perché le immagini di quelle botte nello stadio di Sancti Spíritus non sono diverse in niente da ciò che ho visto quando ho interpretato Clandestinos: la polizia batistiana picchiava i ragazzi del Movimento 26 Luglio nello stadio del Cerro. Erano i medesimi cazzotti, le stesse botte, identiche persone gettate per terra. Esigo come cittadino che mi diano una spiegazione.

Un altro esempio ancor più chiarificatore: suppongo che la decisione di pubblicare il video che provava i presunti errori di Felipe Pérez Roque e di Carlos Lage - alti funzionari di questo paese - sia stata presa nelle alte sfere. Ma secondo questa decisione il video è stato mostrato solo ai militanti del Partito Comunista.

La mia domanda è molto semplice: se i due amministratori hanno tradito davvero, la cosa non riguarda soltanto i dirigenti del partito, ma un popolo intero che confidava nel loro operato e nella loro onestà per migliorare la vita di ogni cittadino. Non posso essere d’accordo con l’assunto che non tutte le verità sono per tutti gli orecchi e che non tutte le realtà possono essere rese pubbliche in un paese. Per me è terribile. È come vivere in una casa dove ti hanno insegnato a pensare con la tua testa, ma quando cresci scopri che ci sono stanze dove non ti lasciano entrare e altre che vengono tenute chiuse. Inevitabilmente, se sei una persona intelligente, la sete di sapere ti spingerà proprio verso quelle stanze proibite e presto o tardi vorrai aprire quelle porte. Con permesso o senza permesso.

Quel che manca è la volontà politica e l’onesta per risolvere i nostri problemi e per affrontarli senza ipocrisia. Manca la volontà politica per dire: “Signori, non facciamo niente nascondendo la merda. La merda va tirata contro il ventilatore. I vestiti sporchi vanno lavati e messi ad asciugare al sole. Perché tu oggi decidi di nasconderla in un cesto, e domani in un altro, ma il tempo passa e un giorno non ci saranno cesti a sufficienza per tutti i panni che dovremo lavare”.

A Gibara ricordo una tua risposta a un giornalista che ti chiedeva di riassumere in una frase il corto Brainstorm. Dicesti: I cubani meritano una stampa migliore…

Quella risposta voleva dire: io non voglio rendermi conto per merito di canali stranieri, agenzie estere, programmi televisivi di altri paesi, di quel che succede nel mio paese. Perché anche se noi cubani non possediamo Internet e la televisione via cavo, certi materiali in un modo o nell’altro ci arrivano, e ci rendiamo conto con giorni di ritardo di quel che è accaduto.

Non voglio che in questo paese le notizie si continuino a pubblicare sei giorni dopo che sono successe, e che si debba spiegare alla gente che è successo qualcosa soltanto dopo un grande scalpore internazionale.

Voglio una stampa che mi racconti il paese in cui vivo. Che mi informi. Ma che lo faccia senza nascondermi errori e senza camuffare cifre.

Se Zapata ha fatto uno sciopero della fame ed è morto, so bene che non è una cosa gradita da dire al popolo. Purtroppo la vita è piena di cose sgradevoli. La gente che vive a Cuba ha il diritto di sapere che una cosa simile è accaduta e nessuno deve privare il popolo di un diritto.

Molte volte durante il notiziario televisivo vediamo leggere notizie con questo tenore: Una risposta a una cosa detta da una blogger in un certo sito, poi scendi in strada e ti rendi conto che spesso le persone non sanno niente di quella blogger. Quindi non comprendono la risposta ufficiale, non sono in grado di valutare ciò che ha detto la blogger, non riescono a farsi un’opinione.

La cosa triste è che il mondo intero conosce Yoani Sánchez, mentre una persona che vive davanti a casa sua non sa chi sia. Tutto questo è umiliante per i cubani.

Per favore… dobbiamo prendere il toro per le corna! Per dare ossigeno alla nostra società. La trasparenza e la sincerità saranno elementi fondamentali per cominciare a costruire un paese migliore.

Io per lo meno ho bisogno di trasparenza e verità. E quando sento che mi stanno nascondendo la palla, mi irrito e dopo esco a cercare la verità che la stampa del mio paese non ha voluto offrirmi.

Sono sicuro che quel che capita a me succede a tutti coloro che non vogliono comportarsi come pecore di un gregge. Lo dico senza voler offendere nessuno.

 

Ernesto Morales Licea

(da El Pequeño Hermano, 8 novembre 2010)

Traduzione di Gordiano Lupi

 

 

 

Ernesto Morales Licea (Bayamo, Cuba, 1984) è laureato in Giornalismo all’Università di Oriente, Santiago de Cuba (2008). Ha vinto alcuni premi letterari a Cuba. Ha pubblicato diversi racconti e articoli su riviste telematiche. Mail: ernestomorales25@gmail.com


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