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Bruna Spagnuolo: I ‘Festival’ nigeriani: specchi di africanità dalle molte identità - 1
Nigerian Woman
Nigerian Woman 
19 Maggio 2009
 

Indice: Piccolo inciso-ambientazione introduttivo/ l’Islam, le sue festività e il suo calendario/ africanizzazione dell’Islam e festival nigeriani/ Durbar Festival/ Eyo Festival/ Iko Okochi Festival/ Arugungu Fishing Festival/ Sharo-Shadi Festival/ Shango Festival/ Osun-Osogbo sacred grove Festival/ Benin Festival/ Onitsha Ivory Festivals/ Other festivals/ Conclusione/ Note-approfondimento.

 

N. B.- Ho cercato di fissare in questo articolo gli argomenti che ho illustrato nella conferenza del sette Maggio 2009, presso L’Università degli Studi di Genova (facoltà di scienze della formazione- distum/ dipartimento di studi umanistici-corsi di geografia sociale) laboratorio di geografia sociale applicata (di cui è responsabile e coordinatore la prof.ssa Nicoletta Varani).

 

Piccolo ‘inciso‘-Ambientazione introduttivo- Le abitudini di vita/ le credenze/ le tradizioni/ i riti e i rituali dei popoli (e dei popoli tribali in special modo) sono strettamente legati al territorio (geomorfologico-climatico-ambientale-sociale) di appartenenza e alla dipendenza dalle risorse naturali (che ne condizionano la sopravvivenza); interagiscono immancabilmente con flora, fauna e clima e con le ‘forze’ preponderanti della natura.

La Nigeria(1), uno dei paesi più popolati-‘popolosi’ del pianeta, è un universo a sé stante, in tutti i sensi suddetti; è unlike qualsiasi altra realtà mondiale e presenta caratteristiche-manifestazioni culturali molto eterogenee. Le differenze sono notevoli tra villaggio e villaggio e tra Stato e Stato e diventano abissali tra Nord e Sud (a causa dei retaggi-influenze-altre dovuti ai contatti con popoli provenienti da paesi confinanti o vicini per stili di vita o con popoli invasori/ e a causa del territorio completamente diverso che ha imposto loro stili di vita diversi).

La popolazione umana, distribuita sui 923.768 chilometri quadrati del territorio nigeriano, si è quadruplicata nel giro di 56 anni (dai 34 milioni di abitanti del 1950 è passata ai 145 milioni di abitanti nel 2006). La ‘popolazione’ della fauna domestica nazionale, nello stesso arco di tempo, si è più che decuplicata (è cresciuta di undici volte, passando dai 6 milioni di capi di bestiame ai 67 milioni) (2). Ciò si traduce in 16 milioni di bovini e 51 milioni di capre e pecore, per lo più dislocati nel Nord, dove sono, da troppo tempo ormai, un peso insostenibile sulla consistenza dei pascoli e una causa di desertificazione (destinata a divenire fenomeno inarrestabile di desertizzazione senza rimedio) di tutto il settentrione nigeriano. I catastrofisti prevedono che, nel 2050, la popolazione nigeriana giunga a 289 milioni di abitanti, che l’aumento conseguenziale degli animali mantenga gli stessi rate e che, inevitabilmente, l’intervento dell'uomo sui delicati equilibri dell'ambiente debba innescare un’escalation-desertificazione whose last saying belongs to nature.

Ignara di tutto questo, la popolazione nigeriana perpetua nei vari villaggi e nei vari Stati la tradizione millenaria delle varie identità-appartenenze tribali e culturali.

 

La Nigeria, a suo modo, è la cartina di tornasole di tutti i ‘sintomi’ africani remoti e prossimi. Tutte le sue ‘manifestazioni’ ne sono un coacervo (direi inconsapevole); nei suoi innumerevoli ‘festival’ ciò, almeno a me, appare chiaro. Alcuni aspetti delle celebrazioni nigeriane lanciano richiami addirittura verso quelli di altre culture-nazioni le cui influenze (come vene aperte) confluiscono-defluiscono (attraverso i confini geografici, che mai coincidono con quelli mentali degli esseri umani). Il cuore del territorio Tuareg, tra Agadez e Niamey, per esempio, ospita la magia dei crepuscoli con cui il deserto circonda i Bororo e i Woodabe (Peul), mentre sguainano le spade e danzano, con i Tuareg, il ricordo dei nobili guerrieri loro antenati (sferzati dai tamburi e accarezzati dalle nenie delle donne). Tutto ciò (con le feste relative del Gerewol) s’imparenta con parecchie componenti-manifestazioni culturali nigeriane e con il loro aspetto pubblico-‘recitato’ (come molte delle influenze-identità etniche che viaggiano da confine a confine, da/per la Nigeria, seguendo i movimenti migratori delle popolazioni, che, da tempo immemorabile -ignaro della storia e dei borders da essa decisi e modificati- viaggiano, interagiscono e si mescolano, effettuando ‘scambi’ che travalicano le strategie-commercio consapevoli). Tutto il mondo è soggetto alla legge delle influenze culturali. Nessuno è in grado di ‘vedere’/ rintracciare/ ripercorrere le mappe imprevedibili delle ‘fughe’ che lo scibile umano ha inciso nei millenni (con gli spostamenti-matasse ingarbugliate ormai avvolte attorno al globo terrestre in modo inesorabilmente impredicibile). Soltanto le punte finali delle trame più recenti sono chiaramente individuabili; le altre fanno parte, ormai, degli stessi mitocondri dei singoli individui di ogni popolazione. Tale discorso, complesso e vastissimo, non può essere approfondito in questa sede, che darà la priorità alla ‘traduzione’ (per la mentalità occidentale) dei ‘fenomeni’ culturali africano-nigeriani conosciuti come ‘festival’. Ci sono, in Nigeria, un’infinità di ‘festival’, cioè di celebrazioni (più antiche delle stesse religioni maggioritarie) legate ai momenti più importanti della vita umana (le coltivazioni, il raccolto, le ‘tappe’ varie del rito nuziale, la nomina dei capi e anche i funerali). La ‘celebrazione’ (danzata e festeggiata) dei funerali africani tradizionali è da mettere in relazione con le credenze tribali, che sentono il dovere di ‘accompagnare’ (con canti, danze e allegria) la partenza del defunto e il suo ricongiungimento con gli antenati che lo hanno preceduto.

Alcuni dei principali ‘festival’ nigeriani sono collegati alle ricorrenze religiose dell’anno islamico (che si snoda attorno agli ‘appuntamenti’ più importanti del credo islamico); conviene, perciò, spendere un po’ di attenzione su questo argomento.

 

L’Islam, le sue festività e il suo calendario

Le feste islamiche più importanti in assoluto sono la Grande Festa e la Piccola Festa (le due feste ‘canoniche’).

La Grande Festa (in arabo Īd Al-Kabīr/ عيد ﺍﻟﻜﺒﻴﺮ), detta anche Festa del Sacrificio (in arabo Īd Al-Adha/ عيدالأضحى ), o festa dello sgozzamento (in arabo Īd Al-Nahr/ عيد ﺍﻟﻨﺤﺮ), o anche  festa dell’offerta (in arabo īd al-qurbān عيد ﺍﻟﻘﺮﺑﺎﻥ), si celebra, con cadenza annuale, il 10 del mese di Dhu Al-Higgia, cioè nell’ultimo mese del calendario islamico. Prevede la durata di tre o quattro giorni e il sacrificio di un montone o di un altro capo di bestiame (pecora, capra, bue o cammello), purché adulto e sano. Le varie vittime destinate al sacrificio devono essere immolate (per sgozzamento, liberando le carni dal sangue e rendendole pure), per mano di un uomo “in stato di purità legale”, nello stesso momento in cui i pellegrini immolano le loro vittime sacrificali, nella valle di Mina, a La Mecca, e, comunque, tra la fine della preghiera del mattino e l’inizio della preghiera del pomeriggio. Le carni della vittima vanno divise in tre parti (una da consumare subito in famiglia, l’altra da conservare per successivo uso e la terza da donare a chi è così povero da non poter comprare un animale da immolare). Gli animali grandi (come buoi o cammelli) possono essere sacrificati in ‘comproprietà’ da diversi capifamiglia (fino a un massimo di sette). Coloro che assolvono all’obbligo del pellegrinaggio e che affluiscono a La Mecca a milioni (due milioni ogni anno), possono pagare l’animale e lasciarlo sacrificare ritualmente in appositi stabilimenti, dove potrà essere appropriatamente conservato e, successivamente, spedito a paesi (islamici) bisognosi (per carestie, guerre, terremoti o recessioni). Ascesi e digiuno sono vietati in quei giorni (che sono “i giorni della letizia”). Questa festività è un monumento a una fede che si fa baluardo di indiscussa obbedienza e sottomissione a Dio (Islām); s’ispira al sacrificio che Abramo (secondo l’Islam, ispirato da uno dei sogni chiamati rū'ya rabbānī, usati da Dio per comunicare la sua volontà agli esseri umani e ben distinti dal sogno confuso chiamato rū'ya shayānī, "sogno diabolico", usato dal diavolo per indurre l’uomo in tentazione) era pronto a fare immolando suo figlio Ismaele (chiamato Isacco- come nelle tradizioni cristiane- anche in metà delle tradizioni islamiche –vedi quella abarī) e che viene impedito da un angelo e realizzato con un montone.

La Piccola Festa (in arabo īd al-aghīr, عيد ﺍﻟﺼﻐﻴﺮ), detta anche la festa della rottura del digiuno (īd Al-fītr), cade il 1° del mese di šawwal, alla fine del Ramadan (durante il quale ogni credente, come tutti sanno, deve osservare il digiuno, senza interruzioni, dall’alba al tramonto). Il festeggiamento dura tre giorni, interrompe l’impegno ascetico di tutti e sprona alle elemosine chiunque ne abbia la possibilità.

 

Il mondo islamico festeggia (con preghiere, narrazioni e insegnamenti) anche la nascita del suo grande profeta Maometto (Mawlid al-Nabi), che ricorre il 12 del mese di Rabi al-awwal.

Le date del calendario islamico (che si basa sul ciclo lunare) non coincidono con quelle del calendario gregoriano e, forse, è il caso di spiegare come mai.

L’anno islamico viene definito egiriano. Tale termine deriva da egira (3), nome dato alla fuga di Maometto da La Mecca a Medina (622 d. C.). Quell’evento ha per il mondo islamico importanza sine qua non; da esso parte il calcolo del tempo annuale e su di esso si basa, in toto, lo snodarsi del calendario islamico. L’anno 622 del calendario gregoriano (che è il primo anno dell’egira), si abbrevia con AH1: dal latino anno hegirae. L’anno islamico è decisamente più breve di quello cristiano (essendo, al contrario di quello cristiano, che è solare, lunare) e ha mesi e feste che non seguono le stagioni come quelli cristiani. Mantiene, però, lo zodiaco solare (di babilonese memoria- diviso in dodici buruj/ torri) e lo zodiaco lunare (di indiana parentela- diviso in 28 manazil/ stazioni) tanto diffuso nell’astrologia medioevale latino/bizantina.

 Il profeta Maometto, in occasione del suo ultimo pellegrinaggio a La Mecca, nel 631, abolì le intercalazioni e causò la non corrispondenza dell’anno egiriano a quello solare e il fatto che ognuno dei suoi mesi lunari venga a passare attraverso tutte le stagioni in un ciclo di 33 anni. L’Egira fu fissata, nel 637, dal califfo Omar, che scelse come capodanno il primo giorno del mese di Muharram (i capodanno dell’Egira si contano e sono numerati).

L’anno egiriano, che è un anno lunare della durata di 354 giorni, slitta in avanti di 11 giorni rispetto al calendario solare, che è fisso. La gente estranea al mondo islamico immagina il notissimo ‘fenomeno’ chiamato Ramadan come un periodo di penitenza simile alla Quaresima cristiana e non capisce come mai si sposti in continuazione tra un anno e l’altro. La spiegazione è semplice: il Ramadan, nel calendario egiriano è fisso ed è il nono mese; nel calendario gregoriano capita ogni anno in una data o in un mese diverso, per via dello slittamento degli 11 giorni suddetti. Il mese di Ramadan ha termine (e con esso il digiuno del mondo islamico) quando spunta la luna del mese di Sciawwal, cioè del decimo mese dell’anno egiriano lunare.

Ecco i mesi del calendario egiriano:1. Muharram, 2. Safar, 3. Rabi Al-Awwal, 4.Rabi al-Akhhir, 5. Jumada Al-Ula, 6. Jumada Al-Akhira, 7. Rajab, 8.Shaban, 9. Ramadan, 10. Shawwal, 11. Dhu’l - Ka’da, 12. Dhu’l – Hijja.

Il mese di Muharram aveva un alone di sacralità, poiché iniziava con la festa della rivelazione coranica di Maometto (la notte del decreto -Laylat al-qadr- che, in seguito all’introduzione dell’astinenza fu trasferita negli ultimi giorni del Ramadan, divenuto il mese più sacro dell’anno). L’inizio dei mesi islamici è decretato dall’osservazione della comparsa della luna da parte di un testimone (e può avvenire due o tre giorni dopo il novilunio, cioè quando la piccola falce lunare diviene visibile a occhio nudo). La comparsa del piccolo spicchio della giovane luna dell’inizio del mese di Ramadan, però (data l’importanza mondiale che l’evento ha), deve essere testimoniato da almeno due credenti (con conseguente notifica all’autorità – come il qadi). I tempi moderni, ormai, mettono a disposizione dell’avvistamento della luna una tecnologia avanzata (e strumenti che vedono ben più lontano della semplice vista umana).

Il mese di Ramadan è, come tutti sanno, un periodo di digiuno e di astinenza. Il digiuno va osservato dall’alba al tramonto e può essere interrotto fino all’ora in cui lo schiarirsi del cielo rende possibile distinguere un filo bianco da un filo nero. L’astinenza dai divertimenti e dai piaceri va intesa, sì, come un periodo di espiazione, ma anche come un tempo di riposo atto a ritemprare il corpo e lo spirito.

 

I giorni della settimana (indicati dal corrispondente numero ordinale) partono dalla domenica. Il giorno festivo (dedicato alla riunione e alla preghiera solenne, nella moschea) è il venerdì (yaum al Jum’a). Altro giorno speciale è il sabato (yaum al sabt), di ebraica provenienza e di memoria babilonese.

 

Lo scadianziario 2009 delle festività islamiche (compatibilmente con la consapevolezza che a determinare l'inizio del mese è la visibilità della luna e che  le date sono sempre suscettibili di anticipo o posticipo di 24 ore) accadrà più o meno come segue: Ashura (7 gennaio), Mawlid (9 marzo); 1° giorno del Ramadan/inizio del mese di digiuno (22 agosto); festa della rottura del digiuno (22 settembre); festa del sacrificio (27 novembre), capodanno islamico -1431 dell’Egira- (18 dicembre), Ashura -giorno di digiuno, commemorativo del giorno in cui è stato salvato il profeta Mosè (27 dicembre).

La Ashura (in arabo عاشوراء), da non confondere con la Asura induista, deriva da ashara che vuol dire dieci, ed è un evento religioso che si celebra il dieci del mese islamico di muharram. Richiama lo Yom Kippur ebraico (celebrato nel decimo giorno del primo mese ebraico di Tishri), dal quale si dice che derivi. Il profeta Maometto avrebbe istituito la Ashura prima dell’avvento del Ramadan e, per differenziarla dalla celebrazione ebraica, l’avrebbe fatta iniziare un giorno prima (gli Ebrei ricordavano, con un solo giorno di digiuno, l’uscita dall’Egitto sotto la guida del profeta Mosé; Maometto avrebbe decretato di avere, come e più dei profeti biblici, diritto al digiuno e, perciò, ne avrebbe decretato due giorni). Questa celebrazione può avere quattro ‘motivi ispiratori’ (l’approdo dell’arca di Noè/ la nascita del profeta Ibrahim/ l’abbandono di Adamo del paradiso terrestre/ la costruzione de La Mecca) e altrettante ‘interpretazioni’ celebrative. L’avvento del Ramadan ha reso il digiuno dell’Ashura facoltativo (cioè ‘consigliato’) e la sua celebrazione meno ‘severa’, ma solo tra i Sunniti, perché tra gli Sciiti, invece, essa dura per 40 giorni, commemora il martirio dell’imam Hussein (Al Husayn ibn ‘Alī -nipote di Maometto) insieme a quello di 72 suoi fedelissimi (avvenuto a Karbalā, in Iraq, per mano del califfo Omayyade Yazid I) e viene vissuta come un vero e proprio evento luttuoso (con tanto di autoflagellazioni sanguinose ed episodi collettivi autolesivi alquanto impressionanti). La tomba dell’Imam e dei suoi partigiani ha trasformato la città di Karbala, in Iraq, nel principale centro delle celebrazioni sciite: in ricordo della data della strage (avvenuta il 10 del mese di Muharram, il primo dei quattro mesi sacri dell’anno mussulmano –da haram: “proibito per motivi religiosi”), centinaia di migliaia di pellegrini ogni anno, vi si recano, a commemorare il lutto e a piangere l’Imam.

 

Africanizzazione dell’Islam e ‘festival’nigeriani

L’Islam ha conquistato l’Africa, ma l’Africa, a sua volta, ha conquistato l’Islam e lo ha fatto proprio nel modo caratteristico in cui congloba e ripartorisce ciò che vi entra. La concezione (pur sciita) dell’Ashura, in Nordafrica, per esempio, è sentitissima e assume aspetti che nulla hanno a che vedere con la stessa festività sciita di altri paesi; ciò è legato all’importanza che lo sciismo ebbe in Nordafrica (da quando i Fatimidi(4) vi giunsero, fecero crollare la potenza ibadita(5) e vi misero forti radici), ma è legato anche e soprattutto alle vie-pensiero di una cultura africana da sempre. Prova lampante ne è il fatto che la celebrazione dell’Ashura si è diffusa e si è ‘affermata’, con le tipiche caratteristiche gloriosamente giocose africane, anche in regioni africane non raggiunte dai Fatimidi. La verità è che le vere conquiste dei popoli conquistatori non sono quelle fatte con le armi in pugno,ma quelle effettuate inconsapevolmente attraverso la penetrazione lenta e inesorabile delle loro culture (immemori e ignare dei confini e delle appartenenze e libere di atterrare e radicare nelle più imprevedibili e disparate realtà -a volo di vento e di onde-movimenti migratori e commerciali). Non per nulla si disse dei Romani Graecia capta ferum victorem cepit. Non sbagliano, secondo me, coloro che mettono le differenziazioni celebrative nordafricane in relazione con le feste ataviche, più antiche dell’Islam (come quelle berbere, per esempio), confluite nelle manifestazioni ufficiali islamiche. La Ashura nordafricana e africana in generale è davvero molto lontana da quella sciita ‘classica’: prepara frittelle e golosità ed è la ‘patria’ dei bambini che, sciamando in giro, per farseli donare, richiamano alla memoria i loro coetanei di lingua inglese che festeggiano Halloween; vede le popolazioni di alcune località africane fabbricare maschere (persino in Cabilia) e andare in giro mascherati (come in Occidente a carnevale) e altre allestire scene e parate carnevalesche che si svluppano attorno a un personaggio-leone conosciuto come bu jlud, quello della pelle, (dalla Libia al Marocco). Io credo che non ci siano spiegazioni da cercare e che l’Africa sia semplicemente l’Africa, un continente-cultura a sé stante, con il quale qualsiasi interferenza-influenza-penetrazione deve fare i conti (prima-durante-dopo il suo ‘viaggio’-invasione-conquista). Ogni cultura-altra che raggiunga l’Africa non può che tuffarsi nella sua africanità, lasciarsene ‘digerire’ e riemergerne modificata e, a sua volta, africanizzata. È la legge del grande (geografico, antropologico, etnografico, etnologico, epistemologico, glottologico, affascinante) complesso, poliedrico, misterioso cosmo africano.

La Nigeria, a mio avviso, è più Africa che mai (nel bene e nel male) e lo è anche nel suo modo di vivere la sua islamizzazione che, pur rispettando tutti i dettami dell’Islam, avvolge il culto e le preghiere nelle sue tradizioni e le sue manifestazioni-cultura (fatte di africanità orgogliosa e vera) nel culto e nelle preghiere.

 Sono almeno 250 i diversi popoli che vivono in Nigeria e che parlano altrettante lingue. Hanno infinite storie diverse e varie religioni che convivono a stretto contatto, tra ritmi di vita febbrili e variopinti; hanno ricchezze indicibili di ritmi musicali (afrobeat, reggae e legate alle pratiche magiche del juju) e rituali tradizionali, che vengono ‘celebrati’ fin negli angoli più sperduti dei vari Stati e della nazione e che vanno sotto il nome di ‘festival’. Essi sono la sintesi d’elezione delle filosofie tribali (imperniate sulle pratiche divinatorie e sul Pantheon delle divinità ataviche locali).

 

 DURBAR FESTIVAL

Appartenenza- Le origini di questa tradizione sono di natura bellica. Le scene leggiadre disegnate da cavalli e cavalieri affondano le radici nelle orde feroci delle cavallerie guerriere (esperte nell’arte della guerra) appartenenti alle popolazioni che vivevano in Kano e che gravitavano attorno a quella città antica del Nord-Nigeria. I primi Durbar festival erano una dimostrazione di forza e di preparazione tattica dei capi militari dei vari reggimenti/ una gara di maestria cavallerizza, di arte della guerra e di ostentazione di lealtà nei confronti dell’emiro (cioè di ‘ strategie-devozione sicuramente non disinteressate). Il Durbar (localmente chiamato Hawan Sallah), nei tempi moderni, ha conservato tutto il fascino colorato e la malia incantatrice del passato e viene, spesso, organizzato in onore di capi di Stato e di dignitari di rilievo (che immancabilmente si rendono conto del fatto che lo spettacolo trasuda coraggio e senso dell’onore).

Il dove e il come del Durbar Festival- Il Durbar è una celebrazione annuale che ricorre in molte città nigeriane e si celebra al culmine delle festività islamiche più importanti (vedi le arabe Al Id Al-Kabīr alias Al Id Al-Adha, o Al Id al-Fitr alias Al Id al-Baghīr). Inizia con le preghiere e culmina in una parata suggestiva di migliaia di cavalieri e di cavalli (agghindati in modo regale) che attraversano la città, seguiti da bande musicali, e si dirigono al palazzo dell’emiro, tra una folla immensa assiepata ovunque. I Durbar più importanti sono quelli di Kano, Katsina e Bida (la città della mitica produzione dei vetri antichi come bucchero –vedi le Bida beads usate come moneta di scambio nelle trattative commerciali di antica memoria). Il più importante è il Kano Sallah Durbar, che si celebra in genere in occasione della “grande festa” islamica (Id El Kabīr- the big Sallah) e della “piccola festa” (Al Id al- fītr, the small Sallah), per le quali i Nigeriani (anche non mussulmani) si spostano da un luogo all’altro, per raggiungere famiglie, amici e parenti, scambiandosi gli auguri gioiosi di buon Sallah. Questo ‘festival’ è uno spettacolo di immagini in movimento, di colori e di suggestioni che hanno attratto per secoli curiosi e visitatori antichi (mercanti arabi del Nordafrica, esploratori europei, ufficiali coloniali inglesi, nobili e ricchi africani, folle di gente di ogni estrazione sociale) e moderni (presidenti, capi di Stato, turisti e viaggiatori). Tutti sono stati e sono affascinati da questa manifestazione culturale unica al mondo (sfoggio memorabile di magnificenza e passerella inimmaginabile di musica africana).

Coloro che partecipano alla cerimonia del Durbar Festival cavalcano cavalli dalle gualdrappe in prezioso tartan (l’esclusiva stoffa di lana scozzese tessuta alla saia) e dai finimenti sontuosi e indossano abiti arabegggianti preziossimi (completati da turbanti vistosi e principeschi). Le tuniche di ottima fattura dei cavalieri (chiamate babanringa, che vuol dire grandi tuniche), le fasce colorate incrociate sul petto e attorno alla vita, dal colore intonato con quello dei turbanti, i tessuti luccicanti e gemmati e l’andatura regale dei bellissimi cavalli creano un’atmosfera dagl’indescrivibili risvolti fiabeschi. Il momento più spettacolare è quello in cui colonne e colonne di cavalieri (a gruppi ben distinti di abbigliamento uguale, che definisce il villaggio di provenienza) portano le loro cavalcature imponenti al trotto e poi al galoppo, volando come falchi colorati verso il padiglione dal quale sua altezza, l’emiro, guarda la parata, circondato dai suoi dignitari. La cavalcata irruente sembra voler spazzare via tutto ciò che trova sul suo cammino e va a fermarsi, come per miracolo, a qualche metro dall’emiro, mentre i cavalieri fendono l’aria con lance e spade e lanciano nell’aria urla marziali di saluto. Le nuvole di polvere sollevate dal galoppo assordante, il grido guerriero dei cavalieri che esprimono devozione, lealtà e rispetto alla regalità dell’emiro e, con lui, alle massime autorità di Kano e dei suoi dintorni, scatenano nella folla entusiamo e boati che risuonano per chilometri (ricordando il clamore delle guerre sepolte nel passato). Il centro di partenza e di arrivo della parata imponente del Durbar Festival è il palazzo dell’emiro (una costruzione fortificata costruita, nel 5° secolo, da Muhammadu Rumfa, il legislatore più amato e rispettato della storia di Kano). L’attuale emiro, sua altezza reale Alhaji Ado Bayero, è, secondo la linea fulana di successione, il 13° emiro di Kano.

Il Durbar festival di Katsina non è meno suggestivo. Tenuto nel Sallah della Grande Festa islamica (Al Id Al-Kabīr), comincia con preghiere, fuori città, prosegue con processioni in pompa magna di cavalieri verso la città e verso il palazzo dell’Emiro, dove i gruppi (agghindati sontuosamente e divisi per villaggi, distretti e nobili casati) occupano il posto loro assegnato, guardano l’emiro giungere per ultimo, con il suo retinue (seguito), e prendere posto fuori dal palazzo, per ricevere il Jahi (omaggio) della parata spettacolare. Ogni gruppo attraversa la piazza, galoppando a rotta di collo, con le spade scintillanti nel sole, arriva a pochi passi dall’emiro e s’immobilizza di colpo, con le spade alzate. Il Dogari (le truppe dell’emiro e la sua guardia reale) offre l’ultimo sfoggio di fierezza e di prodezza, poi l’emiro si ritira, con i suoi dignitari, dando l’avvio al divertimento generale, in un tripudio di fanfare, tamburi, danze e canti (tra cui sono rinomate le affascinanti rappresentazioni fulane chiamate shadi). Il festival di Katsina viene celebrato di mattina, al contrario di quello di Kano (e ciò, credo, sia un ottimo motivo per poterli ammirare entrambi).

Nota storica- L’imponente celebrazione appena descritta parla del passaggio degli Habe (di hausa progenie) nell’antica Kano e dintorni e dell’impronta remota di mercanti e missionari (provenienti da Kartoum/Tripoli/Tunisi e dalla penisola araba – come testimoniano l’artigianato e il disegno architettonico delle antiche case). Famosa (fino agli anni Settanta) per le noccioline tritate e per le ‘piramidi’ di cotone(6) (che, con il decadimento dell’agricoltura sono praticamente scomparse), Kano, comunque, conserva, in Nigeria, il suo prestigio di ‘città commerciale’ e. forse, se non lo perde, una parte notevole di merito va al suo Durbar Festival (‘stemma’ culturale di risonanza mondiale e richiamo ininterrotto di turismo). Il Durbar Festival è nato quando l’emirato, che, all’epoca, era uno Stato sempre in guerra, esigeva da ogni città, distretto o casato nobile il contributo bellico di un esercito una volta o due ogni anno. Estendendo la richiesta anche ai tempi di pace, gli emiri crearono la parata militare del Durbar, usandola come ostentazione di forza e di expertise nelle arti marziali (e, di conseguenza, come deterrente contro eventuali invasioni).

 

                                                               Bruna Spagnuolo

 

 

…continua

 


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